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Sufficientemente noti sono i rapporti tra San Bruno e il papato, sia durante la vita del santo sia dopo la sua morte, se chiaro è, per esempio, il decisivo ruolo giocato da uno dei grandi pontefici della storia, quell’Eudes di Châtillon che avrebbe assunto il nome di Urbano II una volta salito al soglio petrino, nell’evoluzione del percorso esistenziale di Bruno, per averlo prima chiamato a Roma e per avergli tempo dopo concesso di ritirarsi nel luogo detto Torre in cui avrebbe avuto inizio il primo insediamento monastico a Serra. Analogamente, sono stati in numerosi contesti più volte ricordati tanto Pasquale II, fondamentale per la sua vicinanza all’eremo calabrese nel periodo del passaggio da Bruno (morto il 6 ottobre del 1101) a Lanuino, quanto Leone X e Gregorio XV, tra l’altro per il ruolo avuto nel riconoscimento del culto di Bruno, beatificato dal primo e canonizzato dal secondo.
Alessandro VIII, Giovanni Martino Hamerani e San Bruno di Colonia
Poco conosciuto è, invece, il motivo che associa il nome e la figura di Bruno ad Alessandro VIII, Pietro Ottoboni, nato a Venezia il 22 aprile del 1610, papa per un brevissimo pontificato dal 1689 al 1691, il quale proprio per celebrare la sua unanime elezione da parte del collegio cardinalizio avvenuta il 6 ottobre, festività di San Bruno, volle che fossero coniate una medaglia celebrativa e una moneta che, al verso, riportavano l’immagine del santo. Due reperti, bisogna presumere, di una certa rarità se Eleonora Giampiccolo, responsabile del medagliere vaticano, in un suo informato contributo sull’artista incisore delle medaglie Giovanni Martino Hamerani, pubblicato su Historia Mundi, non ne dà notizia, pur soffermandosi su altre ventiquattro monete e medaglie papali che l’Hamerani aveva inciso. Non manca, tuttavia, la Giampiccolo di ricordare un’altra medaglia celebrativa che era stata prodotta, sempre a opera di Hamerani, per l’elezione di Alessandro e che vedeva al recto il volto di profilo del pontefice e al rovescio “una sfera armillare divisa in due da una fascia con i segni zodiacali, il cielo con nuvole e le stelle nella parte superiore e una rappresentazione quasi geografica e cartografica della penisola italiana in quella inferiore”. Una personalità artistica di rilievo questa di Hamerani, di cui nel “Dizionario Biografico degli Italiani” della Treccani, nella voce dedicata all’intera famiglia di orefici e incisori originaria della Baviera, si delinea questo profilo: “Diede prova della propria abilità e devozione coniando spontaneamente alcune medaglie, tanto che il 2 nov. 1676 Innocenzo XI motu proprio gli conferì la patente di incisore camerale essendo ‘più di ogni altro perito ad incidere’. Nello stesso anno fu anche nominato incisore di sigilli della Zecca pontificia con uno stipendio mensile di 10 scudi. Per i primi anni di attività presso la Zecca, Giovanni Martino lavorò al fianco dell’orefice Cristoforo Melchiorri (o Marchionni), suo socio in affari e padre di Brigida che l’artista aveva sposato nel 1676. Il 18 marzo 1681 la congregazione degli orefici, avendo preso visione di alcune monete, medaglie e coni da lui incisi, decise di spedirgli l’abilitazione all’esercizio dell’arte, cui fecero seguito la patente di ‘medagliaro’ e ‘sigillaro’ (19 maggio) e la licenza per la bottega, rogata presso l’officina di suo suocero. Su proposta diretta del principe dell’Accademia Giacinto Brandi, l’8 ott. 1684 fu nominato membro dell’Accademia di S. Luca, nella quale ricoprì la carica di console nel 1689 e quella di camerlengo negli anni 1691 e 1695. Fu anche camerlengo del Camposanto teutonico dal 1688 al 1691 e console e camerlengo dell’università degli orefici dal 1689 al 1696. […] Il suo nome era ormai conosciuto in tutta Europa tanto che lo stesso Isacco Newton, allora soprintendente della Zecca di Londra, gli chiese un prototipo per la nuova sterlina”. Senza dimenticare che Eleonora Giampiccolo, nel suo contributo sopra richiamato, osserva che Alessandro VIII “confermò l’Hamerani nella carica di incisore camerale ed anzi gliela conferì ad perpetuum, cosa riservata a ben pochi altri artisti prima di lui!”.
Una medaglia e una moneta pontificia e, su entrambe, San Bruno
Se passiamo ai due conii relativi a San Bruno, da evidenziare appare la circostanza che nella moneta e nella medaglia la raffigurazione del santo, pregevole in entrambe, sia ispirata a due differenti motivi iconografici. La medaglia celebrativa (fig. 1), senza data, riporta al recto l’iscrizione VIII PONT MAX ALEXANDER e al centro lo stemma papale, con l’aquila bicipite, sormontato dalle chiavi decussate e dal triregno, mentre il verso, con l’iscrizione SANCTI BRUNONIS che circonda la figura, fa vedere l’immagine dell’apoteosi di San Bruno sopra un nuvolario, le sette stelle (sei intorno al volto e una sul petto), la mitra e il pastorale deposti alla sua sinistra in segno del rifiuto della carica episcopale di Reggio Calabria, con lo stemma di Monsignor Giovanni Battista Patrizi, presidente della zecca pontificia, nel margine basso al centro.
Forse più complessa, soprattutto per la rappresentazione iconografica del rovescio, la moneta (fig. 2) che riporta all’esergo la data del 1690 intervallata dallo stemma del sopra richiamato Patrizi. Nel recto, firmato Hameranus, si vede il profilo destro del busto di Alessandro VIII, con camauro, mozzetta e stola ornata con il simbolo dell’aquila bicipite e l’iscrizione ALEX VIII PONT MAX INEUNTE AN II, laddove l’espressione “ineunte an II” sta a indicare, in perfetta corrispondenza con la data riportata sul retro, come fosse l’inizio del secondo anno del pontificato. Il rovescio ricorda nell’iscrizione entrambi i santi che vi sono raffigurati: DIE NAT SS MAGNI EP OPITER (ET) BRUNONIS ANACHOR, ossia il vescovo di Oderzo San Magno e San Bruno, dei quali sottolinea, mediante l’abbreviazione “die nat” che si riferisce al loro dies natalis ossia alla data della morte, la comune dipartita (ambedue il 6 ottobre, giorno dell’elezione di Alessandro VIII), indicando per ciascuno il diverso ruolo di vescovo (“ep”) e di eremita / anacoreta (“anachor”). San Magno e San Bruno stanno, nella raffigurazione, uno rivolto verso l’altro, il santo vescovo si presenta nimbato, con i contrassegni episcopali (mitra e pastorale) e in posa benedicente, mentre Bruno è nimbato e con il solo libro, unico attributo iconografico qui associato tra i diversi che gli sono solitamente attribuiti.
Insomma, tramite questo frammento appartenente alla storia della coniazione pontificia, un ulteriore contributo anche per la storia dell’iconografia brunoniana e dei rapporti che nel tempo hanno legato Bruno e la Certosa alla cattedra di Pietro.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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