Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Gli ospedali di montagna calabresi, com'è noto, sono stati riconvertiti per effetto del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, e ad oggi sono stati ridimensionati dai decreti licenziati dal commissario ad acta Scopelliti. Intanto, in attesa della conclusione della fase di riconversione, prevista per il 31 marzo 2012, questi ospedali (Serra San Bruno, Acri, Soveria Mannelli e San Giovanni in Fiore) sono stati ridotti a solo 20 posti letto di medicina, il che sta provocando tantissimi disagi per le popolazioni montane che si sono viste chiudere nel giro di pochi mesi molti reparti. Diversi sono stati anche i movimenti di protesta, culminati con la manifestazione svoltasi il 2 dicembre di fronte alla sede del Consiglio regionale su iniziativa del Co.mo.cal., sodalizio che riunisce i comitati civici dei quattro paesi sede di ospedali di montagna. Molto attivi, anche in quella occasione, sono stati i sindaci del Reventino, che di recente si sono recati a Roma ad incontrare Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori e i disavanzi in campo sanitario, al quale hanno posto la questione degli ospedali di montagna calabresi e, in particolare, del nosocomio di Soveria. A Serra San Bruno invece la politica, a cominciare dal sindaco Bruno Rosi, dorme e non fa nulla - fatta eccezione per qualche intervento osannatorio e trionfalistico sulla stampa - mentre gli unici ad alzare la voce per chiedere che venga rispettato il diritto alla salute dei serresi sono stati, finora, gli attivisti del Comitato civico Pro-Serre, che pare stiano preparando una nuova clamorosa protesta per le prossime settimane.
Di seguito la nota diffusa dai sindaci di Soveria Mannelli, Decollatura, Conflenti e Tiriolo: "Su istanza del sindaco di Soveria Mannelli, Giuseppe Pascuzzi, supportato dalla rete dei 24 sindaci di Bianchi, Carlopoli, Cicala, Colosimi, Conflenti, Decollatura, Falerna, Gimigliano, Gizzeria, Martirano, Martirano Lombardo, Miglierina, Motta Santa Lucia, Nocera Terinese, Panettieri, Pedivigliano, Platania, Taverna, Tiriolo, San Pietro Apostolo, Serrastretta, Scigliano, Sorbo San Basile, la delegazione formata dai sindaci di Soveria Mannelli, di Decollatura, Anna maria Cardamone, di Conflenti, Giovanni Paola e di Tiriolo, Giuseppe Lucente, con i consiglieri regionali Domenico Talarico e Giuseppe Giordano, è stata ricevuta dal Presidente della Commissione di Inchiesta sugli errori e disavanzi in campo sanitario regionale, on.le Leoluca Orlando, presso l'ufficio di Presidenza a Palazzo San Mucato, sede di alcune commissioni della Camera dei Deputati a Roma, alla presenza di alcuni esponenti della deputazione calabrese che compongono la Commissione. I sindaci, nel profondo rispetto delle competenze della Regione Calabria e segnatamente del Commissario ad acta per il rientro dal deficit sanitario, così come di quelle in capo alla medesima Commissione, hanno sollevato un problema di coerenza del procedimento di attuazione del piano di rientro adottato con delibera commissariale nr.18 del 22/10/2010, rispetto alle indicazioni fornite dalla stessa Commissione, nel documento approvato il 14/07/2011, con il quale si indirizzava il Commissario, fermo l'obiettivo del rientro dal disavanzo, verso la tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito, unitamente ai LEA, soprattutto per le aree disagiate interne e di zona montana e pre montana. Tra le diverse istanze, che muovono tutte nell'alveo dello stesso piano di rientro, sono state formulate quelle di verificare quale debba essere il modello di spedalità più consono a quello di montagna, se il GENERALE, il DISTRETTUALE o il CAPT; se vi sia una effettiva necessità di un così drastico ridimensionamento del Presidio di Soveria Mannelli a fronte della tenuta dei conti e del bilancio positivo registrato invece con la struttura a pieno regime di operatività; se vi sia coerenza ed opportunità nelle scelte effettuate rispetto ad una struttura che è stata recentemente destinataria di importanti e costosi interventi di adeguamento strutturale che hanno interessato interi reparti e le sale operatorie; se vi sia o meno una oggettiva ed intrinseca criticità nella scelta commissariale di aver proceduto alla riconversione ed alla chiusura di reparti, funzioni e servizi, senza farla precedere dal propedeutico ed imprescindibile adeguamento della rete territoriale e dell'emergenza; se, in una interlocuzione con il Tavolo Massicci, possa essere definito se il rientro dal disavanzo della Regione Calabria possa essere ragionevolmente conseguito senza comprimere eccessivamente un'offerta sanitaria di qualità nel rispetto dei LEA da garantire alle zone interne, svantaggiate montane, e quindi salvaguardando l'Ospedale Civile di montagna di Soveria Mannelli. In accoglimento delle istanze si è convenuto di attivare ufficialmente l'Ufficio di Presidenza con il plenum dei componenti della Commissione per predisporre un documento che richiami il Commissario ad acta sulle questioni sollevate, sollecitando finanche il ripristino della funzionalità ospedaliera del Presidio di Soveria Mannelli, al fine di verificarne, in un arco di tempo da definirsi, l'efficenza sia sul piano dell'offerta sanitaria che su quello della tenuta dei conti, nella prospettiva più complessiva del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale. Non ha molto senso assumere, infatti, che la chiusura dell'importante Presidio sarebbe stata decisa dagli stessi cittadini che si sarebbero rivolti altrove per essere curati, quando in realtà l'ospedale é stato privato da qualche anno della sua piena operatività, costringendo gli utenti a dirigersi verso altri presidi ben più lontani accollandosi i relativi rischi".
L'ex governatore della Calabria, Agazio Loiero, attuale coordinatore politico nazionale della federazione tra MPA ed Autonomia e Diritti, punta il dito su alcune presunte nuove assunzioni nel comparto della sanità Calabrese. Loiero afferma "Non so se è vera la notizia di nuove assunzioni di personale presso alcune aziende sanitarie o ospedaliere calabresi. Se fosse vera sarebbe grave, considerate le dichiarazioni di Scopelliti a Porta a Porta subito dopo la vittoria, secondo il quale io avrei fatto un numero scellerato di assunzioni, laddove invece mi sono limitato a stabilