mini spera_randi«C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio». Uno dei passi salienti de “La lentezza”, il romanzo in cui Milan Kundera descrive la nostra epoca «ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità; se accelera il passo è perché vuole farci capire che oramai non aspira più ad essere ricordata; che è stanca di se stessa, disgustata da se stessa; che vuole spegnere la tremula fiammella della memoria». Un passo chiaro, esplicativo di un’età ed un tempo costretti a convivere con lo spettro dell’oblio. Nel momento in cui la tecnologia offre apparentemente un’illimitata possibilità di preservare il passato, si registra una grande propensione a dimenticare. Un’esistenza, la nostra, invasa dall’informazione e dalla cronaca quasi mai destinata a diventare storia. Episodi clamorosi, sui quali l’enfasi mediatica esercita la propria sconfinata energia, lasciano presto il passo al demone invisibile della “velocità”. Uno spettro al quale non sembra sfuggire nessuno, a partire dalle piccole comunità, nelle quali per secoli il racconto orale ha tramandato il ricordo di eventi lontani, di fatti senza tempo. Ciò che spesso oggi manca è, quindi, la memoria a breve termine, il vissuto quotidiano destinato a non divenire mai storia. A volte però esercitare il ricordo diventa una forma di dovere. A poco più di un quarto di secolo, un tempo relativamente breve, viene per esempio da chiedersi dove sia finita quella che i serresi, con una locuzione dialettale, avevano battezzato “la Spera randi”. Un magnifico ostensorio sparito e mai più ritrovato. Il furto, compiuto a Serra San Bruno, nella notte del 18 novembre 1982, all’epoca lasciò inebetita l’intera cittadina. A distanza di anni, il ricordo sembra invece affievolirsi, a tratti addirittura svanire. Eppure non si tratta di un’opera minore. L’ostensorio rappresentava uno dei più grandi capolavori dell’arte calabrese. Era stato realizzato a Napoli, nel 1820, presso la fonderia Russo, ad opera dell’artista serrese Domenico Barillari. Un autentico capolavoro, capace di suscitare l’ammirazione del «Presidente della Accademia delle Belle Arti e disegno D. Costanzo Angelici il quale – nel vedere il modello, secondo il resoconto fatto per la “Platea”, da don Domenico Pisani, avrebbe manifestato -  la grande sua meraviglia dicendo: non essere credibile essere quella Opra, parto d’Ingegno Calabrese». Un oggetto artisticamente imponente, del quale, Domenico Pisani, in un breve saggio dal titolo “Vita e opere di Domenico Barillari” ha scritto: «L’opera è curata in ogni dettaglio e si presenta ricca di particolari: il piede e decorato da foglie di acanto che si accartocciano  e da un tralcio di vite che si insinua intorno alla base e si ripete più in alto. Una perlinatura dorata scorre parallela ad un serto di alloro disposto in fascia mentre, al di sopra, volute fitomorfe fanno da base, sul recto, a tre statuine a tutto tondo che rappresentano la Fede, la Speranza e la Carità e, sul verso, all’Agnus Dei». Il suo grado di perfezione aveva indotto gli artisti serresi del tempo a diffondere la leggenda secondo la quale l’autore, per evitarne la riproduzione, avrebbe gettato in mare il modello ligneo. Alto 112 centimetri e largo 40, del peso di 33 libbre , quasi sei chili, venne trafugato dalla chiesa dell’Addolorata. Oltre all’ostensorio il furto interessò una pisside ed alcuni calici in argento, un crocifisso in avorio ed una statuetta della Madonna. Ad agevolare il lavoro dei ladri, la presenza, all’epoca dei fatti, di una distesa di piccoli orti collocata alle spalle della chiesa. Dal luogo in cui oggi sorge il parcheggio di piazza Tozzo i malviventi poterono introdursi indisturbati nell’edificio di culto, dopo aver segato le sbarre di una finestra che dava nella sacrestia. Sul luogo, i carabinieri rinvennero, numerose cicche di sigaretta, segno che l’operazione andò avanti per diverse ore, alcuni seghetti, una pinza e un paio di cacciavite. La chiesa dell’Addolorata, del resto, già in passato aveva attirato le attenzioni degli “amanti” di arte sacra. Come riporta il resoconto di un cronista che all’epoca si occupò del furto dell’ostensorio, «Nel ’73 in pieno giorno [venne] asportata una tela di notevole valore artistico, opera dell’artista serrese Salomone Barillari. Qualche anno fa ci fu un altro furto. In quell’occasione vennero asportati numerosi oggetti d’arte di notevole valore che non sono mai stati recuperati». Un patrimonio artistico particolarmente ricco quello custodito a Serra San Bruno, dove, già tra Sette e Ottocento si erano segnalati gli appetiti sacrileghi dei ladri. A partire dal terremoto del 1783 iniziò ad essere saccheggiato ciò che rimaneva della Certosa. Furti e ruberie, descritti in un saggio di Bruno De Stefano Manno, nel quale si risale al movente dell’omicidio, consumato nel 1844, di un certosino di origine francese, padre Arsenio Compain che avrebbe pagato con la vita il desiderio di recuperare le opere d’arte trafugate dal monastero. Oggetti ed arredi sacri spesso finiti nelle case di facoltose famiglie del circondario. A riprova le tante abitazioni sulle quali spesso campeggiano fregi ed ornamenti risalenti all’antica fabbrica certosina. Le tracce dell’ostensorio sembrano, invece, essere irrimediabilmente svanite, a dispetto del riscatto offerto, nell’immediatezza dell’evento, dalla confraternita dell’Addolorata. Sulla “Spera randi” pare essere lentamente calato il velo dell’oblio. Eppure in molti all’epoca ritenevano che l’ostensorio non avesse mai lasciato Serra, custodito in un luogo sicuro, dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo.

