Domenica, 02 Giugno 2013 11:10

Memoria e coraggio: con la Casa della Cultura rivive la Calabria di Sharo Gambino

Scritto da Angelo De Luca - Sergio Pelaia
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mini sharo_003SERRA SAN BRUNO - Quando a Sharo Gambino chiesero di lasciare la sua terra lui non aspettò nemmeno la fine della frase per rispondere seccamente “no, grazie”. Andarsene dove? E poi soprattutto andarsene per cosa? Per vivere economicamente meglio, per dare più pane e più soldi ai figli, per ricoprire posizioni eccellenti, per annusare l’aria dei salotti buoni, forse per praticare la politica, magari per farla? “No, grazie”, Sharo Gambino resta qui. Dov’è nato e dove l’odore della legna in fumo dai comignoli del paese è come l’oppio delle migliori ispirazioni baudelairiane.

Perché Sharo Gambino aveva bisogno della sua gente così come la sua gente aveva bisogno lui. Sharo Gambino resta qui, nella sua Malifà, perché è qui che lo vogliono i calabresi e la storia.

Già, proprio quella storia che lo consacra definitivamente un 25 aprile di cinque anni fa, mentre si canta “Bella ciao” nelle piazze di ogni città. Sharo Gambino resta qui perché è da qui che avrebbe voluto rinascere dentro due mura di pietre e sudore, con le porte e le finestre spalancate agli amici, ai conoscenti, ai passanti, ai curiosi e addirittura ai nemici. C’è spazio per tutti, la cultura non fa distinzioni e produce verità anche per chi non vuole sentire. Soprattutto per chi non vuole sentire. Certo, per adesso c’è un nome ed un cognome, ci sono le volontà, le passioni e le memorie, aspettando il giorno che verrà per riempire scaffali di libri, stanze di penne, pareti di ricordi.

Nasce e cresce, così come da copione scritto e diretto da lui, tramandato ai figli per bocca di Melina, amata e fedele compagna di vita, che a parlare del marito non si stanca foss’anche passato un giorno di parole. “Sharo – dice con voce musicale, quasi sinestetica – era un puro”. Puro. Puro e non bello, amabile, onesto, tranquillo, dolce, premuroso, cattivo, diffidente o pessimista. Puro. Una vita racchiusa in un aggettivo sempre difficile da affibbiare a qualcuno e una caratteristica sempre più difficile da individuare in qualcuno. No, tutta quella ricchezza non poteva rimanere chiusa ancora a lungo negli scaffali di casa. Un patrimonio culturale di grande valore, frutto di 60 anni di instancabile attività letteraria e giornalistica, non poteva non essere condivisa. La Casa della Cultura, oggi, è nata proprio per questo. Nasce innanzitutto dalla volontà della famiglia Gambino di recuperare, valorizzare e rendere fruibile l’archivio che lo scrittore ha messo in piedi nell’arco della sua vita. Nasce con l’eredità, pesante, di oltre 40 opere da riscoprire, da divulgare. Per rinfrescare la memoria e, possibilmente, per riscrivere la storia.

E infatti, tra gli scopi principali della Casa della Cultura, che non ha finalità di lucro - né tantomeno politiche - c’è la costituzione di un osservatorio permanente che si occupi di cultura, legalità, servizi sociali, ambiente, turismo, lavoro. Per perseguire queste finalità verrà realizzata una biblioteca multimediale, un’emeroteca, un archivio storico e diversi laboratori d’arte e artigianato per il recupero e la valorizzazione degli antichi mestieri. Strutture e servizi saranno - nel solco dell’esperienza di Gambino - fruibili alla collettività, specie alle persone che vivono in contesti marginali e disagiati e che non avrebbero, altrimenti, la possibilità di accedervi. L’associazione si occuperà inoltre della promozione di iniziative di contrasto alla criminalità organizzata: verranno organizzate campagne educative e di diffusione della cultura e della cultura alla Legalità, si collaborerà con le autorità nell'individuazione dei fattori sociali di radicamento e sviluppo dei fenomeni criminali e delle strategie sul piano economico e produttivo per contrastarne i rischi. Tutto ciò verrà realizzato attraverso numerose attività di studio, di formazione e di ricerca sui fenomeni criminali, anche in collaborazione con Enti, Università e Istituti di ricerca.

