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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Civiltà degli anniversari, si potrebbe dire pensando a quanto le nostre vite quotidiane, oggi più che mai grazie ai social, siano intrise di continue rammemorazioni non solo di eventi storici e accadimenti di vario genere, bensì (quotidianamente) delle date di nascita, degli onomastici, delle ricorrenze dei matrimoni e (perché no?) anche del primo dentino dei figli. Con qualche notifica sempre lì a ricordarceli e il conseguente diluvio giocondo e gioioso di complimenti e auguri. Una vera tirannia della memoria, una dittatura dei ricordi, che non consente amnesie e smemoratezze.
1863: un anniversario sfuggente
Eppure (eppure) c’è un anniversario locale che è sembrato farsi sfuggente, se in tanti mesi dalla sua ricorrenza non si è pensato neppure a una poesiola o a un programmino radiofonico o a qualche affollato incontro di “puri spiriti” per ricordarlo (e se noi lo ricordiamo ora è perché, come si vedrà tra qualche rigo, gennaio è il mese del compleanno di quel ricordevole evento, ma ottobre è quello della festività onomastica). Niente. Nulla. E stiamo dicendo del centosessantesimo anno di quando Serra divenne Serra San Bruno (anniversario già ricordato opportunamente dal Vizzarro nel momento in cui gli anni furono centocinquanta), avendo aggiunto il 22 gennaio 1863 al suo più antico nome quello del santo che si festeggia il 6 ottobre. “La Serra” si trasformava così nella “Serra di San Bruno”, in stretta connessione con l’esigenza nuova, scaturita dall’unificazione nazionale di due anni prima, di evitare la confusionaria Babele generata dai nomi uguali di tanti comuni pre-unitari, ora, nell’appena proclamato Regno d’Italia, avviati sulla strada di una rinnovellata e meno indistinta identità. E davvero che non occorre spendere tante parole per dire il perché e il percome di questa scelta da parte del consiglio comunale serrese dell’epoca (sindaco Luigi Damiani), visto che il fatto di aver “puntato” per il nuovo nome su San Bruno si giustifica, oggi come ieri, quasi ictu oculi e non ha bisogno di troppe spiegazioni.
Serra, il nome e la cosa
Ma l’occasione è anche propizia per esercitarsi nel passo del gambero e tornare indietro di un po’ di secoli, perché, detto di come e quando “la Serra” diventò la “Serra di San Bruno”, bisogna pure capire quando Serra divenne Serra. Presente sotto forma di toponimo almeno dall’ultimo decennio dell’XI secolo, come attesta un diploma di Ruggero I d’Altavilla del 1093 - «Inde vadit per serram ejusdem montis usque ad Malareposta» - il nome (la “serra dello stesso monte” da cui spingersi fino a Malareposta) tuttavia non è la cosa e il centro abitato si svilupperà certamente più tardi nelle vicinanze dell’insediamento monastico avviato da Bruno di Colonia a partire dal 1091. Il processo di formazione del borgo e della sua distinzione rispetto al monastero procederà, infatti, secondo un’evoluzione lenta, dalla cadenza plurisecolare, se ancora nei Registri angioini del 1276 pubblicati da Giuseppe Pardi non si rinviene alcun riscontro relativo a Serra, mentre sono censiti 79 «Homines Sancti Stefani de Bosco in Stilo», ossia “appartenenti” al monastero. Soltanto nel XV secolo la denominazione Serra, associata a quella di Spadola, comincerà ad apparire in alcune fonti fiscali, quali il Liber focorum Regni Neapolis del 1443, edito da Fausto Cozzetto, in cui si legge: «Dominus Antonio Carazolus abbas Sancti Stephani de Bosco T. M. Spatula et la Serra foc. XXXXVIII tar. 2, gr. 10». Analogamente, dal Registro de le Polise de li Foculeri de Natale de lano Quinte Indictionis (1456-1457) apprendiamo che tal Marco Valente aveva consegnato, per conto di Spadola e Serra, a Giovanni de Ponte, luogotenente del tesoriere regio del ducato di Calabria Renzo d’Afflitto, «ducati vinti dui, tarì uno, li quali ducati XXII, tarì 1 foro moneta et so per lo foculeri de Natale de lo presente anno». Verso la fine del medesimo secolo Serra comincerà a essere identificata con l’appellativo di “casale”, come si vede da un diploma del 1484 di Ferdinando d’Aragona conte di Arena e Stilo, a cui fanno seguito fonti cinquecentesche che contengono la medesima denominazione quali il Transumptum Conservatorij, & Executorii Regalis ad favorem Abbatis Monasterii S. Stephani […] del 1508 e, più tardi, la Platea di S. Stefano del Bosco compilata – tra la fine di febbraio del 1533 e gennaio del 1534 – da Nicola Angelo de Amectis su delega del cardinale Pompeo Colonna, per predisporre l’inventario dei beni del monastero di S. Stefano del Bosco, acquisito da due decenni dall’ordine certosino dopo oltre tre secoli di presenza cistercense. Un casale che rientrava, come quelli di Spadola, Montauro, Gasperina e Bivongi, nella giurisdizione della Certosa.