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mini Traversa-Michele-sindaco-CzL'intervento del Ministero dell'Interno, nella giornata di ieri, dovrebbe aver messo fine al poco edificante balletto inscenato a Catanzaro dopo le discusse dimissioni da sindaco del parlamentare Michele Traversa. La notizia, anticipata dal Quotidiano della Calabria, se da un lato non stupisce i molti che sostenevano l'illegittimità di qualsiasi soluzione che non fosse il commissariamento, dall'altro fanno riflettere sulla poca prudenza del prefetto di Catanzaro, Antonio Reppucci, che si era sbilanciato sulla questione senza aver prima, evidentemente, consultato il Viminale, cosa a dir poco inconsueta per chi svolge il ruolo di massimo rappresentante del governo sul territorio. Ad ogni modo, a confermare la decisione dello scioglimento, è stato lo stesso Prefetto con una telefonata al vice sindaco Maria Grazia Caporale. Nella telefonata, di cui ha parlato il sito web del settimanale Corriere della Calabria, il Prefetto ha comunicato che la nomina del commissario avverrà quando saranno divenute esecutive le dimissioni di Traversa, cioè dopo l'8 gennaio. ''Il Prefetto - ha detto all'ANSA Maria Grazia Caporale - mi ha informato che il ministero ha optato per lo scioglimento e che la decisione e' stata trasmessa in via ufficiale anche in Municipio". La Caporale, vicesindaco non eletto, secondo le interpretazioni forzate fornite dalla maggioranza consiliare, avrebbe dovuto diventare sindaco facente funzioni fino alle elezioni della prossima primavera. Ma la decisione del Viminale, nonostante la chiarezza e la coerenza, soprattutto, con quanto dispone la legge, evidentemente non è bastata a convincere gli irriducibili che non si arrendono al commissariamento e vorrebbero fino all'ultimo che si optasse per la decadenza di Traversa, e quindi per il passaggio del timone in mano di un vicesindaco che non è stato nemmeno eletto. Ivan Cardamone, presidente del Consiglio comunale di Catanzaro, non si arrende e addirittura sostiene, in una nota, che quella del Ministero dell'Interno sarebbe niente di più che una interpretazione. 