«È un nuovo tassello nella ricostruzione della Calabria vera», ha commentato ieri, nel corso della presentazione della Casa della Cultura, Sergio Gambino, figlio dello scrittore, che, di concerto con le sorelle e con la madre, sarà il presidente della Casa della Cultura. La Calabria di Sharo è «la più alta, ma anche la più nascosta, quella che dà voce alle classi popolari». Parola di Vito Teti, «fratello minore» di Sharo, che non potendo essere presente ha affidato ad un messaggio – così come Luigi Maria Lombardi Satriani – una toccante descrizione dell’esperienza di vita e di studio al fianco del «cantore delle piccole cose». Una figura, la sua, in cui era impossibile distinguere l’intellettuale dall’uomo perché, ha spiegato Melina Ceraso, sua moglie e compagna di vita, il suo «impegno della presenza sul territorio, della continuità, il suo orgoglio dell’identità calabrese» ha finito per essere un tutt’uno con la sua stessa esistenza.

Il narratore delle Serre, di Nardodipace e delle sue frazioni, di San Demetrio Corone, della Calabria delle minoranze, del brigante Vizzarro, il cultore della poesia dialettale e di protesta, il romanziere, il giornalista d’inchiesta, il saggista, il poeta, ha costruito e lasciato in eredità un «caleidoscopio di culture» che adesso, finalmente – ha commentato l’antropologo Gigi De Franco – può essere condiviso grazie a un «gesto di solidarietà della famiglia» – ha aggiunto il prefetto di Vibo Michele Di Bari – che di certo è in continuità con l’opera dello scrittore. La sua geografia dei luoghi, ha spiegato lo storico Tonino Ceravolo, diventava una «geografia dell’anima», perché Gambino viveva «in maniera quasi fisica» le ferite inferte ai territori che aveva conosciuto e raccontato.

Il giornalista Filippo Veltri e il direttore del Corriere della Calabria, Paolo Pollichieni, incalzati da Pablo Petrasso, hanno discusso del lavoro pionieristico che Gambino fece sulla 'ndrangheta con “La mafia in Calabria”, il primo libro-inchiesta - pubblicato nel 1975 - che ha raccontato in maniera organica il fenomeno, individuando anche la trasformazione che proprio in quegli anni vedeva la 'ndrangheta diventare, da mafia rurale, una vera holding del crimine organizzato, che cominciava ad infiltrarsi nei settori chiave della società e, anche, dello Stato. Pollichieni è partito da una citazione cinematografica («la 'ndrangheta risolve problemi») per tratteggiare il legame permanente tra la criminalità organizzata e alcuni settori dello Stato. E anche i limiti e l'inconcludenza di una certa antindrangheta che interviene «senza fare nomi né segnalare circostanze specifiche e in calce alla nota per la stampa inserisce la partita Iva»). Veltri si è soffermato sul valore storico rivoluzionario de “La mafia in Calabria” («un libro che nel 1975 svelava trame, intrecci e rapporti di forza con una freschezza che oggi non si trova nei tanti, forse troppi, testi pubblicati sull'argomento) e ha avviato una riflessione amara su come «la categoria dei giornalisti, in Calabria, abbia rinunciato a raccontare la realtà affrontandola di persona, come faceva Sharo Gambino». A concludere il dibattito è stato Giovanni Impastato, fratello di Peppino, che ha raccontato la sua esperienza di lotta testimoniando quanto può essere importante coltivare la memoria nell’affermazione della giustizia sociale. Impastato ha tracciato le connessioni tra la figura dello scrittore calabrese e quella di Peppino («che, questo è un particolare praticamente travolto dai fatti e dalla natura dell'impegno di mio fratello, era anche poeta») e ha poi ricordato, con una punta di tristezza, la storia dell'inchiesta sul delitto di mafia che ha colpito la sua famiglia, lo stesso che qualcuno, per anni, depistando e confondendo le acque, ha cercato di far passare per altro.

Gli interventi dei relatori - seguiti dalle toccanti parole di Franco Gambino, fratello di Sharo, di Peppino Lavorato e di Franco Tassone - sono stati intervallati dalle letture di Daniel Cundari, poeta e scrittore, che ha dato voce ad alcuni brani di Gambino e di altri protagonisti della letteratura meridionale che, proprio come l’autore di Sole Nero a Malifà, hanno avuto il coraggio di restare, di vivere in territori di frontiera e di raccontare, con il solo filtro della passione, strade, paesi e storie di una Calabria dimenticata.

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