Domenica, 30 Marzo 2025 10:20

Due leggende metropolitane serresi. La scomparsa di Majorana e il pilota di Hiroshima

Scritto da Tonino Ceravolo*
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  • Dall’esperienza “metafisica” di Sciascia nella Certosa al monaco ex militare Usa che in realtà non è mai salito sull’Enola Gay. L’importante contributo di Sharo Gambino alla decostruzione delle fake news sul monastero
Leonardo Sciascia nella Certosa di Serra San Bruno con padre Basilio Caminada Leonardo Sciascia nella Certosa di Serra San Bruno con padre Basilio Caminada

Non metterebbe conto parlare di un libro come L’atomica e il chiostro. Il monaco di Hiroshima – Ettore Majorana. La Certosa di Serra S. Bruno. Storia di una leggenda metropolitana (edito da Qualecultura in prima edizione nel 2001 e in seconda nel 2008) per riaprire, ancora una volta, gli stucchevoli “casi” del militare americano che sganciò la bomba su Hiroshima e della scomparsa del fisico Ettore Majorana se non fosse che nel dedicare queste noterelle mensili all’attività letteraria di Sharo Gambino “saltare” questo smilzo volumetto non sarebbe in alcun modo possibile, per quanto lunga è stata la dedizione che lo scrittore ha riservato all’argomento. E intanto, per indugiare ancora qualche rigo sulla sparizione del geniale fisico catanese, forse non è inutile rammentare, anche a fronte di più o meno recenti “scoperte” di testamenti olografi all’evidenza clamorosamente falsi, che Stefano Roncoroni, pronipote dello scienziato e autore già nel 2013 del volume Ettore Majorana, lo scomparso (Editori Internazionali Riuniti), in un Longform pubblicato da “Repubblica” (22 dicembre 2024) ha avuto modo di evidenziare che “la morte di Ettore era già nota alla sua famiglia dal settembre 1939 ma, per motivi da indagare, aveva tenuto tutta per sé quella ferale notizia”, mentre sul sito della “Società Italiana di Fisica” due scienziati (Francesco Guerra e Nadia Robotti), pur contestando aspramente le conclusioni a cui era giunto Roncoroni nel suo volume del 2013, testualmente scrivono: “Per quanto riguarda la sua scomparsa e il suo destino, è possibile porre dei punti fermi, che escludono il suicidio, mostrano evidenza di un suo ritrovamento nella primavera del 1939, e purtroppo fissano nell’estate del 1939 la fine della sua esistenza terrena”.

Un “fantasma di fatto”: Majorana in Certosa (ma era soltanto un’esperienza “metafisica” di Sciascia)

