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Il rapporto tra i fotografi e la Certosa di Serra San Bruno meriterebbe certamente qualche attenzione in più rispetto ai riferimenti rapsodici che è possibile rintracciare in qualche pubblicazione. E se la sua storia ha un quasi certo punto d’origine nelle lastre fotografiche di fine Ottocento che documentano lo stato dei ruderi del monastero dopo il disastroso terremoto del 1783, tale rapporto ha, d’altra parte, conosciuto sviluppi novecenteschi nei quali non sono mancati nomi di primissimo piano della fotografia italiana (basti pensare a Mario Dondero o a Franco Pinna, che un sessantennio addietro ha documentato con le immagini il viaggio etnografico di Ernesto De Martino a Serra). Non solo, ma la rilevanza del mezzo fotografico nella storia culturale del monastero è facilmente riscontrabile anche da alcune pubblicazioni di fotografi (è il caso de I colori del silenzio di Massimo Bassano) o alle quali i fotografi hanno fornito il loro fondamentale contributo (com’è accaduto, per esempio, con il compianto Salvatore Piermarini o con Fernando Moleres), senza dimenticare due album fotografici editi da Analecta Cartusiana per le cure di James Hogg. Per giungere, infine, ai lavori fotografici di Giulio Archinà e del serrese Bruno Tripodi, quest’ultimo tra i fotografi oggi più attivi nella documentazione, si potrebbe dire a 360 gradi, della vita della Certosa calabrese.
Trentaquattro illustrazioni in fototipia per raccontare la Certosa
Una storia varia e da riconsiderare attentamente, come si vede, che ha avuto in una pubblicazione del 1921, la quinta “nuvola di carta” di questa rubrica e ormai un’autentica rarità bibliografica, l’unica raccolta fotografica per molti anni disponibile per chi avesse voluto accostarsi alla Certosa di Serra anche dalla prospettiva dei materiali visivi. Il piccolo libro – tra testo introduttivo, foto e carte bianche sono poco più di cinquanta pagine – si intitola La Certosa di Serra San Bruno (Calabria). Fondata da S. Bruno nell’anno 1090. Restaurata nell’anno 1899. Appunti storico-religiosi con 34 illustrazioni in fototipia e risulta edito dalla stessa Certosa, pur se la tipografia utilizzata per la stampa si può forse identificare con quell’Alterocca di Terni che negli anni successivi avrebbe diffuso le immagini del volume sotto forma di cartoline. E non manca la nota introduttiva (gli “appunti storico-religiosi” richiamati nel titolo) di proporre una rapida e densa storia del monastero, nella quale si forniscono informazioni anche su eventi relativamente recenti come l’episodio avvenuto durante il decennio francese in cui “essendosi presentato tra noi, certo Pignatelli, da Monteleone, con l’autorizzazione di asportare la veneratissima statua ed il trono prezioso [il busto argenteo di San Bruno e la varia, n.d.r.], la popolazione, mossa da sentimenti di fede e di patriottismo, insorse unanime, e preferì comperare a prezzo d’oro quei sacri depositi, piuttosto che lasciarseli rapire da mano straniera”. Né trascura di ricordare, richiamando alcune significative figure, il contributo delle maestranze serresi alla ricostruzione del complesso monastico, come nel caso di Alfonso Scrivo e Alessandro Barillari, autori degli stalli del coro e del pavimento in legno ad intarsio della chiesa conventuale, o di Giuseppe Drago, artefice della torre merlata al di sopra della quale si erge la statua di San Michele giunta in Certosa il 27 luglio 1912, a memoria di due apparizioni avute da San Bruno. Analogamente, il certosino estensore anonimo della nota non rinuncia a richiamare taluni elementi del culto tributato a San Bruno, come il fenomeno dei “certosinetti” – documentato anche in una delle 34 fotografie – che vede vestire con l’abito certosino, per grazia ricevuta, i bambini in occasione delle due feste annuali dedicate al santo (e quanto compiacimento c’è, da parte dell’autore, nel sottolineare che “in un anno solo se ne contarono fino a 70”), né dimentica quanto avvenne non molti anni prima, durante l’epidemia di “spagnola”, quando la processione del busto reliquiario d’argento fece cessare il fenomeno epidemico che aveva già causato 100 vittime.
