Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Quella di Pasquale Andreacchi, il 18enne di Serra San Bruno barbaramente ucciso nell'ottobre di cinque anni fa, è una morte che, fino ad oggi, è rimasta impunita.
Alla luce dei risultati sanciti dalle analisi di autocontrollo, eseguite dalla ditta Esi Lab Srl per conto dell’ente comunale, il sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi, ha disposto con un’apposita ordinanza la non potabilità dell’acqua erogata dalla quasi totalità dei serbatoi annessi alla rete idrica cittadina. Le difformità ai parametri indicati dal D. Lgs. 31/2001, riscontrate nei campioni prelevati il 20 novembre scorso, hanno messo infatti in luce criticità riguardanti l’acqua in uscita dai serbatoi comunali di località “Ninfo” e “Guido", ma, soprattutto, anche di quella erogata dalle fontane pubbliche ubicate in località “Scorciatina”, in piazza San Giovanni, in piazza Mons. Barillari ed in Corso Umberto I, la stessa che finisce nella maggior parte delle abitazioni serresi.
SORIANO CALABRO - “Spero tanto che questa storia possa avere al più presto possibile un epilogo, che sia fatta piena luce sull'omicidio di mio figlio ma, soprattutto, che siano individuati i responsabili”. A dirlo ai microfoni di "A Sangue freddo" - programma condotto da Nadia Donato e Loredana Colloca sull'emittente tv LaC - è Martino Ceravolo, papà di Filippo, il giovane ucciso per errore nell'ottobre di due anni fa sulla strada che collega Pizzoni a Soriano Calabro. “Mi rivolgo ancora una volta al ministro dell'Interno, Angelino Alfano, affinchè si faccia carico di questo caso, altrimenti è chiaro che se non ci dovessero essere risposte nel più breve tempo possibile, allora farò una protesta personalmente a Roma. Non vorrei vedere – ha aggiunto Martino – altri ragazzi di 19 anni in una bara bianca così come successo a mio figlio”.
Il fatto, come si ricorderà, risale al 25 ottobre 2012. Era di giovedì. Quella sera Filippo aveva deciso di recarsi a Pizzoni per trovare la ragazza. Non ci sarebbe rimasto, poi, molto, perchè il giorno seguente il giovane di Soriano avrebbe dovuto alzarsi presto al mattino per andare al lavoro con il padre in giro per i mercati della zona. Fatta una certa ora, Filippo ha deciso di rincasare e, nel farlo, ha chiesto un passaggio a Domenico Tassone. Tanti sono state fino ad ora i giovani morti ammazzati. Filippo, però, a differenza di molti altri, era un innocente. Un ragazzo che non ha mai avuto problemi con la giustizia ma che, alla fine, ha pagato con il prezzo più caro la scelta di salire in macchina con la persona sbagliata. Obiettivo dei sicari, infatti, era proprio Tassone ma, per una pura fatalità, uno sbaglio, gli assassini hanno colpito, uccidendo Filippo, molto qualche ora dopo all'ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia.
A distanza di oltre due anni, dunque, la famiglia Ceravolo attende di avere giustizia. Attende di conoscere chi, quella sera, ha avuto il coraggio di sparare senza accorgersi che in quella macchina c'era anche Filippo. Pretende che sul caso sia fatta piena luce. E lo Stato ha il dovere di dare giustizia, perchè un omicidio come quello di Filippo, a distanza di due anni, non può rimanere impunito.
Solo poche settimane fa sulla panchina della Serrese, l’ormai ex allenatore mister Mardocco aveva ceduto il posto al collega Amoroso. A traballare adesso è la dirigenza biancazzurra che potrebbe essere interessata presto da un terremoto societario. Infatti, in merito alle ultime scelte, sono state molte le polemiche sollevate all’indirizzo del presidente Salvatore Albano che, dal canto suo, starebbe ponderando addirittura le possibili dimissioni dal ruolo, dopo vent’anni di attività contraddistinti anche dal raggiungimento di importanti traguardi come la vittoria, nella stagione scorsa, del campionato di Prima categoria e della Coppa Calabria. Le dichiarazioni rilasciateci telefonicamente da Albano sono state comunque all’insegna del riserbo. Ufficialmente è ancora lui a ricoprire il ruolo di presidente, nonostante lo stesso non abbia mancato di esprimere il suo malcontento.
