Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
SERRA SAN BRUNO - ‘L‘ importante non è vincere, ma partecipare’. Quante volte ce lo siamo sentiti dire. E quante lo sentiremo ancora. L’importante è partecipare, certo. Se poi di fronte non hai una gara qualsiasi ma la rinomata Maratona di Roma, il discorso rimane immutato. Perchè nello sport non conta vincere. L’importante è metterci tutto l’impegno possibile. Poi, i risultati prima o poi, verranno da soli. Alla partecipazione, però, c’è bisogno di impegno, passione e, soprattutto, rispetto per gli altri. Valori, questi, che stanno via via smarrendo negli sport come il calcio. Non nell’atletica, però. Una disciplina, questa, poca conosciuta ma allo stesso tempo, praticata da centinaia e migliaia di persone di ogni età. Nei giorni scorsi per le strade della capitale si è tenuta la diciannovesima Acea Maratona di Roma, vinta da un etiope nella prova maschile e da una keniana, invece, in quella femminile: si tratta rispettivamente del 29enne Getachew Terfa Negar, il quale si e' aggiudicato la gara in 2 ore, 7 minuti e 56 secondi e della 36enne Helena Loshanyang Kirop, che invece ha tagliato il traguardo in 2 ore 24 minuti e 40 secondi. Tra gli oltre 14mila partecipanti, però, c’era anche un serrese: stiamo parlando di Daniele Tassone, 35 anni da compiere a Novembre, da sempre appassionato della disciplina. Su 10665 atleti che hanno tagliato il traguardo, Tassone - della società ‘Zona Olimpica Team’ - si è classificato al 382esimo posto, chiudendo con un tempo di 3 ore, 6 minuti e 5 secondi. Un risultato ragguardevole, insomma, per un ragazzo come tanti, costretto a lasciare la propria terra, in cerca di un lavoro ma che, nonostante tutto e nonostante gli sforzi compiuti in questi anni, finalmente è riuscito a sentire l’odore di un successo in campo sportivo. Perchè di questo si tratta. Già partecipare alla Maratona di Roma è, di per sé, un fatto significativo. Riuscire ad ottenere il 382esimo posto su oltre 14mila partecipanti è qualcosa di più. Che sia soltanto il preludio di una lunga serie di vittorie.
Il presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, è stato condannato in appello a sei mesi di reclusione nel processo per il caso della discarica di Longhi-Boveto. Confermata anche la condanna per il dirigente comunale Igor Paonni, mentre viene definitivamente assolto l’assessore regionale Antonio Caridi (all’epoca dei fatti assessore all’Ambiente della giunta Scopelliti al Comune di Reggio Calabria).
Il verdetto arriva quindi a conferma della condanna del settembre 2010, quando la seconda sezione penale di Reggio, dopo circa due ore di camera di consiglio, aveva reputato Scopelliti colpevole di omissione di atti d’ufficio per non aver vigilato, in qualità di sindaco di Reggio Calabria, sulla messa in sicurezza, sulla bonifica e sullo smaltimento del percolato della discarica di “Longhi-Boveto”. Si tratta di un impianto di raccolta di rifiuti solidi urbani di proprietà del Comune di Reggio Calabria, già chiuso nel 1999 e mai messo in sicurezza, ubicato nelle strette vicinanze di una scuola elementare ultimata proprio alla fine degli anni ’90, ma mai realmente entrata in funzione a causa della mancata bonifica dell’area circostante allo stesso plesso scolastico.
Dalla relazione di scioglimento del Comune di Reggio Calabria alle carte delle inchieste giudiziarie, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia alle connivenze dello Stato e della società civile con il malaffare e, ancora, gli intrecci economici in riva allo Stretto, ma anche a Milano, il ruolo della massoneria e dei Servizi Segreti nelle vicende più oscure degli ultimi anni.
“Il Sistema Reggio”, del giornalista Claudio Cordova per Laruffa Editore, è il primo libro-inchiesta sulla città dello Stretto che, alla luce di dati oggettivi, mostra come – dall’economia alla politica, passando per la criminalità organizzata – tutto sia, appunto “Sistema”. Un lungo lavoro di ricerca e di approfondimento sui gruppi e i grumi di potere che comanderebbero la città. Forse su Reggio Calabria è possibile immaginare una “cabina di regia” composta da entità diverse, pronte sempre a rinnovarsi, in base ai nuovi equilibri politici, economici e criminali. A partire dagli anni 2000 si sarebbero create le condizioni politiche, mafiose ed economiche perchè Reggio Calabria venisse, di fatto, inglobata dalla stessa logica dell’armonia e dell’accordo. Cordova – da giornalista attivo in città da anni – mette insieme un’opera unitaria in cui non viene risparmiato alcun settore della vita sociale reggina, portando alla luce una lunga serie di manovre oscure su cui si poggerebbe lo status quo cittadino. “Il Sistema Reggio” è una fotografia di quella che è diventata la città dal 2000, in un momento delicatissimo per la sua storia, all’indomani dello scioglimento del Comune per contiguità con la ‘ndrangheta.
