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Nasce come libro di testo per le scuole elementari il “piccolo ma prezioso saggio” – la definizione, davvero calzante, è di Ilario Principe – che il maestro elementare e segretario del comune Carmelo Tucci dedica a Serra e pubblica nel 1890 a Roma presso la Tipografia Elzeviriana. E si vorrebbe, qui, ancor prima di addentrarsi nel testo di Tucci, fare proprio l’appello di Principe, rimasto inevaso da quando lo studioso nel 1980 lo consegnò alle pagine del suo lavoro sulle fonti e sui documenti della Certosa di S. Stefano, di veder ripubblicato, “magari allo stesso scopo didattico”, lo smilzo volumetto del maestro serrese, per tanti aspetti debitore dell’articolo Serra che il sacerdote Bruno Tedeschi aveva dato alle stampe alcuni decenni prima nel Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato curato da Filippo Cirelli.
Il “Cenno” su Serra, un libro per le scuole
E non tace Tucci, nelle pagine della prefazione a questa sua opera (nostra “nuvola di carta” di ottobre), il “non poco giovamento” che l’articolo del Tedeschi gli aveva fornito nel comporre il suo librino, dichiarando anche i “grati e riconoscenti affetti” che lo legavano alla memoria del suo “maestro sacerdote”. Un titolo lungo e persino prolisso quello dell’opera di Tucci – Cenno geografico-storico sul Comune di Serra San Bruno, a svolgimento del programma didattico ministeriale che prescrive iniziarsi l’insegnamento della Geografia nelle scuole elementari colla conoscenza del proprio Comune – che ben si spiega con l’esplicito intento del suo autore di muoversi in linea con i rinnovati programmi scolastici, aderendo a una concezione pedagogica che parte dal “vicino” per approdare alla conoscenza del “lontano”: “Era veramente strano che nei programmi didattici per le scuole elementari del Regno d’Italia […] non si fosse mai inserito l’obbligo, per l’insegnamento della Geografia, di cominciare col far apprendere la situazione topografica del proprio Comune, i suoi confini, l’abitato, le strade interne ed esterne, l’orizzonte ed il clima del paese ove gli alunni son nati. Le conoscenze geografico-storiche dei vari Stati d’Europa, dell’Italia stessa, tornavano direi cose vane e sterilivano nella debole mente degli alunni, quando costoro nulla sapevano del paese ove aveano sorto la vita; malgrado che la spiegazione di quanto cade sotto i sensi nella propria casa, avrebbe dovuto per necessità precedere, la conoscenza delle cose di casa altrui”. Così come non esita a riconoscere “all’alta dottrina” del Ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli il merito del rinnovamento dei programmi che, con Regio Decreto del 25 settembre 1888, avevano reso obbligatorio l’apprendimento della Geografia a iniziare dal mondo circostante del proprio territorio di appartenenza.
Piazza Margherita, “tra le più belle e vaste della provincia
E non poteva che cominciare, conseguentemente, dalle primissime cose da conoscere il “tenue ed umile lavoro” consacrato da Tucci al comune di Serra, “città della Calabria Ultra 2a con 5729 abitanti […]. Capoluogo di mandamento dello stesso nome” che comprendeva i comuni di Fabrizia, Mongiana, Spadola, Brognaturo e Simbario, distante 50 chilometri da Monteleone, capoluogo di circondario, e “chilometri 74 e 180 metri” dal capoluogo provinciale Catanzaro, laddove a colpire sono proprio quei “180 metri”, segnalati non si sa se per pedanteria o per un’esigenza di rigore e precisione. Per proseguire, nella lezione successiva, con la “topografia del paese”, rilevando la posizione che questo occupa “nel fondo di un grande bacino, formato dal più alto aggruppamento della diramazione degli Appennini, che l’incoronano con una progressione circolare, quasi simmetrica di alture”, che vanno a creare quasi un vasto anfiteatro naturale. E che rendono difficoltosa la vista del paese quando la vegetazione arborea è rigogliosa, per lasciare spazio alla sua visione, una volta scavalcata la cresta dei monti, nella stagione invernale che rende le piante “brulle e denudate”. L’abitato, osserva Tucci, ha la forma di una “q”, in cui il capo è costituito dalla “Serra o Terra Vecchia” e la coda dallo Spinetto, con case generalmente “mediocri, decentemente costruite”, pur se non mancano “quelle che si distinguono per vastità ed eleganza di architettura”. E certamente colpisce l’uso del granito, impiegato in quasi tutti gli stipiti delle case e delle botteghe, con pilastri lavorati a scalpello. Granito, lavorato a lastroni, che adorna pure il “Corso Nazionale” per circa metà della sua lunghezza, “lavoro cominciato da pochi anni, e che il Municipio divisa di continuare”. Tra le più belle e vaste della provincia è la piazza principale di Serra, piazza Margherita, “formata da uno spazioso parallelogrammo, fiancheggiato da mediocri edificii, ben selciata e adorna nel centro di un candelabro a cinque fanali”. Piazza Margherita è anche il luogo del mercato, che “si tiene in tutti i giorni festivi ed anco feriali, coll’affluenza da tutti i paesi dei dintorni, i cui abitanti hanno sicura e facile la vendita di ogni sorta di derrate” perché il paese, dal territorio sterile, produce scarsi prodotti alimentari.