Secondo il presidente del club, in questo ultimo periodo sarebbe diventato «difficile lavorare» a causa del «mancato rispetto dei ruoli perpetrato da persone che si professano amiche della Serrese ma che invece creano non pochi problemi alla società». Tutto è cominciato poco prima dell’inizio della nuova stagione sportiva, quando i tifosi attraverso un comunicato diffuso alla stampa, contestavano la scelta del nuovo allenatore ricaduta su Luciano Mardocco: «Ci sentiamo in dovere di esprimere la nostra opinione su questa scelta – avevano accusato nella missiva – presa a nostro giudizio in modo assolutamente arbitrario». Nonostante la dimostrazione di attaccamento alla maglia, il messaggio dei tifosi, indirizzato in primis al presidente Albano, risultava però allo stesso essere del tutto privo di senso, dato che la scelta della società era stata quella di chiamare un tecnico più che accreditato, già vincitore del campionato di Prima categoria col Cittanova. Ma, in sostanza, a parere dei supporters, il nuovo tecnico della Serrese avrebbe dovuto essere piuttosto il mister Rolando Megna, tra l’altro una vecchia conoscenza della società, che aveva già disputato dei campionati alla guida della squadra della cittadina della Certosa. Altra questione sollevata ad inizio stagione, era stata quella della riconferma dei veterani che aveva contributo alla salto di categoria: «Pensiamo – scrivevano ancora i sostenitori biancazzurri – che la dirigenza avrebbe dovuto coinvolgere persone come il nostro capitano, Salvatore Piccolo, e tutti gli altri senatori della squadra».
«Io non dico – ha sostenuto il presidente Albano in merito ai fatti – che i tifosi non debbano essere liberi di dire la loro. La squadra vive anche e soprattutto del loro supporto. Ma non sempre tutti possono conoscere le difficoltà di una società, il perché delle scelte, i sacrifici di vent’anni di attività, fatti solo per il bene della squadra. Esistono i tifosi come esiste una dirigenza. Nessuno può avanzare delle pretese non conoscendo come funziona all’interno. Oppure, chi volesse farlo, può benissimo chiedere di entrare fattivamente nella dirigenza per comprendere al meglio le difficoltà di gestione».
Dunque, più che le scelte societarie a risultare arbitrarie sarebbero proprio le pretese dei tifosi, che lontani dalle priorità della società, avanzerebbero «richieste insensate», come il coinvolgimento nella scelta dell’allenatore che non dovrebbe riguardare affatto i tifosi e i giocatori, soprattutto quando ad essere chiamato è un professionista del calibro di mister Mardocco.
«Questo accanimento nei miei confronti – ha continuato Albano – che in venti anni ho dato tanto alla squadra, mettendo da parte a volte anche la famiglia, risulta essere del tutto infondato e fomenta dei malumori che poi si ripercuotono anche a livello societario». In sostanza, il lavoro di Albano ultimamente si è fatto ancora più complicato, anche dopo gli attacchi ricevuti sui social network che l’hanno definito come «unica mela marcia» della società. Le decisioni in merito, adesso dovranno essere assunte dal direttivo, che nei prossimi giorni dovrà decidere se rinnovare la fiducia ad Albano o meno, sempre che lo stesso non dovesse decidere ufficialmente ed autonomamente di cedere il testimone.
SORIANO CALABRO - Volti squarciati dal dolore. Quello di un padre e di una madre, che non rivedranno mai più il proprio figlio. Quello di due sorelle, che non avranno più un fratello con il quale condividere i momenti più belli. Ma soprattutto quello di un'intera comunità che, per un errore, uno sbaglio, una tragica fatalità, da due anni ha perso un figlio. Si, perchè Filippo era un po' così con tutti. Un ragazzo tranquillo, che non ha mai avuto problemi con la giustizia. Lavorava sodo, andando in giro con il padre Martino nei mercati della zona. Un adolescente come tanti altri, che aveva ancora una vita davanti a sé. In casa Ceravolo, però, è come se l'orologio si fosse fermato a quella maledetta sera del 25 ottobre 2012. Filippo, infatti, aveva deciso di recarsi a Pizzoni per trovare la fidanzata. A separare i due paesini poche, decine di chilometri. Arrivata una certa ora, il 18enne ha pensato fosse il momento di rincasare e, nel fare ritorno a Soriano, evidentemente Filippo non si sarebbe mai aspettato di rimanere vittima in un agguato di mafia. La sua colpa, quella di chiedere un passaggio a Domenico Tassone. Quella sera, infatti, a morire doveva essere proprio Tassone ma chi ha sparato non avrebbe mai immaginato che in quella macchina ci fosse anche Filippo.
