Domenica, 28 Aprile 2024 10:07

Memorie di geografia umana. Se “la Serra” non è soltanto Serra

Scritto da Tonino Ceravolo*
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“«Le Serre» è la denominazione più usata per designare quel massiccio montuoso che si inarca nella Calabria meridionale, fra la Sila e l’Aspromonte. […] L’esame degli scritti corografici redatti da studiosi locali, accompagnato da una inchiesta specifica, mi ha indotto a preferire ed usare, come avviene nella viva voce del popolo, il termine «Serra». […] Sul significato regionale del nome, è opportuno ritenere col Rohlfs che esso indichi genericamente dorso di monte o catena di montagne. Forse non è inutile aggiungere […] che si tratti di rilievo montuoso coperto da bosco. Serra ha anche il significato dialettale più noto di «sega», «segheria», per cui, secondo alcuni, il termine indicherebbe «località con segheria». Mi sembra però che sia da accogliere senza riserve l’accezione geografica del termine, indubbiamente figurativa e traslata, ma abbastanza precisa nell’indicare l’allineamento a catena di successivi rilievi collinari e montuosi. In tal senso la voce «serra» è un termine geografico dialettale, diffuso nella toponomastica di quasi tutte le regioni d’Italia, ma che nella regione in esame è più frequente che altrove”.

Antropogeografia di una regione calabrese

Così Osvaldo Baldacci (Sassari, 1914 - Roma, 2007) in un’opera – La Serra. Monografia antropogeografica di una regione calabrese, in “Memorie di geografia antropica”, vol. IX, fasc. I, Roma, CNR, 1954 – forse più citata che letta, più inserita nelle bibliografie che studiata, nostra “nuvola di carta” del mese di aprile che rimane, a tutt’oggi, lo studio specifico maggiormente esaustivo su questo territorio. Uno studio, peraltro, condotto da un ragguardevole studioso che proprio nelle indagini di geografia umana regionale aveva individuato uno dei terreni di ricerca più fertili, se soltanto si pensa che tra i titoli della sua ampia bibliografia si trovano I nomi regionali della Sardegna (1945), La casa rurale in Sardegna (1952), Le Isole Ponziane (1955), Puglia (1962). Figura importante dell’Università di Roma, dove diresse per diversi anni anche l’Istituto di Geografia, Baldacci, come si legge nell’articolo in memoriam pubblicato dal “Bollettino della Società Geografica Italiana” nel primo numero del 2008, fu anche “socio d'onore della Società Geografica Italiana, della quale fu a lungo consigliere e che aveva frequentato fin dagli anni giovanili; socio d'onore dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AUG), alla cui fondazione, avvenuta a Padova nel 1954 in occasione del XVI Congresso Geografico Italiano, aveva dato il suo contributo, divenendo anche il primo presidente della Sezione Sardegna. Tra i riconoscimenti, ottenuti nel corso della sua lunga carriera, un posto particolare occupava quello di socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, nomina avvenuta quasi al termine della sua docenza, il 29 luglio 1987. La sua produzione scientifica, di oltre 220 pubblicazioni, non è stata soltanto vasta, ma anche molto variegata, in sintonia con la sua concezione scientifica che spinge il geografo a interessarsi di tutti i «fatti» che nascono dal rapporto uomo-natura: dalla geografia fisica (geomorfologia, climatologia), a quella umana (in particolare dell'insediamento), dalla geografia regionale alla storia del pensiero geografico e alla didattica della geografia”.  