"La risposta fornita al Prefetto dalla Direzione centrale Utg e Autonomie locali del ministero dell'Interno non contiene alcun elemento di particolare novita' rispetto ad un quadro normativo che il Consiglio comunale ha tenuto ben presente nel momento in cui ha deliberato sull'opzione esercitata dall'on. Michele Traversa. Si tratta - ha dichiarato Cardamone - di un'interpretazione, sicuramente rispettabile, che gli uffici del Ministero hanno fornito sulla base degli elementi a disposizione e, cosa non trascurabile, con le procedure ancora non pienamente compiute. D'altronde, trattandosi del primo caso del genere in Italia la prudenza è d'obbligo. Quanto al rilievo contenuto nella lettera del Ministero, secondo cui la delibera del Consiglio comunale non sarebbe coerente con la manifestazione di volontà dell'on. Traversa, posso anticipare che il Consiglio, nella sua sovranità, produrrà in tempi rapidissimi un atto che dimostrerà pienamente la coerenza della procedura, essendo noi fermamente convinti che Traversa ha esercitato un'opzione, sollecitato dalla Presidenza della Camera, tra due cariche elettive, in virtu' di una sopravvenuta condizione di incompatibilita. E' del tutto evidente - ha aggiunto Cardamone - che l'attività del Consiglio comunale non è diretta ad una mera forma di sopravvivenza, peraltro limitata a pochi mesi, ma solo ad una ferma difesa delle prerogative costituzionali e democratiche di un organo legittimamente eletto dal popolo. D'altro canto, la stessa dicotomia interpretativa della ben nota sentenza della Corte Costituzionale tra Camera e Senato dovrebbe indurre a maggiore cautela e ad una riflessione da parte delle piu' alte cariche dello Stato, a cominciare dai Presidenti dei due rami del Parlamento, sui gravi effetti prodotti dalle decisioni contrastanti delle rispettive Giunte per le elezioni".

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mini barranca_vittorioBeni per un valore di 1 milione di euro sono stati confiscati dal personale del Commissariato di P.S. di Siderno a Vittorio Barranca (foto), 54 anni, attualmente detenuto, ritenuto un elemento di spicco della 'ndrangheta di Caulonia. A Barranca e' stato notificato un provvedimento di sorveglianza speciale per tre anni. Tra i beni confiscati dalla Polizia vi sono un villino a Siderno, intestato alla moglie di Barranca; la societa' "Allen Caffe'' di cui e' socio accomandatario la donna; la società "Mimosa Fiori" di cui e' socio il figlio di Barranca, Nicola; la società "Oliver gest", con sede ad Anghiari (Arezzo), di cui e' socio lo stesso Nicola Barranca, che gestisce un albergo con centro congressi, bar, ristorante e pizzeria nella localita' toscana; la societa' 'Alen Cafe' della figlia di Barranca, Alessandra.

Vittorio Barranca era stato sottoposto a fermo, poi trasformato in un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, il 10 luglio 2010 dalla Dda di Reggio Calabria nell'ambito della maxioperazione denominata "Crimine", condotta tra Calabria e Lombardia con l'arresto di oltre 300 persone. A distanza di alcuni mesi dall'esecuzione del fermo, il 20 ottobre 2010, il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, ha presentato proposta di sequestro beni a carico di alcune delle persone coinvolte nell'operazione Crimine, tra le quali lo stesso Barranca. Il Tribunale-Sezione misure di prevenzione di Reggio Calabria, il 10 novembre 2010 ha emesso un decreto di sequestro beni valutati, complessivamente, oltre 200 milioni di euro. Con il provvedimento eseguito oggi, il Tribunale, accogliendo le richieste del Questore, ha riconosciuto sia la pericolosità sociale di Barranca, sia la sproporzione tra redditi dichiarati e beni effettivamente in suo possesso.

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mini carmelo-lo-biancoVIBO VALENTIA - Sono state condotte in carcere dagli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia 8 delle 21 persone coinvolte nell'operazione "New Sunrise", che fece luce sulle attività criminali della cosca di 'ndrangheta dei Lo Bianco sul territorio della città capoluogo di provincia. Le condanne, per gli affiliati alla 'ndrina egemone su Vibo città, sono diventate definitive dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione. Gli 8 arrestati sono: Carmelo Lo Bianco, 66 anni, condannato a 10 anni di reclusione; Francesco Barba, 49 anni, condannato a 5 e 8 mesi; Salvatore Carmelo D'Andrea, condannato a 4 anni e 8 mesi; Michele Lo Bianco, 63 anni, condannato a 4 anni e 8 mesi; Giuseppe Lo Bianco, 66 anni, a 4 anni e 8 mesi; Antonio Lo Bianco, 63 anni, a 4 anni e 8 mesi; Vincenzo Barba, 59 anni, a 7 anni e 4 mesi; Francesco Bognanni, 38 anni, a 4 anni e 8 mesi. Per quasi tutti gli arrestati si tratta di pene residue da scontare rispetto alle condanne confermate dalla Cassazione, per cui molti di loro già alla fine del 2012 potrebbero tornare in libertà.

