mini angela_dominelliVIBO VALENTIA - Angela Dominelli (foto) rimarrà detenuta nel carcere di Castrovillari. Il Gip Gabriella Lupoli ha convalidato l'arresto della 22enne di Sorianello accusata di tentato omicidio aggravato, respingendo la richiesta dell'avvocato difensore della ragazza, Giuseppe Stuppia, che aveva presentato istanza di scarcerazione chiedendo la misura degli arresti domiciliari. Accolta in pieno, invece, la richiesta di convalida della custodia cautelare in carcere avanzata dal Pubblico ministero Michele Sirgiovanni, titolare delle indagini. Il giudice, però, prendendo in considerazione anche una richiesta avanzata dal legale della Dominelli, ha disposto una perizia per accertare le condizioni di salute della ragazza.

Come si ricorderà, lunedì scorso, intorno alle 19, su corso Umberto I a Serra San Bruno, una lite tra ragazze si è trasformata in un accoltellamento, un tentato omicidio secondo le forze dell'ordine. Protagonista in negativo dell'episodio sarebbe proprio la Dominelli che, al culmine dell'alterco, secondo gli inquirenti ha assestato un fendente alle spalle ad una 19enne di Fabrizia, Ramona Cirillo. A quest'ultima, dopo l'intervento del 118, è stata riscontrata una ferita all'emitorace sinistro e un versamento polmonare. Dopo il trasferimento a Catanzaro la sera stessa dell'accoltellamento, la vittima è stata subito sottoposta ad intervento chirurgico e adesso le sue condizioni sembra stiano migliorando. Contemporaneamente alla macchina dei soccorsi è scattata subito quella delle forze dell'ordine, che dopo pochi minuti dall'accaduto hanno tratto in arresto la presunta responsabile dell'accoltellamento. I carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone, hanno infatti rintracciato la 22enne poco dopo il fatto, arrestandola con l'accusa di tentato omicidio aggravato, e trasferendola nel reparto femminile della casa circondariale di Castrovillari. Alla base dell'insano gesto pare potrebbe esserci stata una qualche forma di rivalità d'amore tra due ex amiche. La Dominelli in un primo momento ha negato di essere la responsabile dell'accaduto, per poi sostenere invece di aver agito per legittima difesa perchè, a suo dire, sarebbe stata aggredita dalla vittima e dalla sorella.

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mini Nicola_DAgostinoVIBO VALENTIA - La maggioranza di centrodestra che sostiene la giunta D'agostino è "franata" sui rilievi mossi dalla Corte dei conti al bilancio di previsione 2011. E' quanto sostiene, in una nota, il gruppo consiliare del Pd al comune di Vibo, che non manca di lanciare qualche frecciata anche ad altri componenti della stessa opposizione consiliare. Di seguito riportiamo integralmente il comunicato stampa dei democrats vibonesi.

"Al Consiglio Comunale del 16 dicembre alle ore 16.00 la maggioranza consiliare è franata sulla richiesta letta dal Consigliere Talarico, a nome di tutti i consiglieri del PD, di discutere preliminarmente ed in via di urgenza,  prima dei previsti  punti 1 e 2 dell’ordine del giorno relativi alla Variazione di Bilancio del esercizio finanziario del 2011 (punto 1) e all’assestamento generale (punto 2), della deliberazione nr. 466/2011 della Sezione Regionale di Controllo per la Calabria di Catanzaro pervenuta al comune di VV in data 7/11/ c.a. La sopra citata nota della corte dei Conti bacchetta sonoramente l’operato della Amministrazione D’Agostino in relazione al Bilancio previsionale del 2011. Per il PD, che aveva già denunciato a gran voce l’inosservanza delle leggi e regolamenti contabili e il dissesto dell’Ente, non è possibile approvare gli assestamenti di bilancio senza prima aver preso almeno atto della delibera della Corte dei Conti e ciò soprattutto in considerazione che la notifica dell’organo di controllo è pervenuta al Comune prima delle delibere di Giunta che hanno approvato la variazione l’assestamento di Bilancio (date del 22 e 29 novembre). Per il PD è di tutta evidenza che le pratiche portate all’ordine del giorno non rispecchino le prescrizioni imposte dalla Corte dei Conti ed infatti, alla richiesta di prendere atto in via preliminare delle determinazione della Sezione di Controllo, la maggioranza consiliare si è 'squagliata' uscendo dall’aula. Ed infatti la votazione sulla messa all’ordine del giorno è stata bocciata dalla maggioranza consiliare con 15 voti. I consiglieri del PD votando a favore dell’inserimento hanno stigmatizzato come, seppure si discuteva di importantissimi argomenti, l’Aula aveva il numero legale con il contributo della sola opposizione. Ed infatti immediatamente dopo la bocciatura dell’ordine del giorno del PD gli stessi consiglieri del gruppo chiedevano al Presidente al verifica del numero legale usecndo dall’aula. A questo punto al Presidente del Consiglio non è rimasto altro che constatare la mancanza del numero legale. Neppure la richiamata dopo dieci minuti dava alcun frutto. Maggioranza volatilizzata. Opposizione del PD ancora una volta a segno. Grossi problemi sul bilancio. Non è sfuggito ai più il dato che i consiglieri Rocco, Luciano e Colloca sono rimasti, tra gli sfotto della vera opposizione del PD ed i sorrisini della maggioranza,  in aula cercando di mantenere il numero legale alla maggioranza. I tre si  avviano, in deprimente solitudine,  sempre più ad rinvigorire , almeno nei fatti, le fila della maggioranza che comunque appare sempre più fragile e smarrita e che ha toppato un appuntamento fondamentale quale il bilancio".

