Venerdì, 13 Dicembre 2024 08:22

La serenata ai giudici

Scritto da Redazione
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L’economia bulimica e brutale che determina le nostre vite, chiamata pure con sprezzo del ridicolo mercato libero e razionale, sta forse perseguendo ai giorni nostri una conversione energetica oculata e rispettosa delle peculiarità storiche, antropologiche e naturalistiche di ogni territorio?

Magari fosse così!

Sta al contrario cavalcando la necessità di affrontare il riscaldamento globale - cioè soltanto uno degli elementi di un disastro ecologico articolato, vasto e generato dagli stessi medici che pretendono di curarlo - per incrementare immorali guadagni del suo settore energetico, il cui vero obiettivo è produrre, vendere e far consumare il maggior quantitativo possibile di energia accaparrandosi quote consistenti del denaro versato dai cittadini allo stato attraverso il fisco. Ecco perché viviamo in un furore da assalto delle cavallette: i predatori dell’energia sporca volano sulle ali del prioritario interesse nazionale (asservito all’interesse dei mercati finanziari globali) stabilito dal governo Draghi con un colpo di mano anticostituzionale.

La Costituzione tutela il libero sviluppo della persona umana nel suo contesto ecologico e sociale, tutela il paesaggio, gli ecosistemi e la biodiversità; prevede (nelle norme di ordine pubblico economico degli articoli 41-43) che la produzione energetica sia un servizio pubblico essenziale. Draghi, Pichetto Fratin, la Meloni, Occhiuto e i suoi collaboratori tutelano invece il meccanismo che ci sta stritolando, garantiscono i vili diritti del denaro e della sua riproduzione, ci trasformano – in quanto abitanti di territori non ancora del tutto artificializzati e urbanizzati – in ostacoli al profitto da ridurre al silenzio criminalizzando il nostro dissenso, la nostra opposizione al taglio di alberi e al consumo di suolo,  la nostra volontà di non vivere immersi nell’incubo distopico della Madre Terra adibita a supporto della monocultura energetica.

Questo è in sintesi il retroterra della tensione sociale che le scandalose politiche sulle rinnovabili stanno provocando nell’ex Belpaese (oggi ormai paese della cuccagna per procuratori di morte green, creativi del danno, dello sfiguramento e dell’accaparramento di soldi pubblici: citiamo come esempio paradigmatico il progetto idroelettrico di dissesto marino-terrestre che si è abbattuto su Favazzina), ed è anche la doverosa premessa per la descrizione di un sit-in colorato, giocoso, commovente e umano che si è tenuto l’undici dicembre davanti al grigio Tribunale Amministrativo Regionale di Catanzaro, impegnato quel giorno, tra l’altro, da due dibattimenti su altrettante proposte di costruzione di impianti vandalici per la produzione di energia rinnovabile, uno a pregiudizio del territorio di San Vito sullo Jonio e l’altro a detrimento degli equilibri ecosistemici e paesaggistici della montagna di Acri.

Si trattava di un presidio, non di una manifestazione: davanti alla porta del tribunale con striscioni, strumenti musicali, stendardi che evocavano la  vita vegetale c’erano dunque poche decine di persone; però chi ha interagito con loro (le studentesse che si sono fermate a ballare e a cantare nell’andirivieni imbarazzato,  stupefatto e ben vestito di avvocati, giudici e impiegati, i cittadini che hanno fatto sosta per ascoltare e discutere attratti dall’irruzione di una novità, da un clima di piacere nel contatto sociale) si è reso conto dell’immenso fascino di quell’assembramento, che non chiedeva in sostanza un’altra energia rinnovabile,  più ecocompatibile e meno vergognosa, ma invocava e prefigurava un altro mondo.

Un mondo fuori dal dominio dell’economico e quindi della guerra tra economia e natura, un mondo di comunità che non mostrano i denti e gli artigli, giocano, si contaminano, creano modelli più piacevoli e sensati di cultura e di vita. Lo spiegamento di forze dell’ordine presente era disarmato dall’armonia, dalla disponibilità, dai sorrisi che irradiavano una felicità possibile, a portata di mano della comunicazione leggera e graffiante di chi ballava, suonava, cantava e arringava i passanti con parodie dei comizi politici.  Una festa che ha esorcizzato e al contempo affrontato a viso aperto il pericolo e il dolore, e si è permessa il lusso, con la voce, gli stili musicali tamarrigni  e le chitarre battenti dei contesti rurali più antichi e in maggiore intimità con l’ambiente di insediamento, di cantare una serenata ai giudici, di cui in chiusura riportiamo le parole:

                                                                Giudici ca la leggi studiati

                                                                vulimu ora a nui mi ndi sentiti,

                                                                si aviti gnegnu vi capacitati

                                                                chi a Terra cu sti pali sunnu a liti.

                                                                Nui non vulimu arburi tagliati

                                                                e simu ccani pe m’u capisciti:

                                                                la dissi la canzuna a Catanzaru

                                                                l’affari e i sordi a nui ndi rruvinaru;

                                                               la dissi la canzuna ô tribunali

                                                               pe sordi fannu sti cazzu di pali.

  (Traduzione: Giudici che conoscete i codici e le norme/ vogliamo che teniate conto anche del nostro punto di vista, / la vostra intelligenza basta a farvi comprendere / che queste pale eoliche sono incompatibili con la vita sulla Terra. / Noi non vogliamo più stragi di alberi / e siamo qua per farvelo sapere: / è detta la canzone a Catanzaro / gli affari e i soldi sono la nostra rovina; / è detta la canzone davanti al tribunale / solo per soldi impiantano  queste maledette pale).

Controvento Calabria

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