Domenica, 23 Febbraio 2025 10:40

Nella Spoon River di Sharo Gambino. L’Ancinale, Serra e la Certosa

Scritto da Tonino Ceravolo*
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  • La "biografia" del paese è un atlante disegnato con amore e passione. Perché è questo che allo scrittore interessa: tessere e ritessere i fili di una storia della quale sente di far parte. Con un testamento spirituale che può rappresentare anche una lezione per l’oggi
Sopra e in basso, foto di Franco Gambino allegate alla seconda edizione di "Sull'Ancinale" (Il Brigante, 2005) Sopra e in basso, foto di Franco Gambino allegate alla seconda edizione di "Sull'Ancinale" (Il Brigante, 2005)

Certamente da non ridurre ai luoghi che sono stati teatro della sua vita (Vazzano, Serra San Bruno, Cassari di Nardodipace, San Demetrio Corone) e dei quali rimangono non piccole tracce nelle sue opere, l’attività giornalistica e letteraria di Sharo Gambino tuttavia non sarebbe stata ciò che è stata se non fosse vissuto in questi luoghi. Tra “locale” e “universale”, volendo porla in termini diversi, bisogna ravvisare, nell’opera di Gambino, un dialogo fecondo e continuo: il “locale” dà concretezza, sostanza, contenuto, ma è un humus da cui traluce una condizione all’evidenza più vasta, la grande questione della miseria e della sofferenza umana, la lotta e la rivolta dell’uomo dinanzi a situazioni storiche date, i gorghi della storia che, soprattutto in taluni loro decisivi passaggi, avviluppano chi si stia trovando a viverli quei passaggi. Con la precisazione che tale duplice registro può distribuirsi diversamente a seconda della tipologia di opere considerate e che sono soprattutto racconti e romanzi la sede nella quale quel dialogo, quella “dialettica” si fa più evidente, poiché è in particolare lì che il “locale” costituisce spunto, ispirazione, materia per la narrazione, ma è la condizione storica e umana ciò di cui nella narrativa di Gambino essenzialmente si parla. E con l’aggiunta che il contesto specifico, quando è fatto oggetto di iniziative editoriali come nelle opere non narrative dedicate, per esempio, a Serra San Bruno o a Vazzano, pur avendo (ovviamente avendo) una propria autonomia costituisce, nello stesso tempo, una specie di deposito, di archivio memoriale da cui trarre storie e racconti, che da quel contesto partono e in quel contesto si muovono, ma per trascenderlo in un orizzonte più ampio.