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mini 378968_2585596450034_1558218471_32600567_1550038573_nAl Palasport di Locri si affronteranno i padroni di casa del presidente Franco ed il quintetto biancoblu di mister Gerardo Pisani. Un pareggio non servirebbe a nessuna delle due formazioni  che, dunque, dovranno fare di tutto per vincere, così da affrontare con la giusta determinazione ed il giusto impegno l’ultimo turno  del girone di andata, in programma sabato 7 gennaio. Entrambe le squadre sono reduci da una sconfitta: il quintetto amaranto, infatti, ha subito un passivo pesante in quel di Rogliano contro la  capolista Calabria Ora (9 a 3); i vibonesi, invece, hanno perso in casa contro l’ostica formazione dell’ Atletico Catanzaro (4 a 5).  Dal provvedimento assunto in questi giorni dal giudice sportivo, non risultano giocatori squalificati anche se, il giocatore bianco blu, Fabio Tino, dovrà stare attento a non ricevere altre ammonizioni (III infrazione). Al ritorno dalle festività natalizie, il Serra affronterà l’ Amantea; mentre gli amaranto andranno in trasferta contro il fanalino di coda Città di Fiore.

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mini foto_per_pezzo_politicaLa Calabria affonda. Frana, brucia, si svuota, viene tagliata fuori da tutto: questo vedono con gli occhi i calabresi ogni giorno. Questo il contesto in cui si vive. Ma sembra che esista, a ben guardare, anche un’altra dimensione, una sorta di iperuranio dove però non risiedono le “idee” che secondo Platone sono condizione necessaria per l’esistenza delle cose terrene. Si parla di un “luogo” della politica, non intesa come stimolo e strumento di buon governo, ma più prosaicamente – e realisticamente – come mezzo per l’acquisizione di potere. La fotografia attuale della Calabria è allarmante: disoccupazione sempre in aumento; emigrazione giovanile tornata ai livelli di 40 anni fa; un isolamento deliberatamente attuato dalle classi dominanti nazionali, che negli ultimi anni hanno sempre sacrificato il Meridione, e la Calabria in particolare, sull’altare del nordismo più sfacciato; un dissesto idrogeologico che fa davvero paura; delle infrastrutture, a partire dall’A3, da terzo mondo. Per non parlare della ‘ndrangheta, del malaffare, delle tante “zone grigie” su cui ancora si deve far luce e che opprimono tutto, qui da noi. Fino al soffocamento.
La Calabria è un’unica, impressionante emergenza riproposta nel quotidiano, ma questa condizione non è sicuramente la cosa che assilla di più i pensieri di chi ci governa e di chi dovrebbe rappresentarci nelle istituzioni. Perché la politica, non solo a queste latitudini, è fatta di altre cose, è occupata ad assolvere altre mansioni. E dunque a tenere banco in questi ambienti, di cui basta osservare il variopinto sottobosco, sono i movimenti e le strategie interne ai partiti, che sono lo strumento principe dell’accaparramento di posizioni di potere. E per capire quanto siano distanti, questi apparati, non solo dal popolo in generale, ma anche dai loro stessi elettori, è utile fare una panoramica sulla gerarchia di priorità individuabili nell’agenda dei principali partiti calabresi.

