Domenica, 11 Giugno 2023 09:05

Una nuova “materia sacra”. Reliquie da contatto dal busto di San Bruno

Scritto da Tonino Ceravolo*
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Si definiscono “reliquie da contatto” e si tratta di tutti quegli oggetti ritenuti sacri perché hanno “toccato”, dopo la sua morte, il corpo di un santo, i cosiddetti brandea (ma usati sono pure i termini pallioramemoriapignorasanctuariapatrocinia). Accanto ai resti dei corpi dei santi – le reliquie in senso più forte – storicamente nel cristianesimo sono venerati, infatti, anche gli oggetti entrati in contatto con le loro tombe o appesi nella cripta o poggiati sui loro resti e, persino, la polvere raccolta nei loculi, i vestiti o altri oggetti a loro appartenuti, i frammenti, più o meno consistenti, asportati dai luoghi teatro della loro vita o dei miracoli o di altre azioni significative. Le chiese di Roma, nel tempo, hanno ospitato numerose reliquie di tal fatta di Gesù: Santa Maria Maggiore la mangiatoia, San Paolo il lenzuolo in cui fu avvolto, San Giacomo l’altare sul quale fu posto durante la presentazione al Tempio, San Giovanni in Laterano la tavola della cena, così come il panno con il quale furono asciugati i piedi degli apostoli. Tale tipologia di reliquie, peraltro, non risulta esclusivo appannaggio del mondo religioso, perché pure in campo laico si è assistito a una sacralizzazione degli oggetti appartenuti a figure carismatiche. Giuseppe Garibaldi – come ha osservato Dino Mengozzi (Garibaldi taumaturgo. Reliquie laiche e politica nell’Ottocento, Piero Lacaita Editore, 2008) – utilizzava, deliberatamente, le reliquie “per moltiplicare il proprio corpo, lasciando in dono mantelli, camicie, berretti, stivali, sigari, spade […]” e le richieste di tali cimeli crescevano con il crescere della sua fama, come accadde durante il viaggio a Londra del 1864: “Richieste di ciocche di capelli, furti di oggetti personali, vendita dell’acqua insaponata del suo lavandino”. Produttore di reliquie in vita, il corpo di Garibaldi continuò a produrne anche post-mortem, rendendo sacri gli oggetti che ne erano entrati in contatto (il lenzuolo funebre e la coperta, per esempio).