Sei sole “fontane manufatte”
Un paese, dal punto di vista della geografia fisica, dall’orizzonte poco esteso, bello e pittoresco per i viaggiatori, ma monotono per i suoi abitanti. Eppure, bastano pochi chilometri di “facile erta” e questo orizzonte si allarga, diventa “svariato di forme e vedute”. Dalla cima del “Pecoraio” ecco le “onde azzurre del Ionio e del Tirreno”, ecco le “nereggianti montagne della Sicilia”, ecco, farsi prossimi alla vista, “tutti i luoghi più celebri della Magna Grecia”. Detto, poi, dei venti, delle stagioni, del clima, delle malattie predominanti, si affaccia la situazione delle acque. E viene inevitabile il paragone con l’oggi, con quelle “sole” sei “fontane manufatte” presenti nell’abitato, la Fata, il Monsignore (Bonsignuri), Guido, San Stefano, la Presa e la Scorciatina, non sufficienti ai bisogni della popolazione e, per di più, con la fonte del “Monsignore” continuamente secca e quella della Fata corrotta dall’infiltrazione di “sostanze impure” e la sottolineatura dell’augurio (centotrenta e oltre anni fa) che l’amministrazione comunale “mandi a compimento i progetti di conduttura […] per costruirvi nell’abitato delle nuove fontane con acqua pura e cristallina, che a grande copia trovasi nelle circostanti montagne”. Giusto per dire che, forse, non si stava meglio quando si stava peggio e che il rimpianto per un passato felice, se non fatto “reagire” con la prova dei fatti, spesso non è altro che esercizio retorico, romanzo, letteratura, leggiadra poesia.
Un’agiatezza “quasi universale”
E come già attestato da Tedeschi trent’anni prima quel che emerge anche dalle pagine di Tucci è un paese, “essenzialmente manifatturiero” (del legno, del ferro, del marmo e del granito), con l’agricoltura che “ha il secondo posto” e la pastorizia dietro a questa per la “rigidezza del clima”, per la “ristrettezza del territorio”, per la “negligenza e malvagità degli armentari ed anche l’incuria degli stessi proprietari delle bestie, a provvedere sufficienti foraggi per lo inverno, e curare la nettezza delle stalle”. Con un’alimentazione che ruota, in particolare per i ceti meno agiati, intorno a legumi, ortaggi e patate, scarso uso di carni, latticini e latte e il pane “abitualmente di frumento e di segala”, più raro di avena e “rarissimo di granturco”. E tuttavia un paese non povero (e sembra quasi d’obbligo richiamare anche l’ossimoro di Don Bruno Tedeschi sulla “povertà agiata” dei serresi), in cui manifattura e industria “controbilanciano la deficienza agricola” e provvedono ai suoi bisogni e nel quale “vi è l’agiatezza quasi universale, che è la vera ricchezza; e questo influisce a rendere i cittadini, anche delle infime classi, assai dignitosi di se stessi, vivendo con una certa indipendenza, mercé l’esercizio delle arti e dei mestieri”. Non marginale, d’altra parte, la presenza della burocrazia (e qui, probabilmente, la comparazione con l’oggi rischierebbe, per alcuni versi, di essere a svantaggio dell’attualità), con la Pretura mandamentale (“presso cui esercisce un Collegio di distinti avvocati”), il Municipio, l’ufficio “di Registro e di Bollo”, l’ufficio postale e quello telegrafico, l’ufficio della commissione mandamentale delle imposte dirette, la “sezione dei RR. Carabinieri, impiantata ultimamente nel 1888”, il “carcere pretorile” con un guardiano e una guardiana che abitavano in quello stesso fabbricato. “Meritatamente” – conclude Tucci dopo aver ricordato che il 22 gennaio 1863 si aggiunse al nome del paese l’appellativo di “San Bruno” – Serra “occupa uno dei posti più importanti fra le città della Calabria”, pur se a dar manforte a tale tesi forse avrebbe ulteriormente giovato anche qualche riferimento ai tanti edifici di culto ben noti e alle loro opere d’arte, su cui, tuttavia, non si intravede un paragrafo e neppure una pagina.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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