“La Serra” e non “le Serre”

Dunque, “la Serra” e non “le Serre” per designare l’intera area geografica e “la Serra” assunta come denominazione del territorio e non soltanto del suo paese più grande, peraltro così denominato a iniziare dal XV secolo e con una continuità che si riscontra sino al cambio del nome in Serra San Bruno nel 1863. Un’area che ha, nelle considerazioni di Baldacci, un’estensione più ampia di quanto comunemente si ritiene e che vede il proprio limite settentrionale nella depressione istmica di Catanzaro e quello meridionale in “un importante elemento geo-litologico: il Piano di Limina che si salda alla Serra, a circa m 800 s.m., come una piatta appendice”. Questo per introdurre, dopo una sessantina di pagine di geografia fisica, la parte probabilmente di maggior rilievo del volume, il suo “cuore”, per così dire, principalmente orientata (ma già lo dice l’intitolazione stessa della serie in cui il libro è apparso e lo ridice il titolo dell’opera) a scandagliare l’ambiente antropico della Serra, dai suoi lineamenti preistorici sino all’attualità, in un’analisi della presenza umana nel tempo che ha negli aspetti demografici, nella tipologia degli insediamenti, nella fenomenologia dei luoghi del vivere e dell’abitare (la capanna, la casa rurale, la casa dei centri abitati) i suoi passaggi obbligati. Un’analisi che, inevitabilmente, si completa con il fondamentale quadro delle attività economiche, ulteriore e centrale modalità del darsi e del farsi dell’attività umana nel proprio habitat. Laddove si vede una popolazione in costante aumento, nell’area, a partire dal 1532 (36.655 abitanti) e sino al 1951 (319.804 abitanti, rilevati nel censimento di quell’anno), con un arretramento nel periodo 1648 (77.525 anime) – 1669 (65.080 abitanti) e una sostanziale stasi nel decennio che va dal 1871 (con 222.153 ab.) al 1881 (con 221.607 ab.) e con il significativo dato della ripresa demografica, dopo il terremoto del 1783, di centri quali Filadelfia, Borgia e Serra San Bruno, per la quale Giuseppe Maria Galanti riporterà nel 1792 una popolazione di ben 4839 abitanti. E se il monachesimo orientale aveva contribuito, a iniziare dall’Alto Medioevo, a favorire l’ascesa della popolazione della montagna nei versanti “solatii e feraci, climaticamente più favoriti”, per il popolamento totale del territorio risultò decisivo il ruolo del monachesimo occidentale (con la nascita dell’insediamento monastico di Serra San Bruno) e delle “ragioni d’ordine militare” della presenza normanna, come si poteva constatare dalla costruzione di Torre (Torre di Ruggiero), posta “a dominio del vicino valico transitabile in tutte le stagioni, tra i due versanti della Serra”, che mirava a un “controllo politico di largo raggio”: “E così mistiche ascesi dello spirito di monaci solitari, e ragioni di materiale dominio di guerrieri conquistatori concorrono a completare il «ricoprimento umano» della Serra”. Dal tardo Medioevo in poi, le variazioni degli insediamenti, osserva Baldacci, riguardano soltanto “questioni di dettaglio”, poiché gli “aspetti essenziali della fisionomia del fenomeno sono già tutti integralmente acquisiti”.

