Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Di seguito pubblichiamo uno scritto di Maria Rita Andreacchi, 18enne studente dell'istituto "Einaudi" di Serra, che la stessa autrice ha letto durante la cerimonia della XVII Giornata della memoria e dell'impegno delle vittime innocenti delle mafie che Libera ha voluto organizzare a Serra San Bruno.
“La giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, in programma per mercoledì nella cittadina della Certosa, rappresenta un appuntamento importante, per continuare a celebrare il ricordo di uomini e donne che non hanno abbassato la testa, che non hanno voluto girarsi dall’altra parte. Rappresenta, soprattutto, l’occasione per perpetuare la memoria di quanti hanno deposto la longanesiana bandiera del “tengo famiglia”, per combattere, anche, per chi quella bandiera ha voluto tenerla ben stretta. Tuttavia, le manifestazioni come quella di mercoledì, non possono essere appannaggio di quelli che Sciascia definiva i “professionisti dell’antimafia”. Per tale motivo, è necessario avviare una serie di constatazioni e di considerazioni destinate ad andare al di là di una riflessione di carattere ordinario. La virulenza e l’ampiezza dell’attacco, sferrato dalla criminalità, non di rado, ha indotto gli esponenti politici ad aprire tavoli di confronto, a svolgere consigli comunali aperti, ad organizzare manifestazioni e fiaccolate. Il tutto, nell’ottica di sensibilizzare un’opinione pubblica, spesso, restia a spendersi in prima persona. Non v’è dubbio, che tali iniziative possano svolgere un’importante funzione pedagogica. Tuttavia, per contrastare un fenomeno è necessario comprenderlo in tutte le sue sfumature ed accezioni. Prima di procedere ad un’accurata disanima del fenomeno sarebbe, quindi, opportuno individuare la tipologia umana che lo anima e lo produce. In altri termini, sarebbe necessario porre un interrogativo: “chi è il mafioso?”. Nell’oleografia popolare, il malavitoso può assumere le vesti del bandito o del brigante che, quasi con fare romantico, armato di coppola e doppietta, assiepato dietro qualche albero di alto fusto, lava col sangue le sue vendette. Un tale stereotipo, però, per quanto suggestivo non aiuta a tratteggiare correttamente i contorni di un fenomeno, le cui manifestazioni assumono un carattere tutt’altro che individuale. Ricorrendo all’ausilio di un noto dizionario della lingua italiana, potremmo “scoprire” che, dietro al temine mafioso si cela in realtà: “il componente di un’associazione segreta di persone che si dà aiuto reciproco e che per il proprio interesse é pronto a disprezzare ed a calpestare la legge e la morale”. A questo punto, i contorni, per quanto meglio definiti, possono indurre in errore, poiché, se il mafioso è un individuo che mette in atto azioni illegali per raggiungere il proprio fine, non si può non rilevare come tali atteggiamenti, spesso, permeino settori che dovrebbero esserne del tutto immuni, a partire dal mondo politico. Quante volte, infatti, la classe politica, in questa nostra regione, approfittando della posizione e della funzione che occupa, disprezza e calpesta quella legge e quella morale che dovrebbe essere alla base del vivere civile? Se quindi, per mafioso, intendiamo, non solo gli atti che presuppongono violenza fisica, ma anche quelli caratterizzati dalla sopraffazione, dalla discriminazione, dal sopruso, il quadro diviene molto più complesso ed affollato. Se è vero come è vero, che, incendiare un automobile, devastare un pubblico esercizio, esplodere colpi d’arma da fuoco contro chiunque può essere considerato l’inequivocabile indizio di un comportamento mafioso, è altrettanto vero che, più subdoli e non meno criminali mezzi di pressione possono essere esercitati in maniera differente. Non è forse un atteggiamento “mafioso”, in quanto prevaricatore, stravolgere una graduatoria, falsare un concorso, indirizzare un appalto, ai danni della stragrande maggioranza dei cittadini? Non è forse un atteggiamento “mafioso”, in quanto immorale, distribuire incarichi, prebende e regalie ai danni della collettività? Non è forse un atteggiamento “mafioso”, in quanto vessatorio, esercitare pressioni e ricatti per estorcere consensi durante le competizioni elettorali? Non è forse un atteggiamento “mafioso”, in quanto illegale, chiedere voti in cambio di false promesse o favori personali che poi è la comunità a dover pagare? Purtroppo, si potrebbe continuare a iosa, visto che ciò che manca non sono gli esempi negativi, bensì le pubbliche virtù. Tali “vizi” o, forse come li avrebbe definiti un frenologo, tare antropologiche coincidono con una forma