Il Pdl è diviso sulla questione dei doppi incarichi. La maggioranza sta ovviamente con Scopelliti, che è coordinatore del partito e anche presidente della Regione. La linea dettata da Angelino Alfano al Pdl però è chiara, e sono previste nelle circolari di partito precise incompatibilità, in cui si inquadra a pieno la posizione (incompatibile) del coordinatore-presidente. Ma Scopelliti adesso è troppo potente per schierarsi contro di lui, e dunque tra le tante anime del partito che lo sostengono c’è anche chi fa buon viso a cattivo gioco. Solo il deputato Nino Foti – che, particolare non da poco, ha strappato agli Scopelliti-boys la presidenza della Provincia di Reggio – si è apertamente mosso, da tempo, in chiave anti Scopelliti e non fa mancare occasione per ribadirlo. Ma c’è anche chi, come Pino Galati, scalpita dietro le quinte puntando decisamente alla leadership regionale del Pdl. Che tradotto significa un grosso potere sulla prossime candidature al Parlamento.

Stesso assillo, quest’ultimo, che agita i sonni di molti anche in casa del Pd. Lo spettacolo dell’epurazione, per mano commissariale, di Adamo e Bova – mentre Loiero, come suole fare, ha usato il partito come un taxi per essere trasferito, col suo cappottino verde, in luoghi per lui più agevoli – è stato perfino peggiore dell’aver consegnato proprio in queste mani la legislatura 2005/2010, con risultati che sono gli occhi di tutti. Eppure rimangono in sella gli intramontabili democratici calabresi. Quelli che votano con la maggioranza per proteggere le clientele della Fondazione Campanella – che non è solo questo, ci mancherebbe, ma è anche questo – o magari per salvaguardare i propri vergognosi privilegi. Poi ci sono quelli che forzano per prendersi il partito a suon di numeri, come il sempreverde Mario Oliverio, e quelli che tramano per garantirsi il posto al sole nel futuro prossimo. Quelli che proprio non riescono a fare autocritica, prima di parlare di sanità, sono molti, e altrettanti quelli che non hanno convenienza ad opporsi a “sistemi” ben oleati e protetti come quello riguardante il monopolio di Sorical sull’acqua calabrese. Un partito senza identità, dunque, fatto di soli generali, litigiosi e famelici fino al grottesco.

Poi ci sono gli embrioni di Terzo Polo, che in Calabria raggiungono vette irraggiungibili di ambiguità e incoerenza. Per una Angela Napoli (Fli) che rimane tutta d’un pezzo e, piaccia o meno, ha una linea politica ben chiara e diretta, c’è un Gino Trematerra (Udc) che non sa più da che parte girarsi per intavolare future alleanze. L’Udc calabrese è un fenomeno più antropologico che politico: a Catanzaro sta con Scopelliti, ma a Roma non sta con Berlusconi; in Calabria è anche nel Terzo Polo, in cui c’è anche Loiero, ma appoggia lo schieramento che ha sancito la fine del loierismo; a Vibo è contro Pd e Pdl – eppure, tra Comune e Provincia, ha flirtato e flirta con entrambi – ma attacca il tragicomico presidente della Provincia De Nisi sul dissesto finanziario, dimenticando che chi ha governato quell’ente per dieci anni (l’ex presidentissimo Ottavio Bruni) sta proprio sotto le insegne dello scudocrociato.

Sullo sfondo, per tutti, rimane una questione morale enorme, e per un Morelli (Pdl) – quello de “il compare del mio compare è tuo compare”, un uomo di chiesa… – che è stato arrestato e subito scaricato da tutti, c’è anche un Naccari Carlizzi (Pd) che va a cena, pare a scopo elettorale, proprio con lo stesso boss (Lampada) che ha inguaiato il suo rivale di partito. Questo appiattimento, questo livellamento trasversale verso il basso della politica calabrese, è alla base della creazione dell’iperuranio in cui vivono i Nostri, mentre tutti gli altri, questi sì maggioranza silenziosa, continuano a guardare con gli occhi la realtà, sperando che un giorno, qualcosa di quello che succede tutto intorno, non tocchi proprio noi. Allora capiremmo, ma saremo rimasti soli.

