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SERRA SAN BRUNO – Lento, inesorabile, a volte impercettibile. Un nemico oscuro, subdolo, senza volto, assale alle spalle le comunità ed i paesi delle aree interne della nostra regione. Il territorio montano, con la sua storia, la sua cultura, a volte estremo fortino della memoria e dell’identità rischia lentamente di sparire. A rivelarlo l’impietosa sequenza delle partenze, i cui cicli, da un secolo e mezzo, non sembrano volersi arrestare. Nel corso degli anni è cambiata la destinazione, il mezzo con cui si va via, la tipologia umana, la condizione economica e sociale di chi parte ma anche di chi resta. Ciò che però non muta è lo spirito di chi è costretto a mettersi in marcia, non per volontà, per necessità. Lo sradicamento, tanto mirabilmente descritto da Simon Weill ne “La prima radice”, appare in tutta la sua drammaticità. In anni in cui l’immigrazione viene descritta come il dramma degli altri, in quella fascia di territorio visivamente rappresentata dall’altipiano delle Serre, il fenomeno, tra picchi più o meno alti, è sempre andato avanti, senza sosta. Non è infrequente imbattersi in centri storici ormai spopolati, caratterizzati da porte sprangate, da finestre tristemente serrate. Nei luoghi deputati all’aggregazione spesso si registra l’assenza delle generazioni di mezzo. Le braccia da lavoro o i cervelli partono per tornare magari fugacemente nel solo periodo estivo. Un impoverimento costante, ben descritto da una comparazione dei diversi censimenti. Prendendo come riferimento i dati riferiti a nove comuni della fascia montana, San Nicola da Crissa, Vallelonga, Simbario, Spadola, Brognaturo, Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia e Nardodipace, si osserva immediatamente un drastico calo della popolazione residente. Ove si consideri, infatti, che nel 1861, anno del primo censimento generale della popolazione italiana, gli abitanti ammontavano alla ragguardevole cifra di 27.320, si comprende immediatamente come la scure dell’emigrazione si sia abbattuta impietosamente. Un terremoto di dimensioni vertiginose. I 16.604 abitanti che ancora risiedono nei centri considerati, evidenziano, infatti, un calo di ben 10.716 unità nell’ultimo secolo e mezzo. Una cittadina di dimensioni medio piccole sparita dalla carta geografica. Per avere un’idea del dato è come se un visitatore recandosi a Serra San Bruno, Fabrizia, Brognaturo e Vallellonga trovasse quattro cittadine fantasma, prive di popolazione. La situazione appare ancor più scoraggiante ove si consideri che il progressivo calo dei residenti prosegue ormai dal 1951. Nei nove comuni, oggi, la popolazione è addirittura inferiore di 8283 unità a quella del 1921 quando, a dispetto delle partenze oltreoceano e della Grande guerra, vi dimoravano ancora 24.887 persone. Al termine di un altro conflitto mondiale, nonostante le altissime perdite in termini di vite umane, al censimento del 1951 la popolazione risulta 28.759. Il boom economico con la famosa freccia del Sud, il treno che dall’Italia meridionale scaricava quotidianamente centinaia di braccia da lavoro a Torino e nelle altre città del triangolo industriale, intaccherà dapprima solo relativamente il numero dei residenti, attestatisi nel 1961 a 27.698. Situazione ben diversa vent’anni dopo, quando si registrano quasi diecimila presenze in meno e 17.969 abitanti. Segue una breve quanto effimera ripresa. Nel 1991 la popolazione sale, infatti, a 18.025. Gli anni novanta ed il primo scorcio del nuovo secolo, nonostante i primi flussi migratori in entrata, fanno registrare l’ennesima flessione. Nel 2001 vengono censiti 17.149 abitanti, oggi scesi a poco più di 16.000. In altri termini dal 1991 ad oggi e come se le popolazioni di Spadola, Brognaturo e Simbario fossero svanite nel nulla.
(articolo pubblicato nelle pagine vibonesi de Il Quotidiano della Calabria)
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