mentis che non può, purtroppo, mutare con una fiaccolata o con un convegno più o meno pomposo. Quale allora la strategia, la strada da intraprendere e seguire per debellare quello che, altrimenti, rischia di configurarsi come un fenomeno sociale? Partendo dalla banale considerazione che in tali campi non vi sono ricette miracolose o salvifiche si potrebbe, ad esempio, cercare di sensibilizzare o educare l’opinione pubblica con l’esempio. La classe politica, quale espressione della parte più elevata della società, dovrebbe avere il compito e la funzione di restituire dignità anziché toglierla, dovrebbe tutelare i diritti anziché calpestarli, dovrebbe svolgere le mansioni istituzionali in nome e per conto dell’intera comunità e non in funzione degli interessi del “clan” di riferimento. Certo, educare con l’esempio è difficile, poiché comporta sacrifici e scelte coraggiose, ma soprattutto, in molti casi, non aiuta a far comprendere la reale dimensione del potere che, come amava ripetere Talleyrand, “si misura con l’abuso che se ne fa”.
In vista della XVII Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che l'associazione antimafia Libera celebrerà a Serra San Bruno il 21 marzo (https://www.ilvizzarro.it/a-serra-il-21-marzo-la-giornata-della-memoria-e-dellimpegno-in-ricordo-delle-vittime-innocenti-della-criminalita-organizzata.html), il Vizzarro.it pubblica alcuni scritti degli studenti dell'Istituto d'Istruzione Superiore "Luigi Einaudi".
La visita del 9 ottobre scorso del Santo Padre Bendetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno ha offerto alcuni spunti di riflessione sul significato della vita certosina, del silenzio e del ruolo del monaco che vigile come “un mozzo” scruta l’orizzonte e perciò il futuro. Da qui sono nate delle domande che abbiamo posto al Padre Priore della Certosa Dom Jacques Dupont che ha accolto il Papa e che vive la vita certosina fatta di clausura, preghiera e silenzio, ormai da oltre quaranta anni, facendo lo stesso percorso dalla Chartreuse di Grenoble alla Certosa di Serra che oltre mille anni fa, fu quello di Bruno da Colonia.
BROGNATURO – Manca veramente poco, anche se tutto sembra muoversi in sordina. A poco meno di venti giorni dalla scadenza fissata per la presentazione delle liste per il rinnovo del consiglio comunale, nel borgo in riva all’Ancinale, la macchina politica sembra ancora alle prese con le piccole manovre di cabotaggio. Tuttavia, stando alle prime indiscrezioni, la prossima campagna elettorale pare destinata ad essere caratterizzata da molte novità e poche conferme. La novità di maggior rilievo dovrebbe essere il passo indietro dell’attuale primo cittadino, Cosmo Tassone, intenzionato a “lasciare”, per “motivi di salute”. Il sindaco di lungo corso, ritornato alla guida del comune cinque anni fa, dopo l’interregno del braccio destro Pupo, dovrebbe lanciare un “volto nuovo” destinato, nelle intenzioni, a raccoglierne il testimone. In attesa di definire chi sarà il designato alla successione, nei giorni scorsi, il raggruppamento, che cinque anni addietro si aggiudicò la tornata elettorale sotto le insegne di “Noi e Voi per Brognaturo”, ha dato luogo ad una partecipata riunione nel corso della quale sarebbero state emanate le linee guida per la formazione della lista. Alla luce di quanto fatto trapelare, durante la riunione sarebbe emersa la volontà di innovare nella continuità. In altri termini, la nuova formazione dovrebbe nascere da un mix di uomini legati al vecchio corso e da nuove leve alla prima esperienza politica. Stando alle indiscrezioni, per conoscere i componenti della lista ispirata da Tassone bisognerà aspettare l’esito di una riunione in programma per il fine settimana. Per quanto riguarda, invece, il fronte degli antagonisti, si potrebbe registrare una clamorosa novità con la discesa in campo di Mimmo Salerno. Il professionista pare sia lavorando, già da qualche tempo, alla composizione di una lista nella quale potrebbe figurare, anche, qualche transfuga di “Noi e Voi per Brognaturo”. Dalle novità alla conferme. Con ogni probabilità a disputarsi la fascia di primo cittadino ci sarà, ancora una volta, Bruno Papa, reduce dalla candidatura di cinque anni or sono, quando vestì i panni dello sfidante sotto le insegne di “Cambiamento e Progresso”. Salvo colpi di scena, quindi, complice la riduzione dei componenti del consiglio comunale e quindi delle liste, la nuova tornata elettorale si dovrebbe caratterizzare per la presenza di tre raggruppamenti politici intenzionati a conquistare la maggioranza dei poco meno di cinquecento votanti che costituiscono il corpo elettorale.
