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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Era da pochi decenni cessata la dipendenza feudale dal monastero di S. Stefano del Bosco quando per Serra, Spadola e gli altri comuni che gravitavano nella giurisdizione della Certosa il terremoto del 1783, la terribile “Iliade funesta” con il suo carico di morte e distruzione, aveva richiamato su questo territorio e sulla Calabria l’attenzione riformatrice di illuminati osservatori. E certo che di riforme (e di profonde riforme sul piano economico) vi era bisogno se, per esempio, si pensa a quanto emerge dal Catasto onciario del 1742, dal quale apprendiamo che la Certosa possedeva in territorio di Serra 16.400 tomolate di terra, un palazzo rustico, una casupola e diciotto botteghe, cinque mulini, due seghe ad acqua, un battindiere e vi percepiva i diritti feudali di bagliva, scannaggio, dogana, catapania, angaria e parangaria. Laddove, dal lato degli abitanti del territorio, esisteva un patrimonio fondiario di complessive 207 tomola, frazionato in 263 appezzamenti e suddiviso tra 249 capifamiglia proprietari. Una condizione, come si vede, di scarsissimo dinamismo economico, orientata quasi esclusivamente verso un’economia di sussistenza e dedita all’autoconsumo, nella quale a prevalere erano le categorie professionali del “bracciale”, del “mandese”, del ferraro, del falegname.
L’orrore di un terreno incolto e coperto di felci
Tale situazione avrebbe trovato un’autorevole conferma nelle sconsolate annotazioni di Giuseppe Maria Galanti, in viaggio per la Calabria in qualità di “visitatore del Regno” e presente a Serra tra il 6 e il 7 maggio 1792: “Come nella Serra non ci sono possessori di fondi, non vi sono case ricche né galantuomini. Il medico è condotto dell’università e viene da’ paesi circonvicini. Solamente vi sono 4 o 5 notai”. Qualche anno prima di Galanti, Domenico Grimaldi (Seminara, 1735 – Reggio Calabria, 1805) nella sua Relazione umiliata al Re di un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia (Napoli, 1785) – “nuvola di carta” del mese di novembre, di notevole rarità bibliografica – aveva già, in maniera più analitica, anticipato questo quadro, sottolineando come “si vede con orrore attaccato alle istesse case di quel paese il terreno incolto e coperto di felci […], tantovero che nella Serra, paese delli più popolati, ed industriosi della Calabria, non si conta un proprietario di terra, che possa ricavar da quella la propria sussistenza”. Ma, a differenza di Galanti che evidenziava la “natura ingrata del suolo”, incapace di produrre perfino l’erba, Grimaldi individuava nella natura circostante delle ricche potenzialità, nel caso del settore boschivo non venute meno, sino a quel momento, per l’intelligente operosità dei certosini che “seppero dividere il taglio degli abeti con tal regolamento, che non gli distruggesse”.
Un programma di riforme economiche per Serra e Spadola
La Relazione umiliata nasceva, nel contesto dei programmi di ripresa economica dopo il terremoto settecentesco, come sintesi prodotta in seguito a un incarico regio che Grimaldi aveva ricevuto, nel quadro di una collaborazione con il governo dell’epoca dalla quale erano pure scaturiti la Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di sua maestà […] (Messina, 1785) e il Piano intorno la rustica economia, le arti, ed il commercio dell'Ulteriore Calabria da umiliarsi al re per mezzo del supremo consiglio delle regali finanze scritto per ordine sovrano dall'incaricato nell'istessa provincia (Napoli, Nella Stamperia regale, 1792). E occorre considerare che non si trattava di “relazioni” e “piani” frutto di esclusivo impegno teorico, se Grimaldi, anche sulla scia del padre, il marchese Pio, si era dedicato a imprese economiche nel settore dell’agronomia indirizzando principalmente i propri sforzi – come scrive Maria Luisa Perna nel profilo per il Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani, 2002) – “a una trasformazione profonda dei metodi di coltivazione degli olivi e agli investimenti nelle innovazioni tecniche per la fabbricazione dell'olio”. Così, Grimaldi iniziava dal bosco evidenziando come avesse persuaso il priore della Certosa Pietro Paolo Arturi “ad obbligarsi [...] di cingere di fossi a sua spese una grande estensione di terra rasa alle falde” delle montagne in modo tale che fosse impedito al “bestiame grosso e minuto” di divorare gli abeti, necessari per la produzione delle tavole, non appena spuntati dalla terra. Passava, poi, al ruolo fondamentale delle acque, che scorrevano dalle montagne “copiose” e “perenni” e che alimentavano le seghe per la lavorazione delle tavole e i “molini a grano” delle popolazioni di Serra e Spadola: “Poco distante dalla diruta Certosa vi sono pianure in gran parte incolte, e in parte coltivate in avena, che sono tutte irrigabili. Or io per dare un esempio alla Calabria dell’utile pronto, ed immenso, che ne resulta dall’introdurre i prati irrigatorj, indussi nel passato inverno il mentovato Monsignor Arturi amministratore interino della sospesa Real Certosa di fare un