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mini brigante-damaIl “decennio francese”, il periodo storico iniziato, nel 1806, con l’invasione napoleonica del regno di Napoli e concluso, nel 1815, con la cattura e la fucilazione di Gioacchino Murat, rappresenta, anche per la Calabria, un’epoca particolarmente densa di avvenimenti. Ogni angolo della regione venne investito da un generale stato di agitazione. Ad esacerbare gli animi, da una parte, l’oro inglese, dall’altra, gli agenti borbonici che dalla Sicilia alimentavano l’ansia di rivincita di re Ferdinando e della regina Carolina. A fare il resto lo sprezzante atteggiamento della soldataglia francese che, come ricorda Sharo Gambino, arrivava «in Calabria convinta di essere giunta tra i “savauges d’Europe”». Le continue vessazioni e gli oltraggi subiti scatenarono il risentimento di una popolazione destinata ad alimentare il fenomeno del brigantaggio. In mezzo rimase la “zona grigia” quella che più di ogni altra subì gli effetti nefasti di una lotta senza quartiere. Il Brigantaggio e le ribalderie dei francesi non risparmiarono neppure Serra San Bruno, la cittadina della certosa, brutalmente saccheggiata nel 1807. Sotto l’incalzare del comandante della gendarmeria, il “crudele” Voster, per utilizzare la definizione usata ne “La platea”, la cronistoria cittadina redatta dai cappellani della chiesa Matrice, la guardia civica si spingeva ripetutamente nei boschi a dare la caccia ai briganti. A causa dell’impari lotta il loro numero andava assottigliandosi. Il 2 marzo 1811, tre briganti, nella speranza di ottenere un salvacondotto, si rivolsero a tale “Raffele Timpano del Paparello”. In assenza del Voster il comando della piazza era stato affidato al tenete di gendarmeria, Gerard ed al maresciallo Ravier. Il Paparello, accompagnato dal giudice di pace, Bruno Chimirri, dal comandante della guardia civica, Domenico Peronacci e dal civico Giuseppe Amato, recatosi presso l’alloggio dei due comandanti francesi li trovò completamente ebbri. Consegnata una pistola ciascuno al Peronacci ed al Chimici, si misero in marcia. Giunti presso la baracca in cui si trovavano i briganti, vennero freddati nel tentativo di fare irruzione. Insieme ai due gendarmi trovò la morte il serrese Domenico Iorfida. Gli altri, rimasti incolumi, attesero l’arrivo della guardia civica che uccise i malfattori. In seguito all’accaduto un gendarme si recò Nicastro per informare il generale Manhes. I serresi inviarono una loro delegazione incaricata di presentare un circostanziato rapporto. «Ricevuta una lettera stilata dall’intendente – si legge ne “La platea” – il generale che “non era un uomo ma un diavolo vestito di carne umana”, strappò la missiva senza neppure leggerla». Trascorsi un paio di giorni accompagnato da una ventina di dragoni, giunse a Serra il generale Manhes. Prima di partire, il 10 marzo 1811, oltre l’impiccagione di Raffele Timpano, dispose l’esilio dei preti e la chiusura delle chiese. Il bando con il quale venivano preclusi i luoghi di culto stabiliva: «Le chiese tutte del comune di Serra saranno serrate, e le campane legate, poiché il culto sarà sospeso in esso comune fino alla distruzione del brigantaggio. In conseguenza non vi sarà amministrazione di sacramenti, e perciò i preti tutti del comune di Serra si porteranno a Maida finché i loro briganti saranno distrutti». Il proclama, nel paese definito da Norman Douglas “il più bigotto della Calabria”, non tardò a manifestare gli effetti sperati. Alla partenza di Manhes i serresi si misero sulle tracce dei briganti i quali, a corto di vettovaglie, furono costretti a divorare i loro compagni morti. “Venne rinvenuto il cadavere di un capo brigante al quale era stata asportata la carne delle cosce”. A fine marzo 1811 dei briganti alla macchia ne erano rimasti solamente due, Pasquale Ariganello e Pasquale Catroppa, detti i due Pasquali. Grazie ad una taglia di 200 ducati la loro avventura si concluse il 12 aprile 1811, quando vennero uccisi nel sonno da due pastori di Pazzano. I serresi, informati dell’accaduto il 14 aprile, reclamarono immediatamente le chiavi delle chiese ed il ritorno di tutti i sacerdoti allontanati dal Manhes.