L'inchiesta "New Sunrise" fu condotta nel 2007 dalla Dda di Catanzaro e dai poliziotti della Mobile vibonese guidata all'epoca dal dirigente Maurizio Lento. L'operazione accese i riflettori sulle attività della cosca e sul ruolo di vertice della stessa svolto da Carmelo Lo Bianco (foto). "La cosca - scrive la Mobile - avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà dei cittadini, era stabilmente dedita al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio (prevalentemente estorsione e usura) e contro la persona, reati compiuti al fine di mantenere incontrastata l'aggregazione della cosca". 

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mini il_sindaco_di_Serra_San_Bruno_Bruno_RosiSERRA SAN BRUNO - Ha atteso diversi giorni prima di esprimere il suo pensiero. Si sarebbe aspettato delle spiegazioni di natura politica, l'ex assessore Bruno Zaffino. Il sindaco Pidiellino Bruno Rosi, da un giorno all'altro, lo ha estromesso dalla giunta, una decisione improvvisa e traumatica proprio alla luce dello spessore del personaggio, un imprenditore alla prima esperienza politica che è stato il secondo candidato più votato su 48 aspiranti consiglieri. Ma queste spiegazioni non sono arrivate, e allora Zaffino ha deciso di uscire allo scoperto. "E’ doveroso che il sindaco spieghi ai cittadini i motivi per i quali mi ha revocato dall’esecutivo comunale - ha dichiarato proprio stamattina a Il Vizzarro.it l'ex assessore - ma non c’è nessuna rottura con l’amministrazione comunale serrese, e quanto successo in ogni caso non preclude i rapporti tra me e la maggioranza Pdl che comunque continuerò a sostenere". Nessuna separazione dal Pdl, quindi, e nessun passaggio nelle fila dell’opposizione: una posizione molto chiara che cozza con alcune interpretazioni, stranamente forzate, che cercavano in ogni modo di dare l'idea di un taglio netto tra Zaffino e l'amministrazione comunale. L'ex assessore continua a sostenere la maggioranza, ma rimane in attesa di spiegazioni dal sindaco, poichè è doveroso dare una connnotazione chiara alla sua rumorosa defenestrazione. I serresi infatti, e in particolare i 224 elettori di Zaffino che è stato uno dei maggiori artefici della vittoria del Pdl, si chiedono il perchè di questo distacco improvviso, e legittimamente si attendono dal sindaco delle motivazioni circa l'emarginazione politica del loro punto di riferimento nell'amministrazione. Intanto è già partito il totoassessori per la sostituzione di Zaffino in giunta: pare che la scelta del sindaco potrebbe ricadere su un interno, e a questo punto non è da escludere che entri in giunta qualcuno che, specie dopo il "caso Zaffino", avrebbe bisogno di un riconoscimento politico per dissipare qualche eventuale dubbio sul sostegno alla maggioranza stessa.

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Martedì, 27 Dicembre 2011 18:33

Bruno Zaffino fuori dalla giunta. Ma perché?

mini bruno_zaffinoSerra San Bruno. Lunedì 17 maggio. Undici e mezza della sera. Piazza mercato si riempie in fretta. Con le urne ancora calde la folla inneggia all’uomo comune che trionfa. Clark Kent si trasforma in SuperMan. Bruno Rosi si veste di sindaco. Baci e abbracci. Il palco gigante e le bandiere al vento: il Pdl è in festa. Si respira un clima da assemblea di istituto, un’atmosfera da tempo delle mele. Tutti si vogliono bene e tanti si sentono in dovere di salire sul palco ed incitare la folla, come per narcotizzarla: “Risorgeremo!”. Volano tappi di spumante. Qualcuno credeva fosse champagne.

Venerdì 23 dicembre. Undici e mezza della mattina. Sono passati 6 mesi dalla lunga notte di Piazza Mercato, e tutto è cambiato. Il sindaco non prova più nemmeno a nascondere la rabbia e l’amarezza che lo accompagnano dall’inizio di quest’altra drammatica giornata. Rimane in silenzio, seduto dietro la sua scrivania. Scruta fuori dalla finestra un paese difficile da amministrare, soprattutto se lo si intende fare con una maggioranza impossibile da tenere attaccata tutt’insieme. Le cattive notizie si accumulano ed il comune sembra un palazzo che crolla più velocemente di quanto ci si impieghi a ristrutturarlo. Il ghiaccio imperversa, la città brucia e gli assessori cadono.

