Venerdì, 02 Novembre 2012 15:26

Quella bara bianca ci appartiene

mini filippo_ceravolo_fiori

Lo acclama Soriano, chiuso in quella cassa portata come una croce a spalla da giovani come lui, il giorno del suo funerale. Sul feretro,  coperto da una bandiera della Juventus, c’è una fotografia: è Filippo che sorride ancora.

E c’è Filippo nello sguardo vuoto di sua madre, perso lontano  nel tempo...Nelle  mille parole, dette senza fiato, di seguito per non fermarsi a pensare, di suo padre il giorno prima. E nei sorrisi accesi di lacrime delle sorelle che lo stringono nei loro ricordi. Nel dolore dei familiari, tutti.

Che mondo è un mondo in cui un ragazzo di soli 19 anni viene trucidato innocente, così, per “caso”? E  che  Paese è quello in cui non ci si sorprende del male, dove il male che riguarda il sud è l’ovvietà che passa sotto silenzio ? Nessuna notizia nei  TG nazionali, nessuna parola spesa dai molti politici latitanti, “distratti”. Che valore ha la vita di un ragazzo di soli 19 anni? O, forse, è  "normale" che accada nel meridione d’Italia?
Nascere in Calabria, a Soriano e  morire tornando a casa, dopo essere stati dalla propria fidanzata, non è normale, non è naturale.

Filippo era un lavoratore e veniva da una famiglia per bene come molte altre che vivono in questa terra e che non cedono all’illegalità. Questa morte  è un sacrificio insostenibile, abbiamo il dovere di non renderlo vano. Abbiamo il dovere di non pensare più che fin tanto che ci si ammazza tra bande rivali la cosa non ci riguarda: è l’indifferenza che nutre il potere criminale. Perché non ci sia mai più  un altro “Filippo”.

E' un tempo che non dovrebbe accadere mai quello del sopravvivere ai propri figli, ma succede e , mentre si può trovare una "ragione" ad una malattia, ad un incidente col tempo, ci sono  ferite, invece,  che portano con sé mille domande senza risposta fino alla fine dei giorni, di giorni come  notti buie del cuore. A noi è concesso solo di immaginare ed immedesimarci sfiorando il dolore della famiglia Ceravolo, mai potremo capire a fondo quanto sia dilaniante ed eterno. Ma c’è qualcosa che noi possiamo e dobbiamo fare: condannare chi agisce nell’illegalità, cominciando a strappare le piante marce, smettendo di dar loro da “bere” i nostri volti e i nostri sguardi .

Insegniamo ai nostri figli la gioia del sacrificio e l’umiltà della  dignità. Insegnamo che il valore è in loro, non nelle cose. Insegniamo che il denaro “non” è facile ! Che c'è sempre una strada migliore ed onesta percorribile, forse più faticosa, ma leggera nel cuore. Perché nessun giovane venga più reclutato dalle mafie.

Nei miei occhi chiusi, Filippo è la voce felice di sua madre che riecheggia ancora in un bel giardino, uno stereo e la musica. E’ il rumore molesto di un motorino che scorazza per queste vie nei giorni di sole; è una mano tirata su a salutare con rispetto ed un sorriso buono appena accennato ; è una divisa sportiva ed un pallone che corre sul campo di calcio.

 E’ la vita che gioca e sorride spensierata. E’ la vita che vuole “andare” a mille all’ora…

Di notte è  il motore di un furgone che passa alle quattro  diretto verso qualche mercato, una fiera o una festa patronale . E’ lo stesso rumore che torna il pomeriggio, quando ogni casa ha finito di pranzare. E’ la vita che cresce col sudore onesto.

Soriano lo sa e si stringe attorno a questa famiglia ed al suo dolore, Soriano non è quell’arma che ha ucciso, Soriano è Filippo . Questo paese si indigna e dice “no” alle mafie e  sente  il dovere della memoria perché questa barbarie non si ripeta mai più, perché la morte si tramuti in vita.