(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)
SERRA SAN BRUNO - Potevano essere molto più serie le conseguenze dell'incidente capitato stamattina presso l'ospedale "San Bruno". A causa del forte vento che in queste ore sta sferzando l'entroterra montano vibonese, una finestra intera (foto) è volata giù da un piano dell'ospedale e si è infranta sulla balconata che sovrasta l'entrata del pronto soccorso. Per fortuna non c'è stato nessun danno a cose a persone, ma l'incidente poteva essere ben più pericoloso se fosse volata giù una finestra situata su un altro lato dell'ospedale. L'episodio, ad ogni modo, la dice lunga sulle condizioni strutturali in cui versa il nosocomio.
Riceviamo e pubblichiamo:
Il velo di omertà e la protezione da ambo i lati, che la politica sta offrendo sull'alta velocità Torino-Lione è un caso rarissimo, specialmente per come è intesa la politica in questi ultimi anni. Plausibile pensare che i nostri cattivi conterranei abbiano messo radici anche in Val di Susa. E la ‘ndrangheta che offre sempre il solito servizio di raccolta voti. E la mala mette mano. Cosa hanno promesso i partiti alla 'ndrangheta? La Tav è un'opera da 22 miliardi di euro.
Negli ultimi giorni in Val di Susa hanno bruciato le auto di alcuni manifestanti (foto). Davvero vogliamo essere così miopi e ingenui da pensare che siano stati incendi accesi dagli stessi No Tav o dalla polizia? E a che scopo? Perino, uno dei leader dei No Tav si vede recapitare a casa questa lettera: «Brutto figlio di puttana, le stalle che abbiamo bruciato erano solo un avvertimento. Ora passeremo ai cristiani: vi veniamo a prendere mentre dormite, vi scanniamo come maiali e vi squagliamo nell'acido». E questo tipo di missive, in Calabria le conosciamo molto bene. Le lotte per la difesa dei territori, si somigliano, come per l’acqua nelle serre, per la terra nella Val di Susa.
Il procuratore di Torino Caselli parla di un «inquietante intreccio tra criminalità organizzata e politica». Incontri al bar, telefonate. Da una parte deputati, consiglieri regionali, funzionari pubblici, dall'altra pluripregiudicati, boss e capi di locale. L'operazione Minotauro portava nelle carceri politici, tra i quali Nevio Coral, già sindaco di centrodestra di Leinì (Torino) per 30 anni e suocero dell'assessore regionale alla Sanità, Caterina Ferrero, del Pdl.