Dal busto di San Bruno nuove reliquie da contatto

Premessa d’obbligo per dire come nel corso di una recente osservazione, durante la processione del busto reliquiario di San Bruno del martedì di Pentecoste, si poteva rilevare un gesto ripetuto più volte e che all’universo delle reliquie da contatto, prima sinteticamente descritto, rinvia. Siamo alla conclusione della processione, dopo la benedizione impartita ai fedeli dal padre priore della Certosa, nel periodo di tempo occupato dallo smontaggio del nuovo scafandro che protegge il busto reliquiario del santo e la varia processionale dal lancio dei confetti che inevitabilmente li danneggerebbe. Da quando, recentissimamente, per effetto della sistemazione del nuovo involucro protettivo, la scopertura del busto dalla sua protezione trasparente avviene in mezzo alla folla dei fedeli assiepati dinanzi all’ingresso del monastero si verifica un fatto non completamente inedito, ma che con il busto scoperto acquista un nuovo significato e si rafforza in intensità: numerosi devoti porgono a uno degli addetti allo smontaggio dello scafandro dei fazzolettini di carta, che vengono strisciati sul busto e sul volto del reliquiario argenteo di San Bruno e poi restituiti ai loro possessori. Il fenomeno, come documenta la foto del Vizzarro pubblicata in apertura di questo articolo, si poteva riscontrare, in misura più ridotta, anche al tempo della vecchia cupola posta intorno al busto del santo, ma oggi non siamo di fronte al medesimo fenomeno, per quanto le intenzioni possano ricondursi allo stesso orizzonte segnato dal desiderio di possedere qualcosa che sia stata in contatto con San Bruno o con il suo simulacro, avendo quest’ultimo un valore simbolico del tutto assimilabile al contatto con il vero corpo. Nella foto qui riprodotta il fazzoletto della fedele viene passato sopra la cupola che protegge il busto e non direttamente su esso, passa cioè su qualcosa che non è la reliquia del santo e non è il busto che la contiene. I fazzolettini oggi strisciati, invece, a diretto contatto con il busto reliquiario ricavano dal simulacro e dalla parte di corpo che custodisce (la calotta cranica di San Bruno fino alle arcate orbitali) quella virtus produttrice di tutela e protezione taumaturgica tipica dei resti dei santi e dei loro brandea. Insomma, quei fazzolettini sono in qualche modo e a loro modo anch’essi “reliquie”, materia sacra a tutti gli effetti, qualcosa su cui si è “trasferita” per contatto la “potenza” prodigiosa che appartiene al corpo del santo. Si potrebbe addirittura dire, estremizzando un po’ il discorso, che ci troviamo in presenza di nuove reliquie, visto che reliquia non è soltanto il corpo o parte, più o meno significativa, di esso, ma pure ciò che con tale corpo, per contatto, mediante una relazione “sensibile”, è entrato in rapporto. E c’è da ritenere che in tale modo questi oggetti siano considerati dai fedeli che ne sono in possesso, oggetti carichi di sacro, investiti delle medesime meravigliose virtù del corpo santo.

“Estrazioni” e distribuzioni di reliquie

D’altronde, se per San Bruno non si è assistito a un processo di produzione di reliquie da contatto analogo a quello, per rimanere in un’area limitrofa, che ha riguardato le cosiddette “misure” associate al culto della tela achiropita di San Domenico in Soriano, occorre osservare che i resti del suo corpo, ritrovati secondo la tradizione locale agli inizi del XVI secolo, hanno subito vicissitudini tali che le loro parti fisicamente più consistenti sono state dislocate in luoghi e contenitori diversi: la calotta cranica fino alle arcate orbitali, come si è già detto, dentro il busto reliquiario, una quantità considerevole dell’apparato osseo all’interno di una teca oggi collocata sull’altare della chiesa conventuale della Certosa di Serra, la mandibola (foto in basso) presso un altro monastero certosino. Non solo, ma tali reliquie, come di frequente è accaduto per i resti dei corpi dei santi, sono state sottoposte a pratiche di estrazione e distribuzione di frammenti di vario genere e lo stesso teschio si è trovato a essere scomposto, sminuzzato, diviso in “particole”, come scrive Dom Benedetto Tromby raccontando quanto avvenne durante la seconda ricognizione dei pignora brunoniani del 3 novembre 1514: “Or in tale favorevole congiuntura (e chi non l’avrebbe fatto) ben se ne seppero approfittare i RR. PP. Visitatori, e Commessarj. Ciascun spinto dalla propria divozione, ne prese per se, e per la sua Casa, chi più, chi meno non già qualche particola, ma non incontrando contradizione da niuno, pezzi ben grandi di quelle Sacre Reliquie del Santo Patriarca. Certo sta, che al Reverendissimo P. D. Francesco del Pozzo, Generale dell’Ordine, che tanta cura preso s’avea per verità in tal negozio presentogl’ il P. D. Jacopo d’Aragona Prior di Napoli, e Visitatore della medesima Provincia una Mascella, con due denti. Il P. D. Matteo Vigiis Prior di Bologna, ne prese ben ancora un altro buon pezzo. Ed a me costa, che si fu l’altra mascella, della quale ne fece porzione al P. D. Gregorio Reischio Prior di Friburg, e Visitatore della Provincia del Reno, che poté distribuirne a più d’un’altra Casa. E porzione al P. D. Pietro Leiden Prior di Colonia”.