Nel vuoto pieno di volti cari di questi giorni,  campeggiano nella casa dei Ceravolo delle  coppe sistemate  con devozione su un mobile , appartengono a Filippo e al suo papà. Parla, Martino, di come si sia sentito strappare il cuore vedendo suo figlio riverso sull’asfalto, di come aveva corso verso di lui, ricevuta quell’orribile telefonata, perdendo il controllo dell’autovettura  ben tre volte .Correva contro il tempo, verso Pizzoni, temeva in cuor suo che non l’avrebbe riabbracciato vivo. Parla del bambino che era e dell’uomo che sognava di diventare, del vuoto che sente, della sua solitudine. Martino ha perso un figlio, un amico, un compagno ed un fratello. Voleva comprare un nuovo camion per il lavoro appena ne avesse avuto la possibilità, Filippo, e regalare ai suoi genitori una crociera per il loro venticinquesimo anniversario di nozze. Trattiene le lacrime e ritorna ai suoi abbracci affettuosi. Racconta la sua gentilezza, di come accompagnava le signore alla macchina portando le buste della spesa; mi parla delle sue paure quando chiacchierando con qualche poliziotto o carabiniere che acquistava i loro prodotti, chiedeva se non avessero timore di portare un’arma ed effettuare operazioni pericolose. Concludeva sempre che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di svolgere quel lavoro.

E parlano le sorelle, raccontano di un ragazzo che aveva paura dei  tuoni durante i temporali e  di restare solo in casa, ma al cognato, che gli raccomandava di non uscire di casa dopo gli ultimi omicidi avvenuti nel nostro territorio, rispondeva: "Cosa vuoi che facciano a me?".

In una bella lettera la sorella Maria Teresa scrive: "Ricordo le marachelle che combinavi, mi fanno sorridere, come quella volta che hai litigato con me e con Simone e hai fatto finta di andartene via di casa ed invece, fifone com’eri, ti sei nascosto sotto il tuo letto e non vedevi l’ora che io mi alzassi per venir fuori perché non ce la facevi più". E la piccola Giusi, di appena otto anni: "Caro Filippo mio bello, io sono sempre con te anche se sei in cielo, io sarò sempre con te e ti parlerò e verrò sempre, ma proprio sempre a parlarti…Per me sarai sempre il miglior fratellino del mondo".

Era ingenuo  e dolce, buono e generoso. La nonna materna ricorda che quando le comprava  qualcosa  cercava di non farlo pesare dicendo che gli era stato regalato da qualcuno. 

Martino lo conosco da quando ero bambino, conosco lui e la sua famiglia. Sua madre ha allevato i suoi figli  insegnando loro il sacrificio del lavoro onesto. La signora Sina, così la chiamiamo, era la “signora bidella” del Liceo Scientifico. Rimasta vedova presto, era una donna forte. Teneva sempre il suo sguardo vigile sui ragazzi. Una presenza a cui riconoscevamo autorevolezza e rispetto.

Mi racconta, di come negli ultimi anni del suo lavoro in quel Liceo si respirasse una società diversa, cambiata, "non sono più" dice "i tempi di un tempo…" ed orgogliosa celebra un suo cognato, oggi Professore, che all’epoca in cui studiava e si trovava a Soriano in vacanza, aiutava la famiglia. Ricorda la meraviglia delle persone nel vederlo lavorare e la dignità con cui lui aiutava i fratelli commercianti a sistemare i vasi destinati alle vendite. Non sono più i tempi di un tempo, è vero! Ma non è colpa dei giovani, riflettiamo…

Martino non trova la forza di ricominciare ora che il figlio non c’è più. Si alzava con lui ogni mattina alle 4.00; la sera prima lo aiutava a sistemare la roba sul camion per il giorno dopo, gli diceva che era meglio se ne occupasse lui, dal momento che  il padre stava diventando vecchio. Era instancabile, tornato a casa, aveva ancora la forza di giocare a calcio, la sua grande passione, ci metteva l’anima. Uno zio lo rammenta piccolo organizzare le partite con i cugini, ricorda i litigi e l’impegno che ci metteva. "Ogni partita per lui era come la Champions" , aggiunge il padre sorridendo.

