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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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GONZAGA (MANTOVA) - Esattamente due anni fa e, per l'esattezza, il 20 maggio 2012, una forte scossa di terremoto colpì la bassa Lombardia, nell'area intorno alla provincia di Mantova, causando anche danni ingenti. Tra i comuni più colpiti c'era anche quello di Gonzaga, dove il monumento ai caduti è andato praticamente distrutto. A due anni di distanza, un serrese residente nella zona, Giuseppe Musolino, ha provveduto a riparare i danni causati dal terremoto ed alla ricostruzione del monumento. Tutto a titolo gratuito. E lo scorso 4 maggio, in occasione del raduno dei Bersaglieri per l'anniversario del 20° anno dalla fondazione della sede locale, si è tenuta una cerimonia pubblica, durante la quale è stato, appunto, inaugurato il nuovo monumento ai caduti. Nel corso dell'iniziativa - alla quale hanno preso parte, oltre allo stesso Musolino e ad Umberto Ariganello, altro serrese trapiantato in Lombardia, anche numerose autorità civili e militari - è stata scoperta una targa in memoria del Caporale Bersagliere Giuseppe Musolino, serrese ma nato a Mongiana nel 1912 e nonno del più giovane titolare di una ditta edile che si è prestato per ricostruire gratuitamente il monumento.
Dopo l'alzabandiera e l'inno nazionale, si è proceduto allo scoprimento della targa dedicata al bersagliere serrese, morto nel corso della Seconda guerra mondiale.
Un gesto di generosità e sensibilità, dunque, di cui si è reso autore un figlio della nostra terra, in memoria degli eroi del passato.
Riciclavano autovetture di alta gamma rubate clonando targhe e documenti per poi rivenderle a prezzi concorrenziali. Dieci persone, residenti nel Vibonese e nel Catanzarese, sono state denunciate dalla Polstrada di Vibo con varie accuse, tra cui ricettazione. Nell'ambito dell'operazione sono state sequestrate nel Vibonese nove auto rubate e 800 mila euro. In pratica l'organizzazione clonava numero di targa, telaio, certificato di proprietà e carta di circolazione delle vetture rubate per consentirne la nuova commercializzazione. I provvedimenti sono stati firmati dal gip del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, su richiesta del sostituto procuratore, Santi Cutroneo.
«Qui la ‘ndrangheta non entra» recita retorica la targa della Commissione Regionale Antimafia. Proposta dalla minoranza nel dicembre scorso, dopo un viaggio sofferto quanto una gravidanza, finalmente è arrivata. Ora campeggia sprezzante ed orgogliosa sull’uscio del municipio. Ma i serresi, a dire il vero, non se sono ancora accorti. Forse perché nessuno li ha informati della cerimonia di affissione. O meglio, forse perché la cerimonia non c’è mai stata.
Serra non è chiaramente il primo paese a ricevere la targa, ma è l’unico in tutta la Calabria che prima l’ha richiesta e poi l’ha snobbata. Ad esempio a Villapiana, nel cosentino, venne affissa con tanto di benedizione sacerdotale in presenza delle autorità militari. Dalla Capitaneria di Porto alla Compagnia dei Carabinieri. Dal Prefetto all’Ispettore di Polizia.Era giovedì. Giovedì 15 dicembre, quando il Consiglio Comunale serrese con un’unanimità intrisa di legittimo equilibrio, chiese a S.E. il Prefetto di spedire a Serra la targa con la dicitura “Qui la ‘ndrangheta non entra.”. Un emblema di fiera legalità da affiggere all’esterno del palazzo municipale. Lo propose il consigliere di minoranza Lo Iacono. Un’idea inopinabile. L’assemblea all’unisono approvò compiaciuta: “Questa targa s’ha da fare!” Tutti d’accordo, come ad un matrimonio.
Un gesto importante. Un eloquente segno di ribellione nei confronti del pericoloso sistema che alimenta la criminalità cittadina. Perché proprio l’amministrazione deve essere d’esempio per la comunità, anche attraverso delle semplici azioni simboliche volte a diffondere la cultura della giustizia. Una targa, quattro piccoli chiodi, un grande passo per la legalità.