Sembra appena il caso di rilevare che il libro di Gambino, a cui è tematicamente estranea l’indagine sulla data della morte di Ettore Majorana a cui sopra si è fatto cenno, costituisce un tassello importante nella decostruzione della falsa notizia che vorrebbe la presenza nel monastero certosino di Serra San Bruno sia del grande fisico sia del pilota dell’Enola Gay, rifugiatisi nella clausura monastica, al dire dei tanti per nulla annoiati ripetitori di queste plateali fake news, perché oppressi dai rimorsi e desiderosi di espiazione. Tutto era nato, nel caso di Majorana, da un’inchiesta di Leonardo Sciascia, pubblicata prima dal quotidiano “La Stampa” e poi uscita in volume per Einaudi (1975), nella quale l’illustre scrittore siciliano sosteneva, non con la forza dei documenti e delle testimonianze bensì, come egli scriveva, per effetto di “una esperienza di rivelazione, una esperienza metafisica, una esperienza mistica”, che “rispondenti o no a fatti reali e verificabili, quei due fantasmi di fatti [la presunta presenza dentro la Certosa del pilota americano e dello scienziato, n.d.a.] che convergevano su uno stesso luogo non potevano non avere un significato”. Fantasmi di fatti li definisce lo stesso Sciascia, ossia, dal punto di vista del riscontro di realtà, ombre evanescenti, ectoplasmi, figure inconsistenti. D’altronde, labilissimo era l’indizio che aveva condotto Sciascia dentro la Certosa di Serra, sulle tracce di Majorana: “Una sera, a Palermo, parlavamo della sua misteriosa scomparsa con Vittorio Nisticò, direttore del giornale «L’ora». Improvvisamente, Nisticò ebbe un preciso ricordo: giovanissimo, negli anni della guerra o dell’immediato dopoguerra, insomma intorno al 1945, aveva visitato, in compagnia di un amico, un convento certosino, e ad un certo punto della visita, da un «fratello» […] avevano avuto la confidenza che nel convento, tra i «padri», si trovava un grande scienziato”. L’unico e solo appiglio per tenere in piedi l’inverosimile costruzione era questo, due scarne e genericissime parole che spiegavano pressoché nulla e che non si riferivano a nessuna riconoscibile persona, ma che avrebbero innescato da quel momento, in conseguenza della personale e “mistica” interpretazione data a esse da Sciascia, fiumi di parole, inchieste giornalistiche, trasmissioni televisive, quasi tutte orientate a confermare acriticamente, sottraendosi al dovere della verifica, l’intuizione “metafisica” del romanziere. Aveva buon gioco, allora, Sharo Gambino a smontare quel precario edificio poggiante sul niente, a derubricare nella categoria del falso il presunto giallo, opponendo a esso la sua ricerca paziente negli “schedari della Certosa e dell’anagrafe del Comune di Serra S. Bruno” nei quali tracce di Majorana non ne aveva ritrovate. Buon gioco, certamente, ma non facile gioco, perché informati i quotidiani “La Stampa” e “Paese Sera”, che avevano fornito grande risalto al “giallo” di Sciascia, dei risultati negativi dell’indagine, le due redazioni non avevano dato alcun seguito alle sue informazioni. “Un giallo è un giallo e tale deve continuare ad essere se si tratta di un successo letterario, reca una prestigiosa firma e ci sono migliaia di copie da vendere”, commentava con una punta di amarezza Gambino. 

Il secondo fantasma: il pilota di Hiroshima in clausura (anche se Padre Antonio su quegli aerei non era mai salito)

Da una intuizione di Gambino, da un “momento” della sua vita di giornalista era, invece, nata l’altra falsa notizia o “leggenda”, come lo scrittore la chiama, quella che voleva “uno dei piloti che bombardarono Hiroshima”, secondo il titolo del settimanale “Oggi” del 2 novembre 1962, ritirato in clausura nella Certosa di Serra “per cancellare il ricordo di quella spaventosa ora di distruzione”. Solo che Gambino, nella sua “intuizione” pubblicata dal quotidiano romano “Il Tempo” il 13 luglio 1962, quattro mesi prima dell’articolo di “Oggi”, aveva raccontato un’altra storia, quella di Padre Antonio, volontario dell’esercito statunitense e sergente di fanteria in Corea, che da lì era poi passato in Giappone, visitando Tokio, Hiroshima e Nagasaki e già con il seme della vocazione ecclesiastica che gli germogliava dentro: “Ogni incertezza crollò a Hiroshima su cui da un aereo Usa […] era stata fatta cadere la prima, disastrosa, determinante bomba atomica per costringere il Giappone alla resa. Hiroshima era tutto un oceano di macerie ed il giovane sergente, con l’animo affranto, passava tra quelle rovine e pensava che l’umanità doveva essersi assai allontanata da Dio se era stata ammonita con quell’immane spettacolo di morte”. Sei mesi dopo aver visitato Hiroshima era entrato in seminario a Little Rock in Arkansas ed era, infine, giunto nella Certosa di Serra. Un semplice visitatore degli orrori di Hiroshima il futuro Padre Antonio, che sarebbe incredibilmente diventato, quattro mesi dopo, nel lungo reportage da Serra San Bruno di Gianfranco Poggi per “Oggi”, uno dei componenti della flotta di aerei che avevano sorvolato la città per buttarci l’atomica con il suo terribile carico di morte, non l’Enola Gay da cui la bomba sarebbe stata sganciata, ma “The Great Artist”, il secondo B-29 della pattuglia. Due leggende metropolitane, quelle di Majorana e del pilota di Hiroshima dentro la Certosa, delle quali L’atomica e il chiostro di Gambino, ricostruendone la genealogia, svelava, per chi fosse stato disposto a vederla, l’autentica storia.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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