Bruno Zaffino è uscito dal giro. Il ruspante imprenditore che più di molti altri contribuì alla causa piddiellina non è più assessore. 230 elettori, croce più croce meno, gli avevano dato fiducia incoronandolo come la più grande sorpresa delle passate amministrative. Oggi viene spinto ai margini dal suo stesso gruppo consiliare. Ma perché?

In men che non si dica, comunque, l’amministrazione sbatte la porta in faccia a Zaffino dopo aver sfruttato il suo enorme potenziale elettorale, i suoi numeri, per poi relegarlo all’angolino buio del semplice consigliere. Lo accantona senza tanti fronzoli, e ciò che ne rimane è un quadro dai confini troppo sfumati. Sedotto, usato ed abbandonato. Nessuno della maggioranza finora è riuscito a spiegare quale sia la motivazione reale di questo allontanamento. Una motivazione che, a questo punto, deve essere psicologica, filosofica e, ci sforziamo, potrebbe essere anche politica. Sabato 24 sulle pagine di un quotidiano locale una nota striminzita affidata alla penna del giornalista di fiducia. Tante parole roboanti, pochi contenuti. Leggo l’articolo, ma il dubbio rimane: perché quest’urgente esigenza di discostarsi completamente da chi fino a poco tempo fa fu determinante per la vittoria di Bruno Rosi? Che cosa è successo? Se lo chiedono tutti i serresi. In particolare i 224 elettori dell’ex assessore Zaffino. Sarebbe anche opportuno capire cosa accade all’interno della maggioranza ora che il tassello scomodo è caduto dal puzzle. Le convinzioni, le incertezze, le strategie personali calibrate da cariche e segreti. I piccoli errori che si ingigantiscono e diventano irrimediabili, i ricatti. La trama si infittisce, si macchia della necessità di scendere a compromessi solo per dare adito a malcelati complotti correntizi. In un gruppo in cui tutti credono allo stesso obiettivo qualcosa comunque non funziona. Un viaggio su un filo troppo sottile. 

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mini solo_dinanzi_allunicoSERRA SAN BRUNO – «Il monaco può essere paragonato al mozzo che si arrampicava sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è colui che guida la nave, il suo compito è solo di vegliare al suo posto di vedetta. Quando la terra appare in lontananza, grida la scoperta a tutti i membri dell’equipaggio. Come il mozzo, il monaco scruta i segni del mondo nuovo. Deve essere un uomo vigilante, totalmente teso verso il futuro a cui anela e che vorrebbe affrettare. In definitiva potrebbe essere definito l’uomo del desiderio». Sono alcuni passaggi del libro “Solo dinanzi all’unico” (Rubettino), frutto di un lungo e appassionato colloquio tra il priore della certosa di Serra, dom Jacques Dupont, e il decano dei vaticanisti italiani, Luigi Accattoli. Il volume sarà presentato domani sera, alle 18, nella suggestiva cornice della chiesa dell’Assunta di Terravecchia, alla presenza dello stesso priore Dupont, di don Armando Matteo (scrittore e docente dell’Università Urbaniana di Roma) e del priore dell’Arciconfraternita dell’Assunta, Vito Albano. L’evento, di elevatissimo interesse non solo culturale ma anche spirituale, è stato organizzato dalla congrega, dal Museo della Certosa e dalla casa editrice Rubbettino.