Terrazzamenti e ampie conche

A fare da pendant all’analisi del popolamento dell’area è, inevitabilmente, l’indagine intorno alla struttura dei centri abitati, la cui morfologia è caratterizzata da “ben conservati terrazzamenti lungo la periferia del massiccio, e da conche ampie, inserite in molli ondulazioni delle zone interne, fino alle massime elevazioni”. E ovviamente della morfologia a conca l’esempio più rilevante è quello di Serra, Simbario, Spadola e Brognaturo, in cui “l’Ancinale si svolge con volume d’acqua e forza di corrente tale da poter essere utilizzata agevolmente per le segherie, che costituirono l’elemento di richiamo iniziale della popolazione della zona”. Mentre la forma del terrazzamento presenta i suoi esempi di maggiore entità nella fossa di Catanzaro e verso la valle del Mesima. Così nella prima zona “si osserva l’allineamento” di centri come San Floro, Borgia, Caraffa, Cortale, Girifalco, Iacurso, Maida e San Pietro a Maida, mentre per la seconda “dal castello di Vibo […] si vede il terrazzo occidentale della Serra delineato in tutta la sua grandiosità”, con i paesi di Soriano, Gerocarne, Dasà, Acquaro, Limpidi, Melicuccà, San Pier Fedele, Caridà, Serrata, Candidoni, Laureana, Stelletanone. Zone di isolamento, più caratterizzate da nuclei e case sparse, sono quelle del bacino medio dell’Allaro e del gruppo “che si apre con Mammola e si chiude, topograficamente e cronologicamente, con Marina di Gioiosa”, tutti centri che sembrano “appartarsi dalla vita della Serra”: “A ridosso, sulla montagna – osserva Baldacci – è il pascolo magro, è l’incolto produttivo, è la foresta: tutti elementi, in complesso, repulsivi nei confronti dell’insediamento”. Insediamenti, occorre aggiungere per focalizzare un’osservazione di grande interesse, che, con l’eccezione rilevante di Serra San Bruno, non si sono molto giovati dell’azione attrattiva delle arterie fluviali per l’ubicazione dei centri: l’Allaro ha costituito soprattutto una “direttrice di marcia della transumanza” e in centri come Vazzano, Vena di Maida, Laureana, fontane e sorgenti si trovano molto lontane dai centri abitati. Caratteristica dei centri abitati è la loro irregolarità e il disordine planimetrico, inquadrabili nel cosiddetto tipo “latino” o “centro ammucchiato”. Per questo motivo i centri trovano il loro “respiro” in elementi di polarizzazione spesso diversi e come cardini del reticolo stradale possono di volta in volta aversi le fontane (collocate negli spiazzi in cui sfocia il dedalo dei vicoli), le chiese (come accade a Chiaravalle e a Caraffa), il castello (è il caso di Squillace): “A questo proposito è opportuno notare, osserva Baldacci, che nei centri della Serra il palazzo comunale non ha – nel maggior numero dei casi – né una posizione centrale, né comunque eminente, come di solito avviene in altre regioni d’Italia” e secondaria importanza, aggiunge subito dopo, “per lo sbocco delle strade esercita l’area destinata al mercato o alla fiera”, che, per esempio, a Soriano dista “notevolmente dall’abitato”.

I “mali della Serra”

Bisognerebbe ora dire, per dare giustizia al ricco testo di Baldacci, di svariate altre cose, dalla tipologia delle abitazioni ai “paesaggi economici della Serra” e ancora ai commerci e alle vie di comunicazione, ma una breve nota non è il luogo ideale per approfondire un’analisi così strutturata e variegata, ragion per cui segnaleremo un ultimo punto, che è quello dei “mali della Serra”, a cui sono dedicate tre pagine, due delle quali occupate dai terremoti. Un elemento fortemente modellante, nel tempo, questo, della conformazione dei luoghi, a cui spesso si è accompagnata, in stretto parallelismo, la franosità dei territori, peraltro causata pure da altri fattori. Poche le malattie presenti nell’area indicate dall’autore come sue specificità: la malaria, rispetto alla quale le sistematiche irrorazioni di DDT avevano sempre più ridotto il veicolo epidemico, l’otospongiosi presente a Vazzano, il “gozzo” che avrebbe avuto una diffusione endemica sempre a Vazzano. Ma è, soprattutto, un “endemismo d’ordine psichico” ad attirare la nostra attenzione, laddove Baldacci rileva che “un male grave per la ripresa economica della Serra, sembra essere la mancanza dello spirito di associazione e di collaborazione reciproca fra coloro che possono portare alla Calabria un effettivo contributo d’ordine finanziario”, introducendo una esclusiva spiegazione di natura psicologica in luogo di qualsiasi diverso altro fattore di matrice, per dire, storica o economica. E certamente Baldacci attenua questa considerazione laddove nel prosieguo afferma che, per la complessità dei suoi problemi, “la Calabria giustamente attende l’incitamento del Governo” e però subito dopo, anche se parzialmente, ci ritorna, osservando come il generale Pagano di Arena, alla fine di un suo periodo di amministrazione comunale, scrivesse che “i grossi mali della Regione stanno nella nostra inerzia. E che non è tutta colpa del governo, come si dice”.  Una riflessione con qualche spunto di interesse, anche per l’attualità.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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