E se lo specchio attraverso cui questa città si è guardata negli ultimi trent’anni fosse stato uno specchio distorto, alterato? E se alla rettitudine di cittadini comuni, imprenditori, servitori dello Stato, insegnanti, medici, avvocati, notai, e anche giornalisti, si fosse contrapposto un establishment esteso, sostanzialmente mediocre, connivente col sistema criminale che regola i rapporti sociali, ma soprattutto silenzioso? E se questo silenzio avesse, piano piano, ammorbato la gran parte del tessuto sociale fino a rendere quasi ininfluente ogni impulso di senso contrario? (Antonino Monteleone)
Il libro sarà presentato mercoledì 27 marzo, alle ore 18, presso il Teatro Politeama Siracusa, a Reggio Calabria dalla Casa Editrice Laruffa in collaborazione con l’Associazione Culturale “Quadrante Sud”.
Oltre all’autore, interverranno: Gianluca Ursini, giornalista e scrittore, Antonino Monteleone, giornalista e scrittore, Roberto Laruffa, editore. Coordina Eleonora Scrivo, referente territoriale di Action Aid.
Nota biografica dell’autore - Claudio Cordova, nato nel 1986, giornalista, vive a Reggio Calabria. Ha lavorato per diverse testate locali, occupandosi di cronaca nera e giudiziaria. Dall’aprile 2012 è direttore del giornale online Il Dispaccio. Collabora inoltre con Il Quotidiano della Calabria. Per Laruffa nel 2010 ha già pubblicato il libro-inchiesta sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi “Terra Venduta – Così uccidono la Calabria – Viaggio di un giovane reporter sui luoghi dei veleni”.
VIBO VALENTIA - Accogliendo la richiesta del sostituto procuratore Michele Sirgiovanni, il gup di Vibo Valentia ha rinviato a giudizio cinque persone ritenute responsabili, a vario titolo, dell'intossicazione alimentare subita dai bambini delle scuole dell'infanzia ed elementari di Vibo Valentia. Le persone indagate - Michelina Luberto (36 anni), Domenico Cosentino (35), Adriana Maria Stella Teti (56), Emanuela Rizzuti (63) e Fortunato Carnovale (60) - sono accusate di abuso d'ufficio, omissione di atti d'ufficio e detenzione e distribuzione per il consumo di sostanze alimentari con cariche microbiche superiori ai minimi stabiliti dalla legge. Il rinvio a giudizio riguarda
I fatti risalgono al 5 novembre 2009, quando diversi bambini rimasero intossicati dai pasti somministrati a scuola. A seguito delle segnalazioni dei genitori fu aperta un'inchiesta, coordinata dal pm Sirgiovanni, nella quale furono indagati Michelina Luberto e Domenico Cosentino in veste di legale rappresentante della ditta Osma. Ad entrambi viene contestato di avere, in concorso tra loro, detenuto e distribuito sostanze alimentari con cariche microbiche superiori ai minimi stabiliti dalla legge e comunque in stato di alterazione e nocive. Adriana Teti deve invece rispondere di abuso di ufficio, nella sua qualità di responsabile del Servizio attività scolastiche del Comune di Vibo, per aver liquidato illegalmente somme di denaro in favore della Osma. Emanuela Rizzuti è accusata di omissione di atti di ufficio in qualità di titolare di posizione organizzativa nella Commissione di vigilanza del servizio di refezione avrebbe impedito i relativi controlli. Il medico Fortunato Carnovale, nella sua qualità di dirigente del Dipartimento di prevenzione dell'Asp e responsabile del procedimento, è accusato di avere omesso di effettuare le ulteriori verifiche in ordine al rispetto delle prescrizioni adottate in data 7 novembre 2008. Il processo è stato fissato per il 23 aprile prossimo davanti al tribunale di Vibo Valentia.
FABRIZIA - La famosa Legge Regionale, ormai di lungo corso, che risale al gennaio 2001 per la stabilizzazione dei lavoratori LSU-LPU non è mai stata attuata, questo è un dato più che assodato. Quel che non si comprende bene riguarda essenzialmente la vera causa, visto che i fondi annualmente vengono alfine reperiti. Almeno finora è stato così. Sembra tuttavia potersi ravvisare una motivazione che si coniuga bene con quella mentalità politico-assistenzialistica di continua dipendenza dal potere. Però, adesso, pare che sia stata eccessivamente tirata la corda, al punto di toccare il fondo della criticità. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’ennesimo rinvio dell’obbligo di stabilizzazione dei precari, con faciloneria riproposto attraverso l’articolo 55 della L.R. n. 47 del 2011. L’impegno preso nel lontano anno 2001, con la legge regionale n. 4, non è mai stato portato avanti seriamente. A parte qualche sporadico tentativo di monetizzazione per la fuoriuscita, di cui si sono avvalsi solo pochi non interessati alla stabilizzazione, non vi è stato molto altro. L’obbligo di riservare i posti nei concorsi pubblici e la possibilità di assumere per i posti soggetti a normali selezioni dei disoccupati, non hanno ricevuto la meritata attenzione.