(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)

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mini calcio-grande1Se la Serrese avesse vinto la partita di recupero contro l’attuale capolista, il Santa Caterina, oggi saremmo qui a parlare di primato in classifica. Purtroppo, però, il calcio riserva delle sorprese. Delle volte negative; altre, invece, positive. Ieri, ad esempio, la squadra di mister Megna si è aggiudicata il big match della tredicesima giornata del campionato di Prima categoria, girone “C”, battendo in trasferta la Nuova Filadelfia del collega Barone. Nei primi venti minuti di gioco, le squadre si studiano per capire le intenzioni dell’avversario. Al 26’ la Serrese passa in vantaggio con Dragotto che, dalla distanza, non lascia scampo a Boragina. Primo tempo che si conclude con i bianco blu in vantaggio di una sola rete. Nella ripresa, il Filadelfia si riversa in avanti alla disperata ricerca del pareggio che, però, non arriva. E la Serrese chiude definitivamente il match al 45’ con Megna (14esimo gol per lui) che, dopo un contropiede, realizza in gol del definitivo 2 a 0. Tra le squadre vibonesi impegnate ne girone “C”, da segnalare il colpaccio del Filogaso, che espugna Polistena e sale ulteriormente in classifica. La Zungrese, invece, viene fermata in casa dal Caulonia. Giornata no per il Nicotera che subisce un passivo pesante a Badolato (4 a 0). Il Cessaniti espugna nettamente Amaroni. La Nuova Limbadi cede di misura ad un cinico Petrizzi. Questa la classifica dopo la terz’ultima giornata di campionato:

 

Santa Caterina     31

Serrese                 30

Polistena              28

N. Filadelfia        26

Petrizzi                25

Zungrese             23

Badolato             23

Nicotera              21

Filogaso              19

Laureanese         15

Caulonia             14

Cessaniti             13

Limbadi              11

Pontegrande         7

Amaroni               4

Soverato               2

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mini serre_spopolamentoSERRA SAN BRUNO – Lento, inesorabile, a volte impercettibile. Un nemico oscuro, subdolo, senza volto, assale alle spalle le comunità ed i paesi delle aree interne della nostra regione. Il territorio montano, con la sua storia, la sua cultura, a volte estremo fortino della memoria e dell’identità rischia lentamente di sparire. A rivelarlo l’impietosa sequenza delle partenze, i cui cicli, da un secolo e mezzo, non sembrano volersi arrestare. Nel corso degli anni è cambiata la destinazione, il mezzo con cui si va via, la tipologia umana, la condizione economica e sociale di chi parte ma anche di chi resta. Ciò che però non muta è lo spirito di chi è costretto a mettersi in marcia, non per volontà, per necessità. Lo sradicamento, tanto mirabilmente descritto da Simon Weill ne “La prima radice”, appare in tutta la sua drammaticità. In anni in cui l’immigrazione viene descritta come il dramma degli altri, in quella fascia di territorio visivamente rappresentata dall’altipiano delle Serre, il fenomeno, tra picchi più o meno alti, è sempre andato avanti, senza sosta. Non è infrequente imbattersi in centri storici ormai spopolati, caratterizzati da porte sprangate, da finestre tristemente serrate. Nei luoghi deputati all’aggregazione spesso si registra l’assenza delle generazioni di mezzo. Le braccia da lavoro o i cervelli partono per tornare magari fugacemente nel solo periodo estivo. Un impoverimento costante, ben descritto da una comparazione dei diversi censimenti. Prendendo come riferimento i dati riferiti a nove comuni della fascia montana, San Nicola da Crissa, Vallelonga, Simbario, Spadola, Brognaturo, Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia e Nardodipace, si osserva immediatamente un drastico calo della popolazione residente. Ove si consideri, infatti, che nel 1861, anno del primo censimento generale della popolazione italiana, gli abitanti ammontavano alla ragguardevole cifra di 27.320, si comprende immediatamente come la scure dell’emigrazione si sia abbattuta impietosamente. Un terremoto di dimensioni vertiginose. I 16.604 abitanti che ancora risiedono nei centri considerati, evidenziano, infatti, un calo di ben 10.716 unità nell’ultimo secolo e mezzo. Una cittadina di dimensioni medio piccole sparita dalla carta geografica. Per avere un’idea del dato è come se un visitatore recandosi a Serra San Bruno, Fabrizia, Brognaturo e Vallellonga trovasse quattro cittadine fantasma, prive di popolazione. La situazione appare ancor più scoraggiante ove si consideri che il progressivo calo dei residenti prosegue ormai dal 1951. Nei nove comuni, oggi, la popolazione è addirittura inferiore di 8283 unità a quella del 1921 quando, a dispetto delle partenze oltreoceano e della Grande guerra, vi dimoravano ancora 24.887 persone. Al termine di un altro conflitto mondiale, nonostante le altissime perdite in termini di vite umane, al censimento del 1951 la popolazione risulta 28.759. Il boom economico con la famosa freccia del Sud, il treno che dall’Italia meridionale scaricava quotidianamente centinaia di braccia da lavoro a Torino e nelle altre città del triangolo industriale, intaccherà dapprima solo relativamente il numero dei residenti, attestatisi nel 1961 a 27.698. Situazione ben diversa vent’anni dopo, quando si registrano quasi diecimila presenze in meno e 17.969 abitanti. Segue una breve quanto effimera ripresa. Nel 1991 la popolazione sale, infatti, a 18.025. Gli anni novanta ed il primo scorcio del nuovo secolo, nonostante i primi flussi migratori in entrata, fanno registrare l’ennesima flessione. Nel 2001 vengono censiti 17.149 abitanti, oggi scesi a poco più di 16.000. In altri termini dal 1991 ad oggi e come se le popolazioni di Spadola, Brognaturo e Simbario fossero svanite nel nulla.

