Arrivano i giorni dei convegni in ogni dove, dei tavoli più affollati rispetto alle platee, dell'intellettualismo autoreferenziale, della retorica cotta alla brace e venduta un tanto al chilo. Che sono anche i giorni del fuoco, delle tradizioni allestite in piazza e commercializzate a favore di selfie, nonché del caldo torrido che impone le sue leggi su chi si illude di poterne avere una qualche ragione. Al netto dei ragionamenti su prevenzione e repressione, su droni e spot stagionali, ci sono incendi che, al pari di alcune esistenze, sembrano più dimenticabili di altri. Come uno dei tanti avvenuti negli anni scorsi nelle baraccopoli della Piana di Gioia Tauro dove sopravvivono i braccianti africani di cui, come dei santuari naturalistici esposti tanto alle fiamme dell'estate quanto all'abbandono di infiniti inverni, ci si ricorda solo a stagioni alterne. Salvatore Federico ha immortalato gli effetti di uno di quei roghi risparmiando all'obiettivo, da par suo, lo sguardo di un uomo, un ragazzo, di fronte alla miseria della devastazione (e viceversa). Lo scatto vale a ricordare come anche il fuoco, e anche le ceneri che ne generano, possano risultare invisibili agli occhi di chi trova più comodo non vedere o ben presto dimenticare.

"Fotologhie" è una rubrica curata da Salvatore Federico e Angelo Maggio. Il primo vive e lavora a Serra San Bruno (qui i suoi reportage), il secondo a Catanzaro (qui il sito dedicato ai suoi scatti sul "non finito calabrese"). Il titolo della rubrica parte dal termine "logos" (in greco antico: λόγος, lógos, corrispondente al latino verbum e all'ebraico דבר davar), deriva dal greco légο (λέγω), che significa scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare. Maggio e Federico non sono fotografi da cartolina. Una foto, secondo loro, deve far nascere qualcosa in chi la osserva.

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