Venerdì, 20 Luglio 2012 15:17

Sogno di un referendum di mezza estate. E’ giallo sulla consultazione anti-casta

Scritto da Salvatore Albanese
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mini referendumcastaUn dilemma kafkiano che rimbalza da internet agli uffici elettorali di tutta Italia. Una proposta di referendum che c’è ma non si vede. A Genova e Milano la raccolta firme è partita. Anche a Roma. A Bologna pure ma non si trovano i moduli. A Parma, il nuovo sindaco grillino, paladino della democrazia diretta, non ne vuole parlare. Il sud latita, e non è una novità. Un noir mediatico-burocratico-istituzionale di difficile interpretazione. Una raccolta firme enigmatica proposta da un movimento di cittadini che, al di là dei nobili propositi, ce l’ha messa davvero tutta ad accrescere il caos attorno alla questione. Un polverone che non vuole spegnersi e che arriverà presto nelle stanze della Cassazione. Ma andiamo per gradi. Da qualche mese l’Unione Popolare, questo il nome del movimento promotore, sta sostenendo con una forte campagna su internet il ‘referendum anti-casta’. Anche se in realtà il quesito non andrà ad intaccare tutti i privilegi dei politici, ma solo la diaria. E non sarebbe poco: 4.500 euro, più o meno, al mese.

Quasi un terzo degli stipendi di senatori e deputati, corrisposti a titolo di rimborso spese per i soggiorni a Roma durante le sedute di lavoro in Parlamento (spese per albergo, viaggio, colazioni, pranzi, cene ed indennità di trasferta varie).

La proposta, da considerare comunque positiva, sta diventando una vetrina di lancio per l’Unione Popolare. Il sito del movimento è stato infatti preso d’assalto da migliaia di cybernauti anti-casta. Attorno alla questione galleggiano però diversi nodi. Primo tra tutti quello connesso alla strategia di oscurantismo che i mass media stanno adoperando a danno dell’iniziativa. Non ne parla nessuno, se non solo quelli, appunto, dell’Unione Popolare. Fatto abbastanza ambiguo, visto che queste cose nell’epoca dell’antipolitica in genere fanno gola ad editori, politologi e critici della carta stampata.

Oltre al silenzio dei media, emerge la denuncia di diversi cittadini. Negli ultimi giorni in molti, con in una mano il mouse e nell’altra la Costituzione, si sono informati sul referendum, per poi recarsi negli uffici elettorali del proprio comune a sottoscriverlo per partecipare alla raccolta firme (ne servono 500mila per presentare il quesito alla Cassazione). Molti hanno ricevuto picche dai funzionari comunali: “Ma di che moduli parlate? Per quale referendum?” I moduli invece, secondo l’UP sarebbero stati spediti ovunque, ma in molte città, soprattutto del meridione, risultano non pervenuti. Il sito del movimento ribadisce: “La raccolta firme è iniziato il 12 maggio anche nella tua città!” con tanto di contatto telefonico per l’allestimento di stand informativi sul quesito ed eventuali donazioni a sostegno dell’iniziativa.
Di conseguenza, chi in comune non ha trovato i moduli, si allarma, agita fantasmi complottizi, urla sdegnato alla manomissione: “Hanno smarrito i moduli!” ipotizza un cittadino friulano, “C’era un solo foglio per una città di 27mila abitanti” denuncia un toscano. Semplici problemi tecnici?

Ben più grosso il punto interrogativo legato alla validità giuridica dell’iniziativa: si parla di incostituzionalità del referendum stesso. Secondo l’articolo 31 della legge n.352/70, le richieste referendarie vanno depositata almeno un anno prima o sei mesi dopo, la scadenza di una delle due Camere. Si tratta quindi di mancanza di conformità normativa e, di conseguenze, tutte le firme raccolte sarebbero considerate non valide. Qualcuno suppone si tratti di carente conoscenza della legge o, addirittura, di un meschino tentativo dell’UP di farsi pubblicità cavalcando l’onda nichilista dell’antipolitica. Gli organizzatori insistono: "Noi andiamo avanti!”. Speriamo bene. 

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