(articolo pubblicato nelle pagine vibonesi de Il Quotidiano della Calabria)

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  Una plebaglia arrogante e superstiziosa stipata in buie stamberghe riscaldate dall’alito del maiale e dalle feci della gallina o grufolante nelle strade e nelle piazze di un paese senza fogne, così lurido che la miscela di Laplace pompata a tutta forza dal veterinario Francesco Ferrara a stento riesce a disinfettare. Una massa informe, pavida e incosciente, gonfia d’istinti bestiali e vuote giaculatorie, ipocrita nelle sue lamentazioni, disperata nei suoi vizi, soffocata nelle spire squamose d’una presuntuosa ignoranza.

 Non c’è, nell’immagine di Serra e dei serresi tratteggiata dal medico condotto, Ufficiale sanitario comunale e più-che-sospetto mangiapreti Antonio Romano nella relazione su L’epidemia di morbillo in Serra San Bruno (1909), quella compassione e quell’afflato didascalico coi quali una ventina d’anni prima Carmelo Tucci rappresentava i serresi ai fanciulli della scuola elementare nel breve Cenno geografico-storico sul comune di Serra San Bruno: cittadini dignitosi, puliti, laboriosi e modesti pur nella totale rassegnazione alla più spietata miseria.

 E così pure paiono eclissate, nelle pagine di questa relazione deliberatamente sbilanciata verso l’invettiva, la fiducia nell’esistenza di una viva e presente «coscienza di popolo», da educare e coltivare, o la genuina simpatia con «gli stanchi, gli affaticati, gli oppressi» che avevano contraddistinto Malattie infettive e loro profilassi, l’opuscolo redatto da Romano nel 1906 e distribuito agli insegnanti affinché s’istruissero i giovani su come riconoscere e prevenire il morbillo, la scarlattina, l’infiammo, il tifo addominale, la dissenteria, il colera asiatico, la granulosa, il vaiolo arabo, la difterite e la tubercolosi, affezionatissime e spesso letali compagne di carbonai, segatori, scalpellini, tessitrici, puerpere.

Ne L’epidemia di morbillo la fiducia nel potere formativo e persuasivo della scuola lascia il posto all’amara constatazione della necessità della bajonetta, alla rabbia positivista e vagamente affettata dell’uomo di scienza costretto suo malgrado ad accreditare e perpetuare la bieca immagine dei suoi conterranei come “selvaggi d’Europa” e a scernere nella diffusione di questo morbo ancora in larga misura sconosciuto, ma certamente non grave, che dal primo maggio al 19 luglio 1909 aveva colpito 858 persone uccidendone 83, il segno di una bruciante sconfitta umana e professionale.