Storie della Serra di San Bruno

Con questa premessa ci avviciniamo alle opere di Gambino a partire dall’accattivante Sull’Ancinale. Serra San Bruno e la Certosa (Tipo-legatoria Mele, 1982), che nella sua seconda edizione (Il Brigante, 2005) sarebbe diventato semplicemente Sull’Ancinale, come a voler indicare, forse, che c’era da intravedere nel testo qualcosa in più rispetto a quanto la seconda parte del titolo della prima edizione diceva o come a voler mettere con vigore l’accento proprio sul fiume, quell'Ancinale/Enchinar già richiamato in remoti diplomi medievali, quel fiume che dava, insieme, vita e morte (si pensi all’alluvione del 1935) e sulle cui sponde, per secoli, si era svolta l’esistenza degli uomini e delle donne del territorio. La “mia Spoon River” l’avrebbe definita qualche volta Gambino, anche con gli amici che hanno avuto il privilegio di frequentarlo, riferendosi alla raccolta poetica di inizio Novecento dell’americano Edgar Lee Masters, che aveva consegnato per sempre all’immaginario contemporaneo gli epitaffi del chimico, dell’ottico, del giudice e delle altre persone vissute e morte nel piccolo paese scaturito dalla sua fantasia. E quanti personaggi “della Serra” o “della Serra di San Bruno”, secondo le espressioni che Gambino amava, scorrevano, come nel flusso poetico di Spoon River, nelle pagine di Sull’Ancinale: gli Scrivo, i Pisani, i Tedeschi, gli Zaffino, medici, ecclesiastici, artisti, ai quali non veniva negato un cenno, un riferimento, una storia, il racconto di un episodio, quasi a ricomporre un puzzle andato disperso nel tempo che, ora, sotto la sua penna si rianimava e riprendeva vita. C’è Serra e ci sono i serresi, ci sono i luoghi e le persone, le coordinate di una personale geografia, di un atlante disegnato con amore e passione, perché è questo che a Gambino interessa, tessere e ritessere i fili di una storia della quale sente di far parte. E di una storia che comincia da relativamente lontano, quell’XI secolo in cui, in seguito all’arrivo “in finibus Calabriae” di Bruno di Colonia e del suo drappello di monaci eremiti, un insediamento umano, sulle rive dell’Ancinale, ebbe inizio: “Da lì va per serra della medesima montagna sino a Malareposta”, come si scrive in un documento normanno dell’epoca. Legata alla Certosa questa storia (e Sharo Gambino ne segue, cronologicamente, lo sviluppo e le fasi assumendo come numi tutelari gli autori che l’hanno raccontata, i Tromby, i Capialbi, i Taccone-Gallucci, i Tedeschi) e perciò storia che è dipesa in misura significativa dalla storia del monastero e però anche, non certo marginalmente, storia civile, che si inserisce nel flusso di quella nazionale (con gli italiani che al tempo dell’unificazione pure a Serra “sono da fare” o con i tanti episodi del fascismo locale) e che ha alcune pagine distintive, come nel periodo del brigantaggio con l’episodio, diventato famoso, del generale Manhès.

Un testamento spirituale

Un libro che è, al contempo, storia e memoria, che si nutre del distacco di chi osserva dall’inevitabile distanza temporale gli eventi e li sottopone al proprio filtro di lettura, ma che lascia trasparire senza incertezze la partecipazione (come dire?) affettiva del suo autore a quegli eventi, a quelli lontani perché elementi essenziali della biografia di un paese che si ama e a quelli più vicini perché costituiti da volti e persone conosciuti, da compagni di strada con cui si condividono storie, ricordi, frammenti di tempo convissuti. Talmente partecipe tale adesione di Gambino all’oggetto del suo racconto da fargli pronunciare, a conclusione di un capitolo (“Un pizzico di borbonismo”) dedicato all’evoluzione del quadro politico serrese, un “discorsetto di chiusura” dedicato a “quanti saranno chiamati ad amministrare Serra”: “Questo libro, pur con inevitabili lacune, coi suoi limiti, coi suoi difetti, offre la possibilità di una meditazione profonda. Esso è la storia di un popolo che ha sempre saputo lottare e vincere e che merita di veder rinnovato il suo glorioso passato con sagge iniziative, con incentivi che valorizzino le immense risorse latenti, non spente, tra la gioventù. Si lascino una buona volta e per sempre le fazioni, le critiche non costruttive, la contrarietà per partito preso. Si operi con coscienza avendo dinnanzi l’esclusivo bene delle future generazioni. Sembra un discorsetto demagogico; ed invece è pronunciato col cuore, così come col cuore è stato scritto questo libro da uno che ha amato (ed amerà finché avrà vita) Serra d’amore sviscerato, cantandola in centinaia di corrispondenze, in tanti e tanti racconti, poiché in essa, sull’Ancinale, ha trascorso l’intera sua esistenza”. Col cuore, dice Gambino, certamente non ignorando, nonostante l’apparente ingenuità e il candore della sua proposta, le difficoltà che avrebbero ostacolato la prospettiva indicata. E sembrano quasi espressioni e frasi da testamento spirituale, ancorché scritte nel pieno fervore della sua attività intellettuale. Se possa anche esserci una lezione per l’oggi è questione che esula dall’argomento di questa rubrica.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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