Domenica, 10 Novembre 2024 07:55

Tre cose (di Serra) che non vedremo mai

Scritto da Tonino Ceravolo*
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  • Ecco le tracce storiche di alcune opere che non ci sono più, che sono state pensate ma mai diventate reali o che non ci sono mai state. Il “tumolo” (scomparso) di San Bruno a Santa Maria, i progetti (rimasti tali) per un nuovo “dormitorio” e il palazzo “fantasma” di Ruggero il Normanno

Cose che non ci sono più, cose che (forse) non ci sono mai state, cose che qualcuno aveva progettato perché ci fossero e che però non sono state realizzate. Oggetti ipotetici, fantasmi di realtà inafferrabili, ombre di cui, al massimo, rimane un disegno o un accenno in qualche brogliaccio d’archivio. Insomma, cose, nella loro concreta materialità e fisicità, oggi invisibili, nelle quali può capitare di imbattersi al massimo come puri oggetti cartacei, tra le pagine di un libro o su una cartolina o in mezzo all’inchiostro, non sempre facilmente decifrabile, di un manoscritto. 

Il “tumolo” (scomparso) di San Bruno a Santa Maria

E la prima di queste, della quale non si ha alcuna traccia materiale, è il cosiddetto “tumolo di S. Brunone eretto nella Chiesa dell’Eremo di S. Maria del Bosco in Calabria”, come informa nel terzo volume della sua enciclopedica Storia critico-cronologica diplomatica del patriarca S. Brunone e del suo Ordine Cartusiano (Napoli, Vincenzo Orsino, 1773-1779) dom Benedetto Tromby, che ne riporta la “figura” nell’incisione dovuta ad Antonio Zaballi (Firenze, 1738 – Napoli, 1785). Quel medesimo Antonio Zaballi, “Regio Incisore”, che aveva contribuito all’opera del Tromby anche con l’incisione del suo frontespizio figurato, su disegno di Nicola M. De Fazio, illustrato con l’immagine di Maria Carolina d’Austria e con un’incisione, inserita nel primo volume, in cui si vede San Bruno, circondato dai suoi primi sei compagni, che mostra il monastero della Grande Chartreuse raffigurato in alto e viene indicato, secondo la frase del Vangelo di Giovanni leggibile in un libro su cui poggia la mano sinistra, come l’esempio da seguire per ogni certosino. Come sempre di Antonio Zaballi, su disegni “dal vero” di Pompeo Schiantarelli, erano le incisioni, prodotte per l’importante opera di Michele Sarconi Istoria de’ fenomeni del Tremoto avvenuto nelle Calabrie, e nel Valdemone nell’anno 1783 (Napoli, Giuseppe Campo, 1784), delle due lastre del “claustro della Certosa di S. Bruno” – con la fondamentale illustrazione del suo “doppio ordine” – e delle rovine del monastero in una veduta, disegnata dall’esterno, che lasciava intravedere, con uno sguardo d’insieme, gli enormi danni causati dal sisma. E che il tumolo inciso da Zaballi fosse effettivamente in situ sembra dimostrarlo la corrispondenza tra l’immagine e la descrizione del manufatto che aveva dato, oltre un secolo prima, il vescovo di Venosa mons. Andrea Perbenedetti, il quale, recandosi il 28 luglio 1629 nel corso della sua visita apostolica presso la chiesa di Santa Maria, aveva visto nell’altare maggiore un “ornamento lapideo” che esponeva al centro, dentro un’edicola, la statua della Vergine, accompagnata al suo lato destro dalle statue di San Giovanni Battista, S. Stefano e San Rocco e al lato sinistro dalle statue di San Girolamo, San Bartolomeo e San Bruno, mentre nell’ordine superiore si scorgeva al centro Dio Padre, “orbem lapideum in manu sustinentis”, con ai lati “simulachriola Prophetarum”. Pur se, con ogni probabilità, occorre presupporre che il tumolo fosse, in realtà, un cenotafio, considerato che le reliquie di San Bruno – ritrovate agli inizi del XVI secolo, secondo la memoria storica locale, da Antonio De Sabinis – erano state traslate successivamente al ritrovamento, “nella seconda Feria dopo la Pentecoste” (Tromby), da Santa Maria alla Certosa di S. Stefano a un chilometro di distanza.

Progetti (rimasti tali) per un nuovo “dormitorio”