Perché sarebbe stato facile  -era stato fatto negli anni precedenti, a Serra come a Mongiana, in casi di scarlattina e vaiolo arabo- contrastare la malattia e confinarla nel ristretto spazio di una o due famiglie, se solo i serresi non avessero colpevolmente taciuto al loro medico, per timore della quarantena alla quale Romano li avrebbe inevitabilmente sottoposti, la russajna che già a febbraio li aveva presi. Colpevoli d’aver creduto alle universali virtù curative delle nespole e delle ciliegie, consegnandosi in questo modo alla dissenteria, al supplizio della merda; ma soprattutto colpevoli d’aver realizzato, nel giorno 22 maggio, il folle proposito di una processione in onore di San Rocco per impetrare la salute esponendo sugli usci i malati, i bambini, i deboli, trasformando così poche dozzine di casi in centinaia. Intorno alla metà di giugno Romano e gli altri due medici Giacomo Pisani e il neo assunto Giuseppe Tucci visitavano quotidianamente più di duecento malati ciascuno, nonostante la Provincia avesse ridotto i loro stipendi, costretti talvolta a registrare spaventose complicazioni.

A due bambine di via Anastasio e via Fulciniti erano comparse ulcere nere sulla mucosa interna della guancia che nonostante i lavaggi con nitrato d’argento e soluzione salicilica continuavano ad espandersi fino a quando, invasi palato e gengive e fatti gonfiare viso e collo, non avevano trascinato le bambine in un profondo coma e infine alla morte per cancrena della bocca. Tre bambini, apparentemente guariti, erano stati invece fulminati da una paralisi cardiaca da tossiemia, dalla lordura che avevano nel sangue. Quattro se li era portati via la scarlattina, un altro la difterite, 73 la broncopolmonite: tutti ragazzi di neanche dodici anni. La novenne Rosa Macrì di via Sorvara a Spinetto, pur avendo le carni crepitanti come carta velina e un enfisema cutaneo che, partendo dalla cervice, le avvolgeva il torace e l’addome fino alla radice delle cosce, fortunatamente non morì.

 Il veterinario Ferrara e le sue squadre, aiutati dai carabinieri, dovevano entrare a forza nelle case (234 a Terravecchia, 211 a Spinetto), per disinfettarle con soluzione in acqua di sublimato corrosivo, ridurre gli abitanti all’agonia di un bagno caldo, lavarne i poveri panni con l’acqua di Labarraque e quindi costringerli a spalmarsi sul corpo finalmente pulito la pomata a base di acido salicilico.

 Ma la gente continuava a raccogliersi e a sciamare dalla casa alla chiesa al cimitero, a organizzare processioni e veglie, a baciare le statue mute, tremendo veicolo d’infezione, invocando la benedizione dell’aria, convinta com’era della generazione spontanea di una malattia inviata dal Signore a proliferare nei miasmi per punire, nella fragile scorza dei figli, i peccati dei genitori.

Aveva tentato, Romano, di porre un freno alla follia popolare sfruttando l’autorevolezza del medico, le prerogative dell’Ufficiale Sanitario, la persuasività dell’uomo di scienza. Venuto casualmente a sapere della diffusione del morbillo, aveva sollecitato l’ordinanza del primo maggio con la quale i padri di famiglia, gli insegnanti di scuole pubbliche e private, le majìstre, gli osti e gli altri venditori di bevande spiritose venivano obbligati a denunciare i casi di malattie esantematiche. La sera del 21 maggio si era precipitato dal sindaco Luigi Filippo Chimirri - fratello del quasi settuagenario, illustrissimo avvocato Don Bruno Chimirri, ex ministro dell’Agricoltura e poi delle Finanze, senatore del Regno – e aveva inutilmente richiesto che la processione fosse vietata. Le scuole erano state chiuse, certo, ma a che pro, se poi quegli stessi bambini venivano trascinati in riunioni e processioni affollate di sputazze?

 Il 7 giugno, finalmente, di fronte a una situazione prossima all’insostenibilità, l’amministrazione comunale decideva di raccogliere tutto il suo coraggio ed emanare l’ordinanza in base alla quale si vietavano «tutti gli assembramenti di persone da qualsiasi motivo determinati sia in luogo aperto che in luogo chiuso».

 Ma si sa, è la constatazione amara di Romano, che il fanatismo politico e religioso è come corrente elettrica che si propaga non vista, ma avvertita e profonda, nelle moltitudini invase da un’idea, e facilmente si acutizza, trascinando la massa in uno stato di febbre convulsiva che la rende capace solo di sentire, non di riflettere né di ragionare, per consegnarla legata mani e piedi a preti e politicanti indaffarati a perpetuare ed estendere la loro forza. Politica e religione, anch’esse colpevoli in quanto complici dell’epidemia, Romano le ritrae a tinte fosche, come forze oscure, irrazionali e impersonali, intente a complottare ai danni della luminifera verità della scienza, con modi e toni che richiamano da vicino quell’anticlericalismo e materialismo fin troppo schietto e becero di riviste ottocentesche come il Libero Pensiero (dal 1873 il Libero Pensatore), il sedicente «giornale dei razionalisti» uscito settimanalmente tra il 1866 e il 1875 prima a Parma, poi a Firenze e infine a Milano.