Ecco, quel piccolo comune – il più occidentale d’Italia – è stato il primo comune al di fuori del Meridione ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose: era il 1995. Ma i lunghi tentacoli della ‘ndrangheta avevano raggiunto la Valle di Susa almeno da quaranta anni: da quando, cioè, a metà degli anni ’50 un giovane muratore originario di Marina di Gioiosa Ionica venne mandato al confino da quelle parti. Si chiamava Rocco Lo Presti, e nel giro di pochi anni assume sempre più la direzione del boom associazione mafiosa edilizia che stava conoscendo la zona, costruendo case, palazzi e residence e riuscendo a reclutare manodopera a basso prezzo. Gioiosa e Siderno in progress. Come al solito. Invece di conoscere Siderno per la sua bellezza, per Peppe Correale, per Peppe Fragomeni, esportiamo malacarne. Maledetti. Ma continuiamo il nostro racconto.Visto che s’era ambientato così bene, Lo Presti consigliò a suo cugino di trasferirsi a Bardonecchia. E così arriva anche Francesco Mazzaferro, titolare di un’impresa di movimento terra che ottiene presto il monopolio del settore nella zona che va da Bardonecchia a Sauze d’Oulx, tanto che nei cantieri, secondo le cronache del tempo, si vedono solo autocarri targati RC. Negli anni, dopo qualche guaio con la giustizia - reclusione a causa di un condanna per omicidio non confermata in appello -, Lo Presti fa subito carriera imprenditoriale, un benefattore capace di dare lavoro a migliaia di persone e di garantire investimenti faraonici. “Ha rappresentato un pezzo della storia economica dell’Alta Valle e della località olimpica”, scrive un giornale locale in occasione della sua morte, avvenuta nel gennaio del 2009. Peccato che pochi giorni prima, però, “zio Rocco” fosse stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Aveva infatti organizzato una vera e propria deportazione. Piaceva agli operai (perché veniva garantito loro un lavoro) e soprattutto ai costruttori (che evitano così grane sindacali e risparmiavano sui contributi). Un rapporto della Commissione parlamentare antimafia, nientemeno che del 1974, evidenziò che “qualcosa di nuovo, qualcosa di strano ha rotto l’equilibrio di sempre. Si sono verificati fenomeni di delinquenza organizzata con caratteristiche del mondo mafioso: massicci casi di intermediazione, collocazione abusiva, sfruttamento e decurtazione salariale, racket”, e stimò che quasi l’80% della forza lavoro venisse reclutata attraverso canali illegali.E in Rosarno intanto ci si scandalizza perché Coca Cola acquistava arance dai negrieri rosarnesi.Quei poveri ragazzi, schiavi come nel Mississipi. La tecnica mafiosa dello schiavismo è sempre quella. Perché una ‘ndrina calabrese riesce ad attecchire in maniera così profonda in una regione straniera? Semplicemente perché è in grado di gestire in maniera efficiente il mondo del lavoro locale, fatto di appalti e di controllo della manodopera. E di lavoro, in quegli anni, nei pressi di Bardonecchia ce n’è tantissimo: ottomila alloggi, per 1 milione e 20mila metri cubi di cemento, vengono tirati su alla fine degli anni ’60, senza considerare tutte le costruzioni abusive (stimabili in 2 mila unità). E poi quelli sono gli anni della costruzione del traforo del Frejus: un investimento da 170 miliardi di vecchie lire di allora (una situazione non diversa da quella che la Val di Susa sta conoscendo oggi). Quest’improvvisa espansione edilizia portò all’esaurimento della manodopera locale e all’impossibilità, da parte delle piccole aziende di Bardonecchia, di intraprendere i lavori. Ed è qui che entra in gioco la ‘ndrangheta: molte imprese cominciano ad arrivare dalla Calabria, su consiglio di Lo Presti e di Mazzaferro, e si gettano a capofitto sugli appalti, divenendone i padroni assoluti. In un verbale steso nel 1987 dagli ispettori inviati dal prefetto di Torino si legge: “tra la cittadinanza di Bardonecchia è diffusa l’opinione che per intraprendere in quel luogo una qualunque attività commerciale sia necessario il parere favorevole del Lo Presti”. Si ficia Sindacu. Unità d’Italia, all’incontrario. I Savoia grandi criminali hanno invaso la Calabria. Ora i grandi criminali calabresi colonizzano il Piemonte. E attaccano i compagni con la stessa subdola tecnica che attaccano noi. Ma dai territori dobbiamo ripartire, senza mollare, perché se perdono una volta sola, cominceranno a perdere sempre.
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