A due anni di distanza dalla scomparsa, il movimento Ammazzateci Tutti, in collaborazione con l'associazione ConDivisa e la Consulta sicurezza dei sindacati autonomi delle forze dell'ordine, hanno organizzato una giornata in sua memoria. Dopo la Santa Messa celebrata da don Pino De Masi i presenti hanno tenuto una fiaccolata che ha percorso le vie del paese per poi arrivare in piazza dove ci sono stati tutta una serie di interventi. All'iniziativa c'erano numerose autorità civili e militari, rappresentanti delle forze politiche, il testimone di giustizia Rocco Mangiardi ed i familiari di Pasquale Andreacchi, giovane come Filippo ucciso brutalmente nel 2009.
SERRA SAN BRUNO – I Carabinieri della locale Compagnia, guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone, hanno tratto in arresto nella giornata odierna G.P., 25enne serrese, in quanto coinvolto, nel dicembre del 2011, in una rapina nell'abitazione di Rosina Zaffino, 85enne di Serra. Il giovane, già arrestato due anni fa e fino ad ora ai domiciliari, deve ancora scontare una pena di un anno e 4 mesi. Per questo, i militari oggi hanno provveduto a trasportarlo presso il carcere di Vibo Valentia.
In quella occasione, G.P., in compagnia di altri due giovani del luogo, riuscirono ad impossessarsi della somma di 2000 euro e di vari monili in oro per un valore di circa 2500 euro.
Si è tenuto ieri, nella sala consiliare del comune di Soriano Calabro, un incontro per discutere sullo stato attuale e, soprattutto, sul ruolo che dovrà rivestire nel prossimo futuro l’ex nosocomio cittadino, convertito – a seguito della riorganizzazione della rete sanitaria dettata dal Piano di Rientro – in semplice Centro assistenziale primario territoriale. All’iniziativa hanno preso parte il direttore sanitario dell’Asp di Vibo Valentia, Carlo Truscello; il direttore del distretto sanitario di Serra San Bruno, Giuseppe Grillo e la responsabile dello stesso Capt di Soriano, Antonella Ascoli. Oltre ai rappresentanti del management dell’Azienda sanitaria, presenti anche numerosi sindaci ed amministratori di Comuni ricadenti nel territorio dell’Alto Mesima ed i rappresentanti del comitato pro-ospedale, costituitosi di recente a Soriano proprio a tutela dell’ex presidio corposamente ridimensionato negli ultimi anni.
L’incontro, voluto dal presidente del consiglio comunale cittadino, Enzo Bellissimo, si è quindi rivelato utile a mantenere alta l’attenzione sulle condizioni della struttura, ormai da tempo finita ai margini dell’offerta sanitaria provinciale, nonostante fosse ancora punto di riferimento per un bacino di circa 30mila utenze, per lo più anziani. Per questo motivo e per molti altri, i presenti hanno chiesto ai vertici dell’azienda sanitaria risposte immediate rispetto alla questione, sollevando forti preoccupazioni in merito ai corposi nodi attuali, connessi in particolare all’inadeguatezza degli ambulatori caratterizzati da una cronica carenza di personale – per via del famigerato blocco del turnover – e la contestuale impossibilità di offrire agli utenti le prestazioni necessarie. Una condizione che nel tempo ha semplicemente fatto il gioco del settore sanitario privato, a cui, irrimediabilmente, molti utenti sono costretti a rivolgersi a causa delle lunghissime liste d’attesa che ormai caratterizzano, anche a Soriano, il comparto dell’offerta sanitaria pubblica. Altra grana, non di poco conto, la funzione della nuova Residenza sanitaria assistenziale, inaugurata in pompa magna pochi mesi fa e già a rischio chiusura, tanto che nelle ultime settimane si era parlato di un trasferimento dei pazienti verso lo Jazzolino. Sembra che la soluzione intermedia possa essere quella di un accorpamento con Vibo pur mantenendo la struttura fisicamente a Soriano.