 E l’accusa più infamante dalla quale Romano deve difendersi è proprio quella, mossagli dai preti, di essersi inventato tutta la storia del contagio e della quarantena solo per dare libero sfogo al suo conclamato anticlericalismo, per impedire alla gente di andare a messa e riuscire così a minare alla radice la religiosità del popolo.

 L’amministrazione non aveva perso tempo a fiutare il sentimento popolare e ad assecondare la volontà di un popolino piegato dalle «lojolesche mene» dei preti: dopo sole 48 ore l’ordinanza del 7 giugno veniva revocata dal sindaco su «conforme parere della Giunta Comunale» sulla base della constatazione che «nessuna misura preventiva poteva ormai evitare il contagio». Una giustificazione assurda che alle orecchie di Romano suonava come un insulto personale, probabilmente dettata non da senatoriale ebetudine ma da un lucido e consapevole calcolo politico.

Ferito, insultato e offeso, Romano rassegnava quindi le proprie dimissioni dall’incarico di ufficiale sanitario, dimissioni che sarebbero state effettive non appena terminata l’epidemia. Scavalcando il Comune, si rivolgeva direttamente alla Provincia e alla Prefettura, invocando la forza bruta dei carabinieri - la bajonetta finalmente - a vigilare a che i malati non ricevessero visite e non uscissero di casa; garantiva ai cittadini e agli studenti l’accesso alle scuole e agli altri uffici pubblici solo se vestiti con abiti freschi di bucato, aumentava la frequenza delle disinfezioni, fermamente determinato a ripulire il paese dal morbo e dalla lordura.

 Alla metà di luglio, finalmente, l’epidemia era rientrata. Le scuole venivano riaperte, e Romano si apprestava a redigere la relazione da inviare all’Ufficio Sanitario Provinciale. Tuttavia, non intendendo lasciare che tutta la vicenda si riducesse ad un dattiloscritto da far ingiallire negli archivi della Provincia, al contrario fermamente deciso rendere pubblica la sua relazione, non solo come piccolo contributo alla letteratura epidemiologica sul morbillo, allora in forte aumento, ma anche e soprattutto come atto d’accusa nei confronti della gente, del Comune e della Parrocchia, il primo agosto Romano faceva frettolosamente stampare il suo resoconto alla tipografia L. De Francesco & Raho di Serra San Bruno e ne inviava una copia alla Provincia, l’altra alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dove sarebbe stata custodita e quindi resa pubblica, un memento per ricordarsi di cosa può succedere quando una popolazione è abbandonata a se stessa, alla sua ignoranza, e viene privata della competente e continua attenzione dei propri medici.

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 mini SERRESE_CALCIOSERRA SAN BRUNO - Il match di cartello della tredicesima giornata del campionato di Prima categoria, girone C, è, senza dubbio, quello tra Nuova Filadelfia e Serrese. I bianco blu di mister Megna sono reduci dalla vittoria interna di unasettimana fa nel big match contro la Zungrese. I giallorossi, invece, dovranno dare costanza ai tre punti ottenuti domenica scorsa nel derby contro il Filogaso. In questo caso, pareggiare non servirebbe a nessuna delle due formazioni, che dovranno fare risultato pieno per mantenere la scia delle prime della classe. Per un posto nei play – off, invece, si affronteranno Badolato e Marina di Nicotera. Attualmente, la classifica sembra essere a favore dei vibonesi, che precedono di un punto proprio i rivali catanzaresi. Il Polistena capolista ospiterà un altalenante Filogaso; il Santa Caterina andrà di scena a Soverato contro il fanalino di coda Us. L’ altra compagine vibonese del girone, la Zungrese, ospiterà il Caulonia, reduce da una settimana difficile a causa dei problemi societari. In zona salvezza, invece, l’Amaroni riceverà il Cessaniti, uscito malconcio  domenica dal match interno contro il Polistena. La Laureanese dovrà fare di tutto per ottenere i tre punti chiedendo strada al Pontegrande. Nuova Limbadi - Petrizzi chiude il cartello della terz’ultima giornata di andata.

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