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mini dentro_la_certosa_a_sinistra_sciascia_e_a_destra_padre_basilio_caminadaL’antico monastero certosino di Serra San Bruno, nel corso dei suoi mille anni di storia, è stato meta di visitatori illustri. Questo breve excursus tra coloro i quali hanno lasciato testimonianza del loro passaggio nell’amenità dell’eremo certosino, però, vogliamo iniziarlo da chi invece avrebbe desiderato trovarci riparo e a causa di alcune vicissitudini non ha potuto farlo. Si tratta dell’autore del Decamerone, Giovanni Boccaccio. E’ da una lettera del gennaio 1371 indirizzata da Napoli a Niccolò da Montefalcone, scoperta da Sharo Gambino nella Biblioteca di Firenze, che apprendiamo la notizia di una sua possibile visita alla Certosa di Serra San Bruno. Niccolò da Montefalcone, suo amico d’infanzia, era diventato Priore del monastero di Santo Stefano del Bosco, in quel tempo cistercense, e lo aveva invitato presso il suo convento. Niccolò gli aveva prospettato «l'amena solitudine dei boschi» che circondava il monastero, «l'abbondanza dei libri, i limpidi fonti, la santità del luogo e le cose confortevoli e l'abbondanza di ogni cosa e la benignità del clima». Tutto ciò aveva indotto in Boccaccio «non solo il desiderio di vedere» quel luogo, ma anche la volontà di trovarvi dimora e rifugiarvisi «se la necessità lo avesse richiesto». Tuttavia all’improvviso Niccolò, dopo tante affettuosità, silenziosamente esce di scena dalla vita di Boccaccio, ed egli, profondamente deluso, sostiene di essere «povero e i poveri non hanno amici». Ad aprire il registro dei visitatori della Certosa figura il nome di Alcide De Gasperi insieme a quello della moglie Francesca che giunsero a Serra nel marzo del 1953, due anni dopo la disastrosa alluvione avvenuta nel mese di ottobre. La visita a Serra dell’allora Presidente del Consiglio era stata preceduta da quella del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi che qui giunse accompagnato dalla consorte e dal Ministro dei Lavori Pubblici Aldisio. Re Ferdinando di Borbone venne due volte a Serra, il 23 aprile del 1833 e il 16 ottobre 1852, quando s’inginocchiò innanzi la chiesa Matrice e al busto argenteo di San Bruno. Il 24 agosto 1923 a visitare la Certosa ci fu il principe ereditario Umberto II di Savoia accompagnato dal Contrammiraglio Bonaldi e dal marchese della Rocchetta. Il principe, dopo aver partecipato alla messa conventuale, visitò il monastero per poi ripartirsene. Sul finire degli anni ‘60 giunse in Calabria Pierpaolo Pasolini, e anche lui volle visitare il monastero bruniano, accompagnato, tra gli altri, dal regista vibonese Andrea Frezza e dall'avvocato Franco Inzillo. Il regista de “Il vangelo secondo Matteo” dopo aver visitato la Certosa e una cella certosina dove il monaco trascorre per la quasi interezza la parabola della propria esistenza, rimase affascinato dalla vita contemplativa e di clausura del monaci bruniani. Nel 1975, a varcare la porta del millenario monastero fu il celebre scrittore siciliano Leonardo Sciascia (foto: lo scrittore dentro la certosa insieme a padre Basilio Caminada) che giunse alla Certosa di Serra San Bruno seguendo le tracce dello scienziato Ettore Majorana, scomparso nel 1938 e presumibilmente morto suicida. Sciascia si recò presso il convento in cerca di conferme alla sua ipotesi che voleva Majorana monaco certosino, ma non trovò niente che potesse dare conforto alla sua tesi. La visita in Calabria di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ebbe inizio il 19 marzo 2001, e si concluse il 23. Il 21 marzo fu caratterizzato dalla storica visita alla Certosa, alla presenza di autorità ecclesiastiche. In quella occasione Bartolomeo I tenne un toccante discorso, a cui fece seguito un caloroso saluto del Priore Dom Jacques Dupont, che volle così accogliere l’illustre ospite. Al termine dell’evento il Patriarca di Costantinopoli fece dono alla comunità monastica certosina di una preziosa lampada votiva conservata gelosamente dai monaci serresi nella Cappella delle reliquie. L’ultima visita degna di nota è stata quella delle Regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria per la quale, vista l’assoluta clausura maschile, è valso l’antico privilegio di consentire alle regnanti di varcare la soglia della clausura e visitare il monastero.