A fronte delle numerose preoccupazioni sollevate nello svolgimento dell’incontro, sono arrivate le rassicurazioni di Truscello, che si è detto pronto a porre in essere tutti gli interventi utili a tutelare il futuro della struttura. In tale ottica, vista la richiesta di un immediato cambio di passo, la soluzione maggiormente percorribile – proposta dallo stesso direttore sanitario – è parsa quella di avviare un processo di riconversione della struttura, da Capt a Casa della Salute. Anche se al momento, visto soprattutto la condizione, ad esempio, della struttura di Chiaravalle Centrale – indicata anche questa dalla nuova riorganizzazione sanitaria come Casa della Salute – pare che possano riscontrarsi non pochi problemi, quanto meno in relazione ai tempi, per una reale riconversione dell’ex ospedale di Soriano. I disagi, infatti, saranno destinati a perdurare, almeno, finché la sanità regionale non si scrollerà di dosso le severe indicazioni imposte dallo status di commissariamento. È poi alto il rischio che con l’apertura di una nuova struttura sanitaria nella città capoluogo Vibo, gli altri “piccoli” ospedali, o quello che ne resta, potranno incassare nuovi corposi ridimensionamenti che li condurrebbero verso l’ormai irrimediabile tracollo definitivo.
Assente alla riunione il direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale, Florindo Antoniozzi – ha fatto sapere – per motivi di carattere puramente personale.
SORIANO CALABRO – Filippo Ceravolo, il giovane ucciso per errore la sera del 25 ottobre di due anni fa, è stato riconosciuto vittima di Mafia. L'annuncio è stato dato dal padre Martino, ospite ieri sera alla trasmissione “Il rinoceronte”, condotta da Michel Dessì e in onda sul canale SUD 656. Nel corso della puntata, il papà di Filippo ha ripercorso un po' le fasi dell'omicidio del figlio, 19enne di Soriano, “colpevole” di trovarsi quella sera nel posto sbagliato e, soprattutto, con la persona sbagliata.
Il primo di maggio del 1569 Carlo d’Asburgo, Arciduca d’Austria e fratello del nuovo Imperatore Massimiliano, è in visita a Firenze, dove viene sontuosamente accolto dal duca Cosimo e dal di lui figlio Francesco, il quale, solo quattro anni prima, aveva sposato Giovanna d’Austria, sorella di Carlo. In onore dell’Arciduca viene rappresentata la commedia la Vedova, opera del commediografo e letterato di corte Gian Battista Cini. Personaggi principali della commedia sono, tra gli altri, un soldato siciliano (Fiaccavento), un signore veneziano (Messer Marino) e un gentiluomo napoletano (Cola Francisco Vacantiello). A un certo punto dell’intreccio, Messer Marino comunica a Fiaccavento l’intenzione di dare sua figlia in sposa a Cola Francisco, affermando che quest’ultimo aveva assicurato di far arrivare dalla Calabria, sua terra d’origine, tutte le carte utili a comprovare il suo rango. All’udire che Cola Francisco è di origine calabrese, tuttavia, Fiaccavento mette in guardia Messer Marino, sbottando:
Dunque, iddu è Calabrisi? Uh santu Diavulu
Di Paliermu! Ah, ah, ah! Et vui buliti
Donar mugghieri, ah, ah! cum reverentia
A nu strunzu d’asin calavrisi? Et nun
Sapiti ancora lu muttu?
[..]
Et nun sapiti chi nostru Signuri
Deu, quandu criau lu Mundu, dissi
A chisti disgratiati: “Surgite,
Calabrorum de stercore asinorum”?
Et chi si dici de lu Calavrisi:
“Trista la casa chi ci sta lu misi,
Et si ci sta l’annu,
Ci duna lu malannu”?
Quando, nel corso della vicenda, Fiaccavento e Cola Francisco si trovano insieme sulla scena è un profluvio di insulti, con il soldato siciliano che insiste sulle origini calabresi di Cola Francisco come speciale motivo di biasimo. «Vattinni a Riggiu», incalza Fiaccavento, «non senti li Turchi comu si sunnu accunzati? chi vonnu veniri un atra vota a saturari megghiu li vostre fimmene». E se Cola Francisco prova a replicare con un «Siciliano pisciaza di Franzisi» e altre ingiurie, Fiaccavento ribatte pronto con «Bastardu di li Turchi» e «Iuda imprennasumeri».