saggio d’irrigazione pratense sopra detti terreni, avendone fatto separare a tal uso circa cento moggia, che trovai cinti di fossi […]”. Tanto che questi cento moggi fecero ricavare 95 ducati “dalla vendita del fieno del primo taglio, oltre la provvista per lo numeroso bestiame bovino, e bufalino addetto alle seghe, ed alle altre industrie rustiche della Lega: e che speravasi altro prodotto in fieno dalli medesimi prati dal secondo taglio, che si farà nella corrente estate”. Le numerose terre incolte avrebbero, peraltro, tratto vantaggio – osserva ancora Grimaldi – dalla loro divisione e censuazione “alli naturali” di Serra e Spadola e gli stessi “Cittadini della Serra” ne desideravano la censuazione “la quale riuscirebbe utilissima, sì per aumentare la rendita della Lega, sì anche per promuovere l’agricoltura nelli anzidetti due paesi; mezzo sicuro per farli divenire in brieve tempo popolosi e ricchi”. Altrettanto utile e gravida di feconde conseguenze economiche sarebbe stata l’introduzione dell’industria della seta: “I gelsi per ragione del terreno e del clima vi allignerebbero a meraviglia, se vi si piantassero. Io in tutto quel territorio trovai piantato un solo gelso in un giardino dietro la diruta Certosa, ed è di sì gran mole, e produce una foglia così bella, che io vidi pochi di simili alberi in tutta la Calabria da potersi paragonare con quello. Una tale osservazione mi suggerì d’indurre Monsignor Arturi ad obbligarsi nella citata offerta di piantare di gelsi a proprie spese tutto il ricinto delli nuovi prati irrigatorj”, circostanza che, secondo Grimaldi, avrebbe spinto gli abitanti di Serra e Spadola all’imitazione.
La “migliorazione” dell’economia delle grange
Non si limitava a Serra e Spadola l’analisi di Grimaldi, ma si estendeva, subito dopo, anche alle grange che la Certosa possedeva nel territorio calabrese. Nelle grange di San Leonte, Pruppà e Sant’Anna il suolo, pur eccellente per la produzione del grano, era coltivato così male “che rende ordinariamente un miserabile prodotto relativamente a quanto potrebbe dare per la sua originaria fertilità […]. Tal qualità di terra compatta, pesante e vischiosa richiede arature profonde, e di essere ben sminuzzata, ma l’aratro, che vi si adopra non è affatto a proposito per far simili operazioni, onde basterebbe introdurvi un aratro capace di fendere e sminuzzare le terre forti adoprato in tanti Stati di Europa, ma ignoto nella Calabria […]”. In queste tre grange sarebbero stati non pochi gli ulteriori interventi auspicabili volti alla “migliorazione” della situazione economica: piantare “delle viti di zibibbo in filiere distanti l’una dall’altra circa a 20 palmi”, poiché, vista la scarsezza delle braccia, soltanto una coltura a filiera, come in Lombardia, richiedendo poca manodopera avrebbe reso possibile la coltivazione; migliorare la manifattura olearia, “imperfettissima” a fronte dell’eccellente qualità delle olive; introdurre i prati artificiali per il pascolo e “adoprare l’irrigazione pratense”. Più di tutte suscettibile di “ricchissime migliorazioni” era, a giudizio di Grimaldi, la lontana grangia di Rocca di Neto (oggi in provincia di Crotone): “Basta mettere a profitto le acque del fiume Neto per irrigare il grano, e per formar prati irrigatorj, che queste due sole operazioni bastano a duplicarne la rendita in pochi anni”. L’irrigazione del grano sarebbe stata in grado di produrre maggior vantaggio rispetto a quello che la stessa operazione produceva al grano pugliese, mentre i prati irrigatori, “per la fertilità della terra, e per l’abbondanza delle acque, non la cederebbero in prodotto alli migliori prati irrigatori della Lombardia, e della Svizzera”.
Imprenditore, studioso e massone
Un profilo pubblicato da Vito Capialbi nel n. 15 del Maurolico (1835) e successivamente ripreso da Accattatis nelle Biografie degli uomini illustri delle Calabrie (vol. III, 1877), se dà conto anche delle difficoltà che coinvolsero Grimaldi a causa delle sue imprese economiche, ne evidenzia lo spessore culturale teso “a diffondere i lumi, e insinuare le conoscenze veramente utili alla nazionale economia”. Membro dell'Accademia dei Georgofili di Firenze, della Società Economica di Berna, della Società Reale di Agricoltura di Parigi e della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere di Napoli e autore di importanti opere, tra le quali da segnalare particolarmente è il Saggio di Economia Campestre per la Calabria Ultra (Napoli, Vincenzo Orsini, 1770), Grimaldi partecipò alla temperie politica dei suoi tempi anche tramite l’adesione alla massoneria. Arrestato insieme al fratello Vincenzo e al gruppo massonico di Reggio nel 1798, sospettato di giacobinismo, evitò per le sue condizioni di salute il trasferimento sull’isola di Favignana e poi, a conclusione della rivoluzione napoletana del 1799, venne scarcerato e riabilitato anche grazie alla protezione del Segretario di Stato del Regno di Napoli John Acton. Morì a Reggio, dove si era ritirato, il 5 novembre del 1805.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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