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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
E c’è da dire subito che si ha quasi pudore, in tempi come questi, a usare termini desunti dal linguaggio militare per dire e parlare di altro, ma che di questi termini, essendo ormai talmente entrati nell’uso comune, è difficile fare a meno visto che, alla fine, qualcosa riescono ben a descrivere: due notabili di fronte, come nel nostro caso, a misurarsi nel segreto dell’urna, elezioni parlamentari contese (talvolta con strascichi pure oltre le giornate elettorali), un collegio come quello di Serra San Bruno spettatore delle contestazioni degli esiti scaturiti dal suffragio.
Un’elezione contrastata (e alcune accuse di falso)
La battaglia elettorale con Patrizio Corapi (prima) e il successivo dibattito parlamentare per la convalida dello scrutinio avevano reso l’elezione del barone Vincenzo Paparo nel collegio di Serra San Bruno per la IX legislatura (18 novembre 1865 - 13 febbraio 1867) un evento particolarmente contrastato. Al primo scrutinio Paparo ottenne 172 voti, Patrizio Corapi 72, Paolo Paternostro 58, Felice Assanti-Pepe 41, mentre 33 voti andarono dispersi e 2 furono considerati nulli, così, in assenza di una maggioranza valida, si dovette passare alla seconda tornata e Paparo prevalse con 226 voti, contro i 155 di Corapi, venendo eletto deputato. Il relatore Giovanni Chiassi, incaricato di riferire sulle elezioni nel collegio, non mancò di evidenziare irregolarità nelle operazioni di voto, pur sottolineando che l’ufficio preposto della Camera a grande maggioranza non le avesse ritenute tali da invalidare la procedura elettorale: nella sezione di Badolato “non venne scelto a presidente quello che ottenne il maggior numero assoluto di voti, ma quello che conseguì il maggior numero di voti colla qualifica di presidente”, mentre nella sezione di Arena il segretario dell’ufficio non era elettore e in quella di Davoli “i nomi dei singoli votanti rettificati colle liste originali si scrissero in foglio separato, che fu controfirmato da uno degli scrutatori e dal segretario”.
Ben più preoccupante fu quanto emerse dalla lettura, replicata dal relatore in due diversi momenti della seduta, della cosiddetta perquisizione dell’ufficio di Catanzaro:
“Il cancelliere della Corte di appello delle Calabrie certifica che, fattesi le opportune ricerche nel gran registro delle cause e degl’imputati di crimini, si sono trovate le seguenti imputazioni sul conto del signor Vincenzo Paparo del fu Domenico, da Badolato,
«1° Falsità in un certificato contestante l’affissione al pubblico d’una terna per la carica del novello cancelliere.
«2° Falsità negli atti dello Stato Civile, perché si faceva assistere nella celebrazione degli atti dal figlio di Francesco Gallelli cancelliere comunale, e per costui firmava nella propria casa;
«Reati commessi nella qualità di sindaco di Badolato,
«Ai 15 febbraio 1861 vi fa decisione, colla quale l’abolita Gran Corte criminale di Catanzaro dichiarò di non esservi luogo a procedimento istruttorio contro il detto signor Paparo.
«3° Falsità in pubblica scrittura, per avere rilasciato certificato d’indigenza a persone non povere, dal 1856 al 1859, in Badolato.
«Ai 5 marzo 1860 vi fu decisione della detta Gran Corte criminale, che dichiarò di non esservi luogo a procedimento penale, ed ordinò la conservazione degli atti in archivio»“. Pregressi che, tuttavia, non bastarono a invalidare l’elezione di Paparo, se il deputato Luigi Castelli, dopo essersi opposto a essa, si convinse della sua innocenza, mentre il deputato De Luca mise addirittura in risalto, nel suo intervento in aula, la “probità” e i “pregi” di Paparo.