E poi c’è Anna, la madre, il cui nome il ragazzo voleva tatuare sulla sua pelle. Nel suo sguardo perso nel tempo c'è un giorno sacro che è quello della vita che nasce e poi mille altri fatti di stelle sfavillanti nei suoi occhi, di carezze e premure, di vittorie e sconfitte, di notti insonni. L'amore verso il figlio è saldo nel profondo dell’ essere e non vi è nulla su questa terra che possa esservi paragonato, nulla.

La raggiungeva nel lettone, racconta, se c’era un temporale di notte; la costringeva a mettere la cintura di sicurezza in macchina anche se si sentiva soffocare, perché era prudente e senza cintura in macchina con lui non  si saliva; bussava piano la sera quando tornava dalla casa della ragazza con cui era fidanzato da quasi due anni per non svegliare il padre. Ad Ivana aveva  comprato un regalo per il suo compleanno ed aveva deciso di darglielo giorni fa, stranamente aveva voluto che lo avesse prima…

Buono e generoso nei ricordi di quanti lo hanno conosciuto, Filippo lascia un vuoto incolmabile e vola via, Angelo  tra gli Angeli.

Parli ancora la sua voce, come un’eco che risuona nei nostri cuori senza mai infrangersi.

Angela Varì

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Martedì, 21 Agosto 2012 15:03

Acqua sporca: i manifesti senza vergogna

mini manifesti comune acquaCon Sorical o con i cittadini? Questo è il problema. Un dubbio amletico, controverso e snervante, che accompagna il sindaco Rosi fin dal giorno della sua incoronazione. Di acqua sporca a Serra se ne parla da mesi, anzi da anni. Lo fece anche lui, a campagna elettorale in corso. Aveva promesso l’autonomia, il distacco da Sorical, il ripristino dei pozzi comunali e l’indagine di nuove falde acquifere con l’ausilio di improbabili boscaioli-rabdomanti. Promesse da marinaio che subiscono la metamorfosi imposta dall’obbedienza incondizionata alla voce del padrone. Ai comandi impartiti da chi sta sopra per gerarchia. Da chi sta alla Regione, che possiede il 53% di Sorical, e muove i fili disegnando nell’aria imposizioni a cui non si può disubbidire.

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Mercoledì, 25 Aprile 2012 12:41

Il 25 aprile di Sharo: la memoria e l'orgoglio

mini DSCN8474Di seguito pubblichiamo uno scritto di Marinella Gambino in memoria del padre Sharo, compianto giornalista e scrittore morto il 25 aprile 2008.

Dal giorno della scomparsa di Sharo Gambino siamo stati testimoni di una mobilitazione straordinaria. Il mondo della cultura, la gente comune, la Calabria intera, parte dell'Italia, hanno voluto rendere omaggio alla figura dello scrittore, con una tale ricchezza di sentimenti, quale noialtri familiari non ci saremmo mai aspettata. Una partecipazione ampia e generosa, un affetto travolgente di cui siamo sentitamente grati. Nel mio modo di vedere, ho sempre ritenuto che mio padre, per le sue esequie, immaginasse qualcosa di esattamente eguale ai funerali del suo personaggio Mariano D'Alife, nel romanzo 'Concerto in re maggiore':

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Mercoledì, 18 Aprile 2012 18:55

Via Sharo Gambino: la memoria calpestata

mini via_sharo_gambinoOnestamente avevo una certa vergogna ad affrontare quest’argomento, anche se, da tempo, avrei voluto farlo. Parliamo di Via Sharo Gambino in Serra San Bruno. Già all’intitolazione della strada ebbi pubblicamente a che dire con l’allora Sindaco, perché a mio giudizio fatta in modo un poco superficiale. Ciò, a rigor di cronaca, non prescinde dalla grande stima reciproca che vi era tra mio Padre e Raffaele Lo Iacono; quest’ultimo in tutte le occasioni ha sempre valorizzato la figura intellettuale di Gambino dimostrando sempre grande interesse per il lavoro dello scrittore. Secondo me una cerimonia commemorativa poteva starci, solo questo. Ma andiamo avanti. Viene messa comunque questa benedetta segnalazione (che vedete nella foto) e in una manovra un camion la calpesta. Era il periodo di commissariamento. Quella targa rimane miseramente attaccata al palo che vedete “accartocciato” per qualche giorno, poi se ne accorge Franco Gambino fratello prediletto di mio Padre che la raccoglie e la porta in Comune. Dopo qualche tempo la stessa targa calpestata, viene attaccata alla segnalazione di stop.