Certo, sarebbe da stolti, pensare che una semplice affissione possa bastare a rendere immuni da un virus così atroce com’è quello della ‘ndrangheta.Ha sempre parlato di zona grigia, don Ciotti. Lo ha fatto l’ultima volta due giorni fa, a Genova. “Il problema vero – ha detto – è la zona grigia del Paese, perché la forza della mafia non sta dentro, ma fuori dalla mafia, nella zona grigia costituita dalla politica, dal mondo dei professionisti e degli imprenditori”. Secondo don Ciotti, le zone grigie “sono anche nella Chiesa”. C’è una porzione di società, dunque, molto consistente, che fa da cuscinetto, da imbottitura esterna al malaffare, alla criminalità, a ciò che viene comunemente racchiuso nella definizione di mafia. Di zona grigia da colpire, d’altronde, molti magistrati parlano da anni. In Calabria qualcosa, timidamente, comincia a venire alla luce. A squarciare il velo sono stati molti uomini dello Stato coraggiosi, e da ultimo un colonnello dei Ros, Valerio Giardina, che ha condotto le migliori operazioni contro la ‘ndrangheta degli ultimi anni. Ora vedremo se verrà smentito, boicottato, isolato, o se le sue parole, frutto di indagini accurate, serviranno a fare luce su questa famigerata zona grigia. E non si faccia l’errore di pensare che sia un problema di una sola parte politica: la ‘ndrangheta è trasversale, in Calabria sta con chi vince, anzi con chi fa vincere. Ma la zona grigia esiste solo nei contesti metropolitani, o è presente, con un maggiore grado di inabissamento, anche nel profondo della provincia calabrese?
Prendiamo Serra, che domani ospiterà un evento importante, non solo una cerimonia, ma una manifestazione in memoria delle vittime innocenti delle mafie destinata a lasciare il segno. La manifestazione di Libera arriva in un momento particolare, difficile. Serra ha assistito ad un delitto, quello di Pasquale Andreacchi (sequestrato, picchiato selvaggiamente e ucciso con un colpo di pistola in fronte), che, con ogni evidenza, è stato catalogato, un po’ da tutti, come omicidio di serie b. Caso archiviato, nessuno che fa chiasso, un ragazzo massacrato, nessuna giustizia. La zona grigia tace, e chi tace fa parte della zona grigia.
Ma Serra vive un momento particolare anche dal punto di vista politico, ammesso che le questioni a cui si accenna rientrino davvero in questo ambito. Il 29 novembre in Consiglio comunale i vertici dell’amministrazione cittadina hanno affermato che la giunta Rosi è il meglio che si potesse esprimere; meno di un mese dopo, il 22 dicembre, all’improvviso, un assessore che era stato votato a furor di popolo, Bruno Zaffino, viene estromesso dalla giunta con una motivazione banale, solo formale. Nel Consiglio successivo, giovedì 1 marzo, il sindaco comunica l’avvicendamento in giunta, quindi Zaffino prende la parola e dice: “Sindaco, devi avere il coraggio di sviscerare tutta la verità, perché la verità la sai tu, la so io e la sa tutta la maggioranza”. Da allora pesa sulla massima istituzione cittadina un silenzio imbarazzante, inquietante. Anche perché Zaffino era stato cercato, tesserato e candidato. Si aggiunga uno strano annuncio che, col senno di poi, non può che aumentare i dubbi: in una convention elettorale, alla presenza di Scopelliti, l’allora coordinatore provinciale del Pdl Valerio Grillo aveva annunciato che la lista – che poi avrebbe vinto – sarebbe passata al vaglio della prefettura. Invece ciò non è successo, lo ha confermato il prefetto.
Ebbene, quelle parole di Zaffino sono una macchia su tutta la comunità, perché lasciano intendere che dietro la vicenda potrebbe esserci qualcosa di oscuro, di segreto, di inconfessabile. Ma nessuno, dell’amministrazione comunale, da allora ha detto una parola per smentire, per chiarire, per dissipare le nebbie sulla faccenda. E’ tutto molto grigio insomma. Tra l’altro – è un dettaglio che non c’entra nulla, ma che non si può non ricordare, guardando ai temi della manifestazione di domani – il Consiglio comunale, su proposta della minoranza, aveva deciso all’unanimità di affiggere in municipio la targa con la dicitura “Qui la ‘ndrangheta non entra”. Sono passati quasi 4 mesi, e di quella targa neanche l’ombra.
Il Comune ha dato il patrocinio alla manifestazione di Libera, bene: si dia seguito anche alle parole di don Ciotti, si restituisca credibilità alle istituzioni democratiche. Si faccia, in concreto, luce sulle ombre che in molti, troppi, fanno finta di non vedere.
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