Un progetto, un’idea, un proposito non realizzato è, invece, quello che si vede nell'immagine pubblicata qui accanto e che, come si legge nell’iscrizione in basso a sinistra, riporta un titolo (“Bozzetto della ricostruzione del dormitorio di S. Bruno a S. Maria del Bosco”), una firma (“ideato dal pittore prof. Oreste Dorbes da Roma”) e la data del 1959 e che, forse per rappresentare il contesto altrimenti difficilmente desumibile dal disegno, sulla destra lascia intravedere, quasi sfumato, il laghetto di penitenza di San Bruno, con la colonna al centro e la statua inginocchiata del santo. Appena un anno prima, nell’ottobre del 1958, come narra una cronaca certosina dell’epoca, il dormitorio aveva subito seri danni in seguito a una tempesta: “Durante questa notte tra il 16 ed il 17, a seguito di un grande temporale e nubifragio, il tempietto del dormitorio di S. Bruno è stato gravemente danneggiato da un grosso albero di pino che schiantato dal vento è andato a coricarsi tutto per intero sul tetto dello stesso dormitorio di San Bruno. Quelli addetti alla rimozione del tronco hanno aggiunto danni ai danni, rovinando la scalinata, i muri e spezzando una colonnina. Già da molto tempo il detto Dormitorio, con l’attigua Chiesa di Santa Maria, di proprietà del Comune di Serra San Bruno, erano molto malandati. Dietro continue insistenze del Priore della Certosa, il Comune di Serra, aveva fatto preparare il legname necessario per il restauro della Chiesa di Santa Maria; però ancora si sta come prima. Inoltre, il Priore della Certosa si è fatto promotore, già da due anni, per raccogliere elemosine necessarie per restaurare, unitamente a quelli del Comune, il Dormitorio di San Bruno e fino a oggi si sono raccolte circa 400mila lire. Si spera soprattutto nell’aiuto del Comune e di qualche autorità del Governo per il grosso delle spese”. Un disegno del “restaurando” dormitorio venne prodotto dall’artista serrese Giuseppe M. Pisani e lo si può ammirare sul sito artistipisani.it (“Lo fece bello, elegante! Ma …. quanto costerà?”, osservò in un suo scritto dom Basilio M. Caminada), un altro è quello del romano Dorbes che si vede in questa pagina: “Lascia un’impressione piuttosto deprimente e non riscuote l’entusiasmo di nessuno” (ancora dom Caminada). Sta di fatto che nessuno dei progetti predisposti (né Dorbes né Pisani né quello dell’ingegnere Giovanni Crinò) vide mai neppure l’avvio e che del nuovo dormitorio rimangono oggi soltanto dei segni su carta. Intanto, seguendo l’attenta nota di dom Caminada, nella notte tra il 15 e il 16 febbraio del 1964 crollò in buona parte il muro posteriore del tempietto esistente e vennero alla luce ruderi più antichi: “Un arco a tutto sesto di muratura bianca, consistente di sassi congiunti da una specie di malta. […] Si vede poi un muro di mattoni rossi, portando un arco a sesto ribassato, mattoni cimentati all’interno del muro, all’altezza di 6 metri dal sentiero dietro il Dormitorio”. Nel mese di giugno del 1965 fu messa la nuova grata su disegno di Giuseppe M. Pisani e nel 1966, per interessamento del dottor Franco Palermo, si procedette all’asportazione del pavimento per rinnovarlo, scoprendo “una fossa con l’inizio della supposta spelonca bruniana, oppure la parte posteriore di questa grotta”. Insomma, la storia quotidiana del dormitorio di San Bruno non si arrestò, mentre i progetti per una sua nuova configurazione architettonica rimasero lettera morta, testimonianze di un lavoro “ideale” che non si fece mai cosa reale.

Il palazzo (fantasma) di Ruggero il Normanno

Opere realizzate e quasi certamente perdute (il “tumolo” di San Bruno), opere pensate e progettate ma mai messe in posa (il nuovo “dormitorio”), opere, infine, a cui si accenna in qualche foglio d’archivio e che però sono talmente evanescenti da evaporare nell’inesistenza, come è il caso del cosiddetto palazzo di Ruggero il Normanno, Ruggero I d’Altavilla, Ruggero il Gran Conte, colui il quale, secondo il dettato di diversi diplomi medievali (di cui alcuni non esenti da fondati sospetti di falsità), dotò San Bruno e il suo primo insediamento di Santa Maria della Torre di non pochi beni. Evanescenti, si diceva sopra delle tracce che testimonierebbero di tale palazzo di Ruggero. Ed evanescenti perché le superstiti fonti coeve non ne fanno alcun cenno, mentre quelle che ne parlano sono tarde, troppo tarde, si pongono nella forma dell’ipse dixit (nessun rinvio a documenti o circostanze che ne comproverebbero l’esistenza) e sono talmente incongruenti rispetto a ciò che è storicamente indubitabile da risultare poco credibili. Ecco quanto scrive il vicario della Certosa di Calci, dom Deflorian, in una sua lettera degli inizi del secolo scorso: “Ai miei tempi si vedeva qualche traccia dell’alloggio del Conte Ruggero. Di contro alla facciata della Chiesa grande, un po’ verso Santa Maria, si vedevano sul muro di cinta, certe pietre lavorate a guisa di modioni, e servivano o d’imposta delle finestre, o per sostenere piccoli solaj. Dunque il muro di cinta serviva in pari tempo di facciata esterna del palazzo del Conte”. È su quel “dunque” (e su quel che dal “dunque” consegue) che dovremo, brevemente, soffermarci: il palazzo di Ruggero, dice dom Deflorian, aveva la facciata sul muro di cinta della Certosa di S. Stefano del Bosco, nel medesimo luogo, cioè, in cui sorge oggi la Certosa di Serra San Bruno. Circostanza suggestiva, fascinosa, che dovrebbe suscitare il rimpianto per il manufatto perduto, se soltanto fosse plausibile e non (invece) abbastanza incredibile: Ruggero I d’Altavilla muore nel 1101, pochi mesi prima di San Bruno, ma nel 1101 la Certosa (sul cui muro di cinta, al dire di Deflorian, si vedeva la facciata del palazzo ruggeriano) ancora non c’era, poiché è dopo la morte di Bruno, tra il periodo di Lanuino e quello di Lamberto, che quel monastero viene edificato. Certo, si potrebbe anche pensare che fosse sorto prima quel palazzo e dopo, nella sua stessa sede, il complesso monastico, ma l’uniforme silenzio in merito delle fonti più antiche non sembra lasciare aperti grandi spazi e basta già osservare la veduta a volo d’uccello Prospetto della Real Certosa di S. Stefano del Bosco, pubblicata nel nono volume della Storia di Tromby, per constatare tra le trenta didascalie che meticolosamente indicano luoghi, ambienti e cose notevoli della Certosa pre-terremoto la rumorosa assenza di qualsiasi traccia della costruzione in questione. Un palazzo di carta, potremmo dire oggi, che sta in piedi soltanto tra le righe di qualche pagina, come certe belle favole a cui non è facile dare credito.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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