Tra gli eventi che resteranno nella storia in maniera indelebile vanno collocate, senza dubbio, le visite di due papi a 27 anni di distanza l’una dall’altra. Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 1984, dopo essersi brevemente intrattenuto con la popolazione, ha visitato la comunità certosina e ha firmato il registro del monastero. Importanti furono i discorsi che il Santo Padre tenne a Santa Maria del Bosco, luogo presso il quale San Bruno era solito pregare nel laghetto ancora esistente e dove sono state successivamente trovate le sue ossa e quelle dei suoi compagni. In quella circostanza, il Papa, richiamò il particolare carisma del monaci certosini la cui presenza spirituale costituisce «il cuore di questa Regione». A Serra Giovanni Paolo II ebbe una gradita sorpresa: gli abitanti di Spadola, per riconciliarsi con l’autorità pontificia, gli restituirono simbolicamente, con una pergamena, una pantofola che i loro antenati avrebbero sottratto a Callisto II il 1121 durante la sua visita in Certosa, mentre passava dal loro paesino. E altrettanto calorosa è stata l’accoglienza riservata, il 9 ottobre scorso, a Benedetto XVI, che nel suo viaggio pastorale in Calabria ha inserito la certosa di Serra come unica meta oltre a quella lametina. Carico di significato simbolico, in questa occasione, è stato il momento in cui l’attuale Pontefice ha partecipato insieme ai monaci alla celebrazione dei vespri nella chiesa conventuale. 

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mini don_PanizzaUn ordigno di medio potenziale è stato fatto esplodere nella notte a Lamezia Terme davanti all'entrata di un centro di accoglienza per minori stranieri realizzata dalla comunità "Progetto Sud" di don Giacomo Panizza (foto). La comunità di don Panizza, dal 31 agosto scorso, ha la sua sede in un edificio confiscato alla cosca lametina dei Torcasio, in via dei Bizantini. L'esplosione di stanotte, secondo quanto si apprende, ha provocato danni lievi. Non si tratta, comunque, della prima intimidazione subita dalla comunità "Progetto sud". 

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mini scopelliti-manciniDa un lato la Regione, con l'assessore al Bilancio Giacomo Mancini (foto), annuncia di aver liquidato i pagamenti di Lsu e Lpu, esprimendo soddisfazione per aver garantito un sereno Natale anche ai precari calabresi, dall'altro due importanti organizzazioni sindacali, la Cisl e la Uil, attaccano spiegando che "non è possibile lavarsi la coscienza sbloccando le somme relative al solo mese di ottobre 2011". Di seguito la nota diffusa dalla segreterie regionali dei sindacati in questione. "Non possiamo che esprimere profondo rammarico per la retrocessione nell’agenda del Governo calabrese della problematica dei circa 5000 lavoratori LSU e LPU in attesa di risposte concrete circa il loro futuro. Infatti, dopo l’incontro del 2 novembre con il Presidente Scopelliti e gli Assessori Mancini e Stillitani, ci era sembrato giunto il momento in cui una sinergia si sarebbe potuta esprimere nel sostegno alla vertenza di tanti calabresi, con la politica che finalmente condivideva il percorso tracciato dalle organizzazioni sindacali per lo svuotamento di un così ampio bacino di precariato. Ma registriamo che quegli impegni non sono più tra le priorità dell’esecutivo regionale, forse più attento al riposizionamento dovuto al cambio della guardia del governo nazionale o con lo sguardo egoisticamente proteso sulle vicende catanzaresi. Nel frattempo, le vite di 5000 famiglie calabresi tornano nell’ombra, né può servire a lavarsi la coscienza lo sblocco dei fondi necessari al pagamento dei sussidi del Lavoratori di Pubblica Utilità relativi al solo mese di ottobre 2011 e le integrazioni salariali per i soggetti impegnati in Lavori Socialmente Utili e di Pubblica Utilità relativi al solo mese di settembre 2011, anziché l’erogazione di tutte le quattro mensilità arretrate secondo le garanzie fornite il 2 Novembre dall’Assessore Mancini. Inoltre, lo sforzo apprezzabile dell’Assessorato al Lavoro di retribuire in tempi celeri, seppure di un’unica mensilità, gli LSU e LPU rischia di essere frustrato dalla lentezza della burocrazia del Bilancio che coinvolgerà a sua volta anche le amministrazioni comunali, mancando così l’obiettivo di assicurare anche un minimo di serenità almeno nel periodo delle festività natalizie. Sottolineammo, dunque, la necessità di rivedere le modalità con cui si dialoga tra le rappresentanze dei lavoratori e il versante istituzionale: occorre potersi fidare delle parole e delle tempistiche degli impegni assunti ai tavoli di negoziato da parte di autorevoli membri della giunta regionale. In questo ritrovato contesto deve diventare prioritaria per tutti la ripresa immediata della trattazione della problematica complessiva degli LSU/LPU riattivando il tavolo governativo, ora che si è chiarito il nuovo quadro politico, per realizzare il disegno di una possibile e quanto mai auspicabile stabilizzazione di 5000 precari".

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