Alle origini di Serra: 112 “linee” di servi e tre ponti?
E ad abitare quel luogo, sul finire dell’XI secolo, sarebbero state quelle centododici “linee” di servi e villani, donati da Ruggero il Normanno a San Bruno in seguito al “tradimento di Capua”, secondo quanto riporta un diploma del 2 agosto 1099 oggi ritenuto probabilmente spurio, che saranno talvolta considerati, sia nelle fonti storiografiche sia nella pubblicistica locale, l’autentico nucleo primitivo di Serra, come accade nel Prospectus historiae ordinis Carthusiani di Camillo Tutini per il quale tali uomini non lontano dal monastero costruirono delle abitazioni che formano un casale chiamato dai calabresi “la Serra”. In tale contesto non si può trascurare la cosiddetta “ipotesi dei tre ponti”, formulata da dom Basilio M. Caminada sull’esempio di quanto accaduto in altre Certose e a partire dal presupposto che l’organizzazione del territorio, di quello spazio di una “lega” in cui le esigenze monastiche si sarebbero trovate a convivere con la società extramonastica, dovesse obbedire alla regola di salvaguardare la scelta di vita contemplativa degli eremiti: “San Bruno organizzò la sua fondazione monastica: i padri vissero in silenzio e raccoglimento a Santa Maria, separati dal mondo per mezzo del fiume Ancinale e del Rio dei Sardi, i quali formano una clausura naturale. I monaci si servivano del ponte sul Rio dei Sardi […] per le necessarie commissioni, ed altri servizi di comunicazione (I ponte). I fratelli laici, conversi e donati, furono alloggiati presso il ponte di Santo Stefano, dove la strada verso Serra e Spadola attraversava il fiume Ancinale (II ponte). In quel luogo poterono darsi liberamente alle loro occupazioni, senza essere di disturbo per gli eremiti […]. Gli operai con le loro mogli si sarebbero stabiliti dietro il terzo ponte, ove il fiume Ancinale ed il torrente Garusi confluiscono. Oggi si trova a quel posto il Municipio di Serra. […] Ecco, l’origine di Serra, fondata da San Bruno, iniziata dal guardaboschi Mulè ed i suoi figli, formata dai primi operai della vecchia chiesina normanna a Santa Maria”. L’ipotesi sembra trovare un appiglio nel già citato Prospectus di Tutini, che, fondandosi su una memoria locale preesistente di cui si ha traccia in un Chronicon della Certosa calabrese, sostiene che l’eremo venne circondato da un fossato e ne fu consentito l’ingresso tramite un unico ponte di legno, denominato “ponte dei santi”, ma invano si cercherebbe un riscontro testuale dei “tre ponti” nella documentazione coeva. Rimangono, da ultimo, una serie di “suggestioni” al confine tra ciò che è storico e ciò che della storia rimane ai margini, essendo soprattutto congettura, ipotesi, pista di ricerca da verificare. Un nome che appare per la prima volta nell’ultimo decennio dell’XI secolo e una “cosa” (il casale, il borgo denominato Serra) di cui si ha certezza soltanto tra XV e XVI secolo e, dall’altro lato, le incerte origini di un nucleo demico (i “congiurati di Capua” donati da Ruggero il Normanno o altro?) e le difficilmente verificabili modalità di formazione di un paese che avrebbe potuto trovare nella suddivisione determinata dai ponti, tuttora ben presenti sul territorio, la propria primitiva configurazione appena fuori dallo spazio della civitas monastica iniziata da San Bruno. Domande e interrogativi che rimangono in sospeso, perché, in fondo, al domandare, come si dice, non c’è mai fine.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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