Un deputato né assiduo né influente
E tuttavia Vincenzo Paparo, pur avendo superato gli scogli della contrastata elezione, non si sarebbe segnalato, a dire di Telesforo Sarti, né per la sua assiduità né per la capacità di influenzare l’Assemblea: “Barone e patriota calabrese fu eletto a rappresentare il collegio di Serra San Bruno alla Camera nazionale dei deputati nel corso della IX legislatura del Parlamento. Sedette fra gli onorevoli che più spesso votarono contro i ministeri di destra, e non fu certo né dei più assidui né dei più influenti nell’Assemblea. Ricordo che egli votò contro la tassa sulla rendita. Liberale di sinceri propositi, prese parte pur esso alle agitazioni calabresi contro l’esosa dominazione borbonica che vide con piacere precipitata nel fango”. La consultazione degli atti del Parlamento sembra confermare il giudizio di Sarti in merito alla presenza del deputato e, soprattutto, riguardo all’incisività e alla costanza della sua attività parlamentare. Tra maggio e giugno del 1866 due “associazioni” a ordini del giorno e voti quasi di routine su questioni finanziarie e una ulteriore “associazione” a un ordine del giorno presentato dal deputato Carlo De Cesare nella 1a tornata del 13 giugno 1866, in merito all’annosa questione delle strade meridionali, con il quale si invitava “il Governo del Re a presentare nella prossima riconvocazione del Parlamento una proposta di legge tendente a sussidiare l’apertura di strade provinciali, comunali e consortili nelle provincie napoletane, - affine di ottenere il più pronto ed efficace pareggiamento delle condizioni viarie delle varie parti d’Italia”. Ancora un’isolata attenzione per i problemi del suo collegio con un breve intervento del deputato, in apertura della 1a tornata del 14 giugno, in favore di una petizione che riguardava Mongiana e la sua fabbrica d’armi: “Questa mane mi è pervenuta un’istanza di molti operai dello stabilimento di Mongiana. Io vi prego pertanto di dichiarare d’urgenza la petizione che porta il numero 11,261, alla quale poi si potrebbe accoppiare l’istanza stessa dei Mongianesi”. E poi poco più altro. Giusto per dare a ogni epoca politica e ad alcuni “attori” sulla sua scena il loro.
Le due identità di Gaetano Loffredo Di Cassibile (e la bocciatura di Chimirri)
Non sarebbe stato l’unico caso di conteggi elettorali contrastati nel collegio di Serra San Bruno, poiché un successivo episodio avrebbe addirittura coinvolto il futuro ministro Bruno Chimirri. Eletto per la prima volta alla Camera dei deputati per la XII legislatura (23 novembre 1874 – 3 ottobre 1876), l’elezione di Bruno Chimirri venne annullata il 10 dicembre 1874 in quanto la Giunta per le elezioni aveva riconosciuto la validità dei voti ricevuti da Gaetano Loffredo di Cassibile e annullati durante lo spoglio nella sezione di Davoli a causa della parziale sottoscrizione della candidatura, compiuta dal Loffredo, firmando soltanto come marchese di Cassibile. Una situazione, la si potrebbe definire, quasi pirandelliana, un gioco tra diverse presunte identità, se il problema era stato, come riporta il verbale della Giunta per le elezioni, “che il signor Gaetano Loffredo marchese di Cassibile fosse persona diversa dal marchese di Cassibile, e che conseguentemente a torto non si vollero cumulare nella votazione di ballottaggio a favore della stessa persona quei suffragi che vennero dati con le diverse indicazioni sopra notate”. Un equivoco, a cui la Giunta pose rimedio osservando come il candidato fosse “notoriamente riconosciuto” con il nome di marchese di Cassibile e che, pertanto, dovevano essere considerati validi i voti che gli erano stati annullati “pretendendo non contenessero sufficiente indicazione della persona eletta”.
