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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Un’attività investigativa internazionale, dispiegatasi tra i vertici del triangolo Fabrizia-Polsi-Frauenfeld, e che ha condotto oggi in manette 12 presunti membri della ‘ndrangheta, tutti cittadini italiani ma fermati in Svizzera, accusati di far parte di un'associazione di tipo mafioso.
La Polizia cantonale ha arrestato nei giorni scorsi in Svizzera Antonio Montagnese, 35 anni di Fabrizia, ritenuto al vertice dell'omonimo clan Montagnese-Nesci, e già condannato in Cassazione ad una pena di 9 anni di reclusione con l'accusa di associazione mafiosa. Il 35enne era rimasto coinvolto nell'operazione “Domino”, scattata nel 2007. Montagnese è il genero di Bruno Nesci, anche lui al vertice della consorteria mafiosa. Subito dopo la sentenza della Cassazione, arrivata nel maggio di quest'anno che ha certificato l'esistenza di un locale di 'ndrangheta a Fabrizia, Montagnese si era dato latitante in Svizzera, ma la Polizia Cantonale dopo mesi di ricerche è riuscita a rintracciarlo.
FABRIZIA - In un silenzio assordante, interrotto soltanto dalle urla di dolore della madre e dal suono delle campane, la salma di Alessandro Greco è giunta nella chiesa Matrice di Fabrizia, dove per l'ultima volta i familiari, i parenti, gli amici ed anche semplici conoscenti, hanno voluto salutare un giovane che, tra mille difficoltà e dopo tanti sacrifici, aveva deciso di emigrare in Svizzera. Nessuno, però, si sarebbe mai aspettato che oggi, a soli 25 anni, Alessandro tornasse nel suo paese, nella sua Fabrizia, chiuso in una bara. Oggi Sandro è uscito per l'ultima volta dalla sua casa.
FABRIZIA - Alessandro Greco non ce la faceva a restare con le mani in mano nell’attesa del tanto ambito posto di lavoro. Date le difficoltà di realizzarsi nel suo paese (Fabrizia), col coraggio e la determinazione degli emigrati di un tempo, qualche anno fa, ha sistemato la sua valigia e si è trasferito in Svizzera, a Sinarch, per cercare di vivere una vita dignitosa. Purtroppo però, a causa di un incidente, il giovane che aveva compiuto da poco 25 anni, ha perso la vita proprio sul posto di lavoro.
I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito un decreto di fermo, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia della città dello Stretto, nei confronti di 18 persone, ritenute affiliate alla ‘ndrangheta, due delle quali sono state bloccate nel Reggino, mentre le restanti 16 sono oggetto di localizzazione in Svizzera da parte delle autorità elvetiche e saranno arrestate dopo l'estradizione. Le indagini portate avanti dagli inquirenti, rientranti nell’ambito dell’operazione denominata “Helvetia”, hanno consentito di accertare la presenza in Svizzera, da circa 40 anni, di un'articolazione della 'ndrangheta direttamente collegata alle cosche di Fabrizia (Vibo Valentia) e di Reggio Calabria. Nello specifico, sarebbe stata anche documentata la presenza di alcuni esponenti della ‘ndrangheta in Svizzera, in particolare nella città di Frauenfeld, dove esiste un cosiddetto “Locale”, il cui modello strutturale si rifà sostanzialmente a quello calabrese, al vertice del quale c’era anche il presunto boss Antonio Nesci, di Fabrizia, che operava per il tramite di Giuseppe Antonio Primerano, indicato come il capo del locale di Fabrizia, attualmente detenuto in Italia. In Svizzera, da 40 anni, le cosche gestivano i traffici di cocaina, armi, le estorsioni e gli omicidi, seguendo le regole decise dalla “Provincia” reggina, con la benedizione di don Mico Oppedisano, l’anziano patriarca di Rosarno indicato come il “capo dei capi” e riconosciuto dagli inquirenti come «il saggio e custode delle regole».
SERRA SAN BRUNO – Non hanno più in mano le valige di cartone che, molto spesso, abbiamo visto nelle “foto vintage” di emigrati senza tempo e senza età. No. Ma le scintille di sofferenza e povertà che si leggono negli occhi dei migranti dal sud, sono sempre le stesse. E anche se oggi si emigra col trolley, la partenza viene vissuta, senza eccezione, come una sorta di “violenza”. Tant’è, che allo sguardo meticoloso di chi parte, anche gli alberi sembrano piegarsi su se stessi - quasi un inchino - per dare un addio.
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