San Bruno nel reliquiario della Francia cristiana

Ancora nel XIX secolo i resti di San Bruno furono smi­nuzzati due volte, la prima nel 1825 in occasione della “ricognizione” fatta da Mons. Pellicano presso la chiesa Matrice di Serra e la seconda nel 1900, dietro richiesta del Cardinale Langénieux, perché delle loro parti potessero essere in­viate alla Certosa napoletana di San Martino e a Reims. L’episodio di Reims, sorto in seguito al pro­getto di erigere in quella città una chiesa dedicata a Santa Clotilde, la cui cripta potesse contenere “il reliquiario della Francia cristiana”, a solenne memoria del quattordicesimo centenario del battesimo di Clodoveo, re dei Franchi, celebrato quattro anni prima, è particolarmente interessante perché rende testimonianza della “presenza” di San Bruno, a otto secoli di di­stanza, nei luoghi in cui visse e perché permette chiaramente di intravedere come la mentalità dell’epoca considerasse questi reperti del sacro. Possiamo, infatti, assistere, in questa circostanza, a una sorta di “contesa” dei resti del santo fra il municipio di Serra San Bruno, proprietario delle reliquie e poco intenzionato a concederle, e l’Arcivescovo di Reims, sostenuto dalla Grande Certosa, che insiste per averle. Quando, finalmente, il municipio si risolve a inviarle, le reliquie vengono giudicate troppo piccole e da Reims si scrive di nuovo per riceverne qualcuna più consistente. Il priore della Certosa calabrese, Dom Ambrogio Bulliat, in una sua risposta al sindaco di Serra, dichiaratosi disponibile al nuovo “trasferimento”, cerca, per­fino, di precisare che cosa si intenda per “pezzo un poco rilevante” delle reliquie: “Si tratta solo d’un pezzo avendo (sic!) 3 o 4 centimetri al più. E per gli altri piccoli basterebbe che fossero grossi come 2 o 3 volte la testa d’una spinola”. Laddove si può facilmente osservare una preoccupazione reci­proca all’apparenza opposta, ma, in realtà, convergente, che è quella di possedere una porzione si­gnificativa del corpo santo, se è vero che da parte del municipio di Serra San Bruno si vuole conser­vare l’integrità di quei resti, peraltro pure in passato sottoposti ad “estrazioni”, che sono, comunque, delle parti di corpo e non un intero corpo, mentre dal versante remense si desidera una reliquia ben visibile da porre nel reliquiario della Francia cristiana accanto a quelle delle chiese di Parigi, Lione, Bordeaux, Marsiglia, Autun, Orléans e così via. Da una parte timore che lo sminuzzamento delle membra faccia perdere valore e potenza, minacci l’efficacia del corpo santo, che, probabilmente, si vuol detenere quanto più possibile in “esclusiva”, come segno di un legame privilegiato; dall’altra sicuramente consapevolezza del valore della reliquia come memoria, come emblema di una storia sacra alla quale il reperto rimanda, ma anche convinzione che il corpo frantumato non per questo perda la sua efficacia, che così resta e nel corpo e nei suoi frantumi. Tuttavia, la moltiplicazione dell’efficacia del corpo tramite la divisione dei suoi reperti deve pur sempre avvenire per mezzo di parti che possano ancora considerarsi corpo, che possano essere di definita identità anatomica, non frammenti incerti o schegge ambigue. Si tratta di conservare e mostrare pezzi “significanti”, ancor meglio se parti che hanno avuto una loro funziona­lità organica, perché i fedeli abbiano un brandello riconoscibile da poter venerare. La minuta vicenda serrese della Pentecoste del 2023, con i fazzolettini di carta dei fedeli appoggiati sul busto reliquiario di San Bruno, è anche a questa vicenda plurisecolare che rinvia, una vicenda che, a ogni evidenza, ancora non ha finito di dispiegare i suoi effetti.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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