L’inclinazione al tradimento è uno dei caratteri che più comunemente sono stati attribuiti ai calabresi, e nel Sedicesimo secolo l’immagine del calabrese traditore, spesso rinvigorita dal sospetto di familiarità di sangue col Turco, è profondamente radicata e fermamente consolidata. Non era forse stato un vecchio bombardiere calabrese colui che, passando tra le file del nemico, aveva suggerito a Saladino il modo di prendere la città di Strigonia, nel cuore dell’Ungheria, nel 1543? – Questo, almeno, è quanto riferisce lo storiografo di Francia, Gilbert Saulnier du Verdier. Nel 1569, il calabrese più famoso d’Europa è, senza ombra di dubbio, il terribile “Re” d’Algeri, il rinnegato Occhialì (o Lucalì, Uccialì, Ulucci Alì, Ulug Alì, Uluds Alì, e altri ancora), ovvero Gian Dionigi Galeni da Le Castella, rapito dai turchi nel 1536 e venduto come schiavo a Istanbul, dove si era convertito all’Islam per non incappare nella pena capitale comminata agli schiavi che si macchiavano di omicidio. Occhialì aveva percorso tutto il cursus honorum all’interno della marina militare ottomana sotto la guida del famoso Dragut, al quale era poi succeduto nella carica di Vicerè d’Algeri e Signore di Tripoli. E ora eccolo, il calabrese che non aveva avuto timore di rinnegare la propria fede per aver salva la vita, intento a versare il sangue dei suoi fratelli e a razziare le loro terre, a commerciare in cristiani e a costruire moschee in onore del Dio degli infedeli.
D’altra parte, umanisti come Niccolò Perotti o Pietro Crinito (Pietro Baldi Del Riccio), ghiotti di curiosità filologiche e favolose, non avevano incontrato difficoltà a rintracciare, nei vecchi testi degli storici, le prove dell’iniquità connaturata al carattere calabrese. E se Perotti doveva metterci del suo per interpretare i Bilingues bruttates come i Bruzi voltagabbana (quando il grammatico Festo –rimandando a Ennio– altro non intendeva che i Bruzi bilingue, in quanto essi parlavano sia il Greco che l’Osco), per Crinito è sufficiente richiamare le testimonianze di Diodoro Siculo, Tito Livio, Strabone e Aulo Gellio per corroborare, su un piano apertamente accademico, il pregiudizio “anticalabrese”. Per Diodoro Siculo e Strabone, i Bruzi erano disperati in fuga dal territorio dei Lucani che si erano raccolti nell’impervio, estremo sud della penisola, e il cui stesso nome, Brettioi, tradiva la loro origine e indole: quella di essere schiavi. Nella storia di Roma immaginata da Tito Livio, i Bruzi sono il popolo che non perde tempo a schierarsi dalla parte di Annibale, quando questi attraversa l’Italia in groppa ai suoi elefanti. Traditori di natura, e piuttosto tardi di comprendonio, si fanno ingannare da Quinto Fabio Massimo, aiutandolo a prendere Taranto solo perché l’ufficiale della guarnigione bruzia lasciata da Annibale a guardia della città s’è infatuato d’una donna. Alla fine della guerra, agli ormai sottomessi Bruzi i Romani vincitori negano la cittadinanza e li interdicono dal servizio militare. Piuttosto, racconta Aulo Gellio, essi sono destinati al servizio più infamante: quello di flagellatori al servizio dei magistrati provinciali. Su questi elementi si costruisce, a partire dal Medioevo e poi nel Rinascimento, con Perotti in prima linea, la convinzione che vuole i Calabresi torturatori e flagellatori di Gesù Cristo. I Calabresi, anzi, sono tutt’intorno al Messia durante la passione: calabresi i fustigatori; calabrese –di Cosenza, capitale del Bruzio– Pilato; calabrese, addirittura, Giuda Iscariota. I calabresi, insomma, contendono agli ebrei il non invidiabile titolo di carnefici di Nostro Signore, quando non sono essi stessi additati malevolmente come giudei.