E infatti, sentita la relazione del deputato Puccioni, la Giunta si espresse secondo quanto adesso riportato: «Considerando che le proteste presentate contro le operazioni elettorali di primo squittinio e segnatamente contro quelle della sezione di Davoli non possono condurre la Giunta a proporre alla Camera la nullità della elezione; avvegnaché le irregolarità commesse nella indicata sezione, quando portassero ad annullarne le operazioni, non avrebbero influenza alcuna sull’esito generale del voto sperimentato l’8 novembre: e dovrebbe sempre proclamarsi il ballottaggio fra i due candidati che conseguirono maggiori suffragi, come infatti avvenne;
«Considerando che a torto si sostiene che il signor Gaetano Loffredo marchese di Cassibile fosse persona diversa dal marchese di Cassibile, e che conseguentemente a torto non si vollero cumulare nella votazione di ballottaggio a favore della stessa persona quei suffragi che vennero dati con le diverse indicazioni sopra notate;
«Considerando essere accertato che il signor Gaetano Loffredo marchese di Cassibile propose la sua candidatura sottoscrivendosi semplicemente marchese di Cassibile, che un Comitato elettorale così la propose e la raccomandò, che il signor Gaetano Loffredo è notoriamente riconosciuto col nome di marchese di Cassibile, che copre uffizi pubblici con questa indicazione, e che infine lo stesso ufficio definitivo della sezione principale del collegio nel proclamare il ballottaggio in quella forma e con quel solo titolo lo indicò;
«Considerando che dalle premesse ne discende per legittima conseguenza che, nella votazione di ballottaggio, l’ufficio definitivo della sezione principale abusò dei suoi poteri e commise una flagrante ingiustizia quando annullò molti voti dati al marchese di Cassibile, pretendendo non contenessero sufficiente indicazione della persona eletta; col quale abuso e colla quale ingiustizia si aprì la via a proclamare come eletto il signor avvocato Bruno Chimirri, che aveva ricevuto minore numero di voti;
«Considerando che è mestieri reintegrare il candidato che realmente riescì eletto nella condizione giuridica nella quale fu posto per volontà della maggioranza degli elettori;
«Per questi motivi, a maggioranza di voti,
«Conclude perché la Camera:
«1° Annulli la proclamazione a deputato del collegio di Serra San Bruno del signor avvocato Bruno Chimirri;
«2° In riparazione proclami eletto deputato di quel collegio, convalidandone in pari tempo la elezione, il signor Gaetano Loffredo marchese di Cassibile, con voti 382.
«Così deliberato il 9 dicembre 1874».
Detto altrimenti, Gaetano Loffredo e il marchese di Cassibile erano la stessa persona e quindi, nonostante l’equivoco sulla sua identità, i voti dovevano essere cumulati e non suddivisi, con buona pace dello sconfitto Chimirri. La piena identità riconquistata non avrebbe, tuttavia, fatto brillare, al pari di Vincenzo Paparo, il vittorioso Di Cassibile nella sua attività politica romana, alla quale, peraltro, era giunto, lui messinese di origini cavensi, da “catapultato” in un collegio calabrese, come qualcuno avrebbe potuto definirlo, nonostante i suoi sponsali con Maria Caterina Scoppa dei Baroni di Badolato, se anche allora si fosse imposta una moda linguistica recente.
Propone, infatti, un giudizio non esattamente da encomio sul suo programma elettorale Jole Lattari Giugni, autrice di un noto studio sui parlamentari calabresi, visto che il suddetto programma prese concretezza in pochi e sintetici interventi in aula e si rivelò “non pari alla sufficienza” con cui Di Cassibile lo presentò. Si potrebbe aggiungere, non facendo mancare un eloquio altisonante ai suoi propositi politici, se il Loffredo si impegnò a sottolineare come non potesse più assistere “senza disdegno e dolore, allo spettacolo dello sperpero del denaro nazionale e di una progressione indefinita di balzelli”, dando ragione del proprio cattolicesimo, dinanzi alle critiche e alle accuse di clericalismo, sulla base della morigeratezza e probità di cui enunciava essere portatore, trovandosi al fianco, sottolineava, compagni quali Dante e Manzoni (si parva licet…). E come si vede (a morale conclusiva della favola) c’è materia di cui consolarsi per i critici dei pasticci dell’attuale “Rosatellum”: anche in un sistema elettorale infinitamente più semplice (e con un numero del tutto esiguo di votanti) tali pasticci non erano assenti e c’era di che lavorare per la Giunta parlamentare deputata alla convalida degli eletti.
*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole
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