Fabrizia, con il suo rilevante numero di precari LSU ed LPU, soffre fortemente questo disagio e l’incertezza sul futuro. A parte l’unica azione di stabilizzazione compiuta nel 2007, allorché il Comune colse l’opportunità di partecipare al bando incentivata dal doppio contributo, statale e regionale, si è dovuti assistere ad un pesante trascinarsi dell’incertezza annuale o, più spesso, trimestrale. È superfluo ma opportuno rammentare che i perenni blocchi di legge sulle assunzioni, hanno indotto gli enti a sopperire alle carenze con gli LSU-LPU, spesso anche per servizi essenziali. Il risvolto economico di necessità ha congelato in parte le giuste rimostranze per il riconoscimento formale di questo importante bacino di lavoro pubblico, sotto gli occhi di tutti nella sua effettività sociale.
Lasciarli nell’incertezza del futuro è una crudeltà a cui deve porsi riparo. Così come pare abbastanza dura la condizione di incertezza finanziaria per l’altro importante bacino occupazionale rappresentato dagli operai agro-forestali, da qualche tempo tornati in un critico limbo di incertezze per il pagamento delle spettanze. Il quadro delle miserie politiche e gestionali della nostra Regione appare nero su molti versanti.
Il competente Dipartimento regionale assicura che si sta preparando una norma transitoria per risolvere il problema, una escamotage per finanziare il debito e per proseguire “sotto altra forma”. Nondimeno, allo stato dei fatti, come efficacemente afferma Sergio Pelaia nell’articolo di mercoledì, la sorte di tutte queste persone - già precari e senza diritti da oltre 15 anni - ad oggi è ancora più incerta.
La complicazione della mancata stabilizzazione condiziona la possibilità di finanziare adeguatamente anche i normali interventi in favore dei disoccupati. Infatti, i fondi regionali annualmente stanziati per l’occupazione vanno stornati nell’unico calderone del ripiano (parziale, perché insufficienti) dei debiti che si accumulano per questi lavoratori precari, comunque lasciati nell’incertezza perenne. Dopo tanti anni, se non altro moralmente, dovrebbero essere considerati creditori di una maggiore considerazione politico-normativa nei confronti di questa Regione scialacquona e priva di onesta attenzione nei loro confronti. È utile rammentare che il legislatore nazionale, con il d.l. n. 78 del 2009, per convenire ad una responsabile conclusione del precariato, avrebbe inteso consentire alla Regione, nel triennio 2010-2012, la stabilizzazione “nelle amministrazioni pubbliche, mediante la previsione di una riserva di posti in concorsi banditi per assunzioni a tempo indeterminato”. Non, invece, l’esatto contrario, come azzardato con la norma cancellata dalla sentenza, che azzardava la proroga al 2014 del termine finale di stabilizzazione dei precari.
Nella maggior parte delle politiche di bilancio regionale possiamo rilevare, come cittadini calabresi, una continua rincorsa per sfuggire completamente alle responsabilità politiche e sociali, specie nei confronti dei meno fortunati. Ma le alchimie operate sono risultate parecchio inefficaci. Sarebbe opportuno ammettere onestamente che la strategia di indebitamento della Regione Calabria deve essere rivista sia in legalità che in efficacia degli interventi. La recente sentenza n. 18/2013 è il termometro del metodo sbagliato. Sono troppi i settori in cui la Regione ha splafonato: dalla sanità, alle assunzioni di dirigenti senza copertura finanziaria; dagli incentivi all’Aeroporto reggino, allo striplamento della Stazione Unica Appaltante mediante l’incremento da una a tre delle «sezioni tecniche» con la previsione di un dirigente «equiparato a quello di servizio della Giunta regionale» per ogni Sezione; e via di seguito. Inoltre sta continuando nell’indebitamento disponendo incarichi extranorma molto probabilmente di favore. Il tutto rimunerato con le tasse dei cittadini ed anche a spese dai lavoratori precari che non possono raggiungere la sospirata tranquillità. Ma anche da tutti i calabresi disoccupati che un’occasione di lavoro, anche part-time ed a sollievo momentaneo delle enormi difficoltà, la gradirebbero come una boccata d’ossigeno per non soccombere alla miseria.
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