Di queste accuse e delle repliche che seguono rende conto, mirabilmente, Augusto Placanica nella sua Storia della Calabria, mettendo in luce, oltreché la durezza del pregiudizio anticalabrese, la mitizzazione della Calabria operata, in contrapposizione a quel pregiudizio, dagli stessi intellettuali calabresi. Uomini di solida dottrina come Barrio, Telesio, Campanella, Fiore da Cropani e, più tardi, Posterario, si impegnano attivamente a controbattere alle accuse e riabilitare l’immagine del calabrese. Essi, tuttavia, si trovano nella difficile situazione di rivolgersi a interlocutori che della Calabria e dei calabresi quasi mai avevano fatto esperienza –e forse mai l’avrebbero fatta– e già cominciavano a infatuarsi dell’idea del calabrese come “selvaggio d’Europa”. E in questa mitizzazione ad usum externorum si rincorrono e si perpetuano, in Telesio come in Campanella, i motivi della fertilità del suolo calabrese, della bellezza del paesaggio, dell’antica sapienza pitagorica ancora riverberante nel più umile dei suoi abitanti. L’opera di Gabriele Barrio da Francica, De Antiquitate et situ Calabriae (1571), alla quale avrebbero attinto innumerevoli intellettuali e per la redazione della quale l’autore aveva ottenuto l’appoggio di un altro calabrese illustre, il cardinal Guglielmo Sirleto, bibliotecario e custode della Biblioteca Vaticana, è il primo e più sistematico –se non il più efficace e rigoroso– tentativo di autorappresentazione della Calabria e dei calabresi di fronte ai topoi della letteratura umanistica. L’obiettivo dichiarato di Barrio è quello di «riportare in luce una verità che dai detrattori viene taciuta o viene ignorata», ed è un obiettivo che viene perseguito, in primo luogo, su un piano accademico. Le pagine dell’opera di Barrio, grondanti di squisita e raffinatissima erudizione, prima ancora che col pregiudizio mentale e culturale, cercano un confronto con la tradizione storico-letteraria sedimentatasi nel corso dei secoli. La Calabria di Barrio non è meno letteraria di quella di Perotti e Crinito, ed è costruita coi medesimi arnesi da quelli utilizzati: il ricorso a un passato remoto, quando non leggendario, e l’elevazione di suggestioni al rango di prove e documenti.
Questa letterarietà costituisce uno degli elementi portanti che caratterizza l’autorappresentazione della Calabria sino ai giorni nostri, così come l’idea del contrasto tra la natura –meravigliosa e incontaminata– e l’iniquità dei feudatari e dei padroni. Nell’opera di Barrio è già evidente quella tensione tra la bontà della natura e la malvagità dell’uomo che avrebbe condizionato pesantemente l’autorappresentazione dei calabresi nei secoli a venire, e avrebbe determinato, nella grande maggioranza dei casi, lo slittamento verso una dimensione mitico-letteraria, necessariamente ottenuta tacendo quanto si sarebbe scelto di non vedere. È esattamente a questa tensione e a questo slittamento che Corrado Alvaro si riferisce quando afferma che i calabresi «mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia». La stessa tensione e lo stesso slittamento che si ripresentano puntualmente, ogni volta che un spot pubblicitario, un film o un libro ci costringono ad autorappresentarci.
Nell'immagine: Anonimo, Uomo in costume calabrese (PInacoteca del Museo Civico di Foggia)
VIBO - Nella Sala della Biblioteca dell’Asp, a Palazzo ex Inam, si è svolta un’assemblea, promossa dalla segreteria provinciale della Cisal, a cui hanno preso parte molti degli ausiliari specializzati in organico all’Azienda sanitaria. Oggetto dell’iniziativa la richiesta di convertire il rapporto occupazionale da part-time in full-time. Da molti anni i lavoratori ausiliari, in servizio presso i presidi di Vibo Valentia, Serra San Bruno, Tropea e Soriano Calabro, portano infatti avanti la vertenza, mai realmente presa in considerazione dai vertici dell’azienda sanitaria. In più interventi, durante la riunione, i lavoratori hanno comunicato di essere pronti a porre in essere azioni eclatanti se nel prossimo futuro non si dovesse iniziare a ricercare soluzioni utili a risolvere il problema.
I lavoratori, impegnati paradossalmente quasi tutti in comparti sottodimensionati, sono infatti continuamente sottoposti a turni straordinari di lavoro e spesso costretti al mancato godimento delle ferie, cosa che, oltre ai notevoli sacrifici, potrebbe determinare anche delle disfunzioni nell’espletamento dei servizi prestati. Criticata è stata anche l’intenzione palesata di recente dai vertici aziendali di arrivare all’assunzione di nuovo personale.
Nell’ambito della discussione i rappresentanti Cisal non hanno mancato di evidenziare come la problematica interessi sia il settore pubblico che privato della sanità provinciale, pertanto l’idea promossa è stata quella del varo di una programmazione triennale che andasse a definire il fabbisogno del personale nelle diverse strutture, senza continuare a rimandare la questione, «diversamente – hanno comunicato i vertici Cisal – utilizzeremo tutti gli strumenti di legge disponibili per inchiodare di fronte alle sue precise responsabilità tutto il management».
Infine, i partecipanti all’iniziativa hanno espresso fiducia nell’operato del nuovo commissario per l’emergenza sanità in Calabria, Luciano Pezzi, che ha assicurato di recente, tra le altre cose, forte attenzione sulla rete dell’emergenza ed in merito allo sblocco del turnover.
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