Una storia per immagini e parole
Alla storia in forma di parole fornisce adeguato riscontro il racconto per immagini, che concentra il proprio focus soprattutto sugli spazi del monastero e sui luoghi associati alla vita di San Bruno, restituiti al lettore con il chiaro intento che nulla di questi luoghi possa sfuggire, quasi a immortalare, attraverso l’obiettivo fotografico, alcune fondamentali tappe della presenza del santo in Calabria nel decennio conclusivo dell’XI secolo. Non a caso la sequenza d’immagini che si concentrano su tali luoghi – e che sono anche le immagini finali del volume – si apre con una veduta esterna della chiesa di Santa Maria del Bosco e del dormitorio di San Bruno e si chiude con il cippo di Croce Ferrata, dove un’epigrafe ricorda che lì nel 1098 Bruno aveva incontrato Landuino, il priore del monastero francese di Grenoble che ne era stato il successore dopo il trasferimento di Bruno in Italia. In tale contesto non potevano, ovviamente, mancare le fotografie del cosiddetto dormitorio, con la statua marmorea di Bruno opera del XVIII secolo di Stefano Pisani, e del laghetto di penitenza in cui, secondo la tradizione locale, Bruno avrebbe macerato le sue carni anche in pieno inverno tra la neve e il ghiaccio. Di particolare significato, soprattutto per la storia del culto tributato in Calabria al santo, appaiono le due successive foto dedicate alla chiesetta di Sorianello e all’ulivo di San Bruno, a dire di alcune fonti agiografiche gradito rifugio di Bruno durante i viaggi che il santo avrebbe fatto verso Mileto presso la corte di Ruggero d’Altavilla.
L'ulivo di San Bruno a Sorianello
Una pagina non marginale, questa, nella vicenda della piena ripresa dell’osservanza certosina in Calabria alla fine del XIX secolo, se, nel clima di intensa devozione di quel periodo, il terreno su cui era sorta la piccola chiesa era stato acquistato dal priore certosino Dom Francesco Ciano e la chiesetta era stata edificata in virtù dell’interessamento concorde della Certosa serrese e dell’arciprete di Sorianello Don Domenico Cannatelli. E si vorrebbe aggiungere come ci troviamo dinanzi a una suite di foto che si pongono anche al servizio della storia del monastero perché documentano, insieme con tanti ambienti rimasti immutati, talune trasformazioni che i suoi spazi hanno subito nei decenni seguenti, fin quasi ai giorni nostri. Ne danno testimonianza, per esempio, le immagini che riportano le cloche del padiglione d’ingresso, della torre dell’orologio e della chiesa conventuale oggi non più esistenti perché abbattute per problemi di staticità. O anche le due foto della chiesa con la presenza della porta di separazione del coro riservato ai padri da quello dei fratelli conversi, vista dal Sancta Sanctorum e dalla tribuna, poi rimossa, insieme con i quadri laterali di Santo Stefano e San Bruno, poiché non più adeguata alla liturgia.
La torre dell'orologio con la cloche e la chiesa della Certosa in una foto del 1921
Ma, forse, il cuore segreto del libro è da rintracciare in una foto singola, quasi appartata in un contesto di spazi architettonici e liturgici certamente preponderanti nel numero, che riporta l’interno di una cella, il cubicolo, con un certosino inginocchiato nell’oratorio, in preghiera davanti a una effigie della Madonna. Nei tanti mutamenti dell’esteriorità, ciò che non muta è la vocazione dei monaci, quel silenzio e quella solitudine della cella che costituiscono parte essenziale della loro vita.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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