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Domenica, 15 Aprile 2012 17:58

Bruno Tassone. Un esempio di volontà

mini b._tassone_2Continuo il mio percorso nella bella Serra San Bruno, e non posso non passare dalla casa di Bruno Tassone. Personaggio serrese, anzi, pardon, serrese di adozione, ma originario di Spadola, (a cui abbiamo già usurpato la paternità di un altro Bruno Tassone, lu “Nigaru”).  Bruno vive da ragazzino un incidente che gli cambia la vita. Un incidente gli fa perdere la mano destra. Un dramma, che Bruno però affronta con una determinazione ed una forza di volontà fuori dal comune. Lavora, impara persino con un’abilità eccezionale a farsi il fiocco ai lacci delle scarpe. Suona. Buon sangue non mente, e come quella di suo zio Lu Stadhuni (lo stallone) padre del terzo Bruno Tassone (lu Miedicu) ha una voce possente. Suona, purtroppo non più la zampogna (della quale ancora riproduce a bocca l’accordatura dello strumento perfettamente) ma le chitarre, “francisi” e battente.

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mini fernando_settimisi_1Anche questo ricordo di un personaggio di Serra, che probabilmente ai molti sarà sconosciuto, Fernando Barillari (“settimisi”), vuole essere il prosieguo intellettuale di un percorso che si sviluppa nel ricordo di ciò che era la Maestranza serrese. E, naturalmente, la voce di mio Padre ritorna nei miei pensieri. Questa grande eredità di racconti che mi ha lasciato. Le case del centro storico di Serra, come ancora si può ben notare, hanno quasi sempre la stessa disposizione dei locali. Nella parte bassa la bottega, con le tipiche porte a bandiera, e nella parte superiore le abitazioni. Appunto sotto l’abitazione di mio Nonno Antonio, dunque quella di Sharo dodicenne, vi era la bottega  di un artigiano serrese, un grande maestro ebanista, che a bottega teneva, come tutti, dei ragazzi.

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mini mastro_bruno_tarcelliDalla Chiesa dell’Addolorata  a San Giluormu. Salendo dapprima dallo “stradone” di Via Sette Dolori, dove sulla destra trovo la casa dell’infanzia di mio Padre, la famosa casa dal pavimento di tavole tra le quali fessure Mastru Biasi accendeva la sua pipa, segno del via libera al dopocena, e Sharo  giovanotto, scendeva con i suoi fratelli ad ascoltare li “stuori” che il loro ospite dispensava intorno al braciere ardente.  Guardo la stanza e mi sembra, tale l’enfasi con la quale questi fatti mi sono stati raccontati, di rivivere quei momenti  nell’immaginazione di un bimbo preso per mano a cui queste cose venivano raccontate con la poesia delle parole che solo il Sharo papà sapeva esprimere.

E ancora avanti, dopo il negozio di alimentari di Ernesta, dove ci avevi “la libretta”, e poi, quando è fine mese che la ditta paga mio marito passo a pagare, e poi avanti la casa di Mastro Peppe “Stivaledha”, la cantina quasi di fronte, e poi Bonsignuri

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mini dom_jacques_dupontLa visita del 9 ottobre scorso del Santo Padre Bendetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno ha offerto alcuni spunti di riflessione sul significato della vita certosina, del silenzio e del ruolo del monaco che vigile come “un mozzo” scruta l’orizzonte e perciò il futuro. Da qui sono nate delle domande che abbiamo posto al Padre Priore della Certosa Dom Jacques Dupont che ha accolto il Papa e che vive la vita certosina fatta di clausura, preghiera e silenzio, ormai da oltre quaranta anni, facendo lo stesso percorso dalla Chartreuse di Grenoble alla Certosa di Serra che oltre mille anni fa, fu quello di Bruno da Colonia.

La recente visita di Sua Santità Benedetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno è stata un fondamentale atto di riconoscenza nei confronti della spiritualità certosina, lo stesso Santo Padre ha definito questo luogo come “Cittadella dello Spirito”. Dopo questa visita, nel cuore dei certosini possiamo dire che sia nata qualche consapevolezza in più?

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mini Certosa_2Un giallo, ma più che un giallo un mistero, un autentico rompicapo del quale si è lentamente persa la memoria. Un episodio, strano, accaduto oltre trent’anni fa, in un luogo sul quale, da sempre, aleggia il mistero ed alberga la leggenda. La Certosa di Serra San Bruno, per certi aspetti, un luogo simbolo, sul quale spesso si esercita un giornalismo da avanspettacolo alla ricerca di facile sensazionalismo e scoop a buon mercato. Da Majorana, a Milingo, dal pilota di Hiroshima a Federico Caffè, ammesso che sia tutto falso, quando c’è da cercare una traccia di qualche illustre personaggio “svanito” nel nulla, la Certosa viene sistematicamente chiamata in causa.

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mini chiesa_assunta_terravecchiaSERRA SAN BRUNO – Ennesima fumata nera per la confraternita di Maria Assunta in cielo di Terravecchia, che non è riuscita, neppure nella seduta di domenica scorsa, ad eleggere il nuovo seggio priorale che avrebbe dovuto guidarla nel biennio 2012-2013. La nuova fumata nera fa seguito al nulla di fatto dello scorso 26 dicembre, quando, i confratelli, non vollero accordare la loro fiducia a nessuno dei nove nominativi proposti dal seggio priorale uscente. A distanza di un mese e mezzo, quindi, anche con i nuovi “candidati”, si è riproposta un’insolita situazione di stallo dettata da divisioni che non accennano a ricomporsi. Una cesura profonda, che vede contrapposte le diverse fazioni in campo, contro la quale si è ripetutamente espresso don Biagio Cutullè, mandato dal vescovo a presiedere i lavori di domenica. Più volte, infatti, il sacerdote ha invitato i confratelli “a lasciare da parte le divisioni ed a pensare solamente al bene della confraternita”. Un appello che, con tutta evidenza, non è riuscito a scalfire le resistenza dei gruppi, intenzionati a fronteggiarsi con un spirito che nulla ha a che vedere con la vocazione conciliante del cristianesimo. Piuttosto, in alcuni frangenti, il clima di tensione e l’agitazione presenti tra i banchi sono stati tali da configurare una vera e propria battaglia politica. Bocciate, quindi, le nuove terne di nomi, il pallino dovrebbe passare nuovamente al vescovo ed al padre spirituale che dovrebbero esautorare il seggio uscente dall’indicazione dei successori. A rigore di statuto, infatti, i nuovi “candidati” dovrebbero essere indicati dal confratello anziano, dopodiché l’assemblea dovrebbe essere nuovamente riconvocata per eleggere il nuovo seggio. Secondo taluni, però, potrebbe anche prendere piede l’ipotesi di un commissariamento da parte della Curia che in tal caso potrebbe, su indicazione del padre spirituale, designare il nuovo seggio senza alcuna votazione. Il rinnovo delle cariche tradizionalmente avviene, con cadenza biennale, nel giorno di Santo Stefano, quando, i componenti del seggio uscente indicano i nominativi dei fedeli candidati alla successione. Ricevuto il benestare dal padre spirituale e dall’ordinario diocesano, vengono stilate tre “terne” da sottoporre all’assemblea, per il voto. I lavori presieduti da un sacerdote nominato dal vescovo si svolgono, spesso, in un clima caotico in cui, non di rado, si scontrano vere e propri fazioni che cercano di “piazzare” il loro candidato. Un momento di partecipazione, quindi, non molto dissimile da una competizione elettorale vera e propria. Una competizione che, nel caso della confraternita dell’Assunta, si è trasformata in una vera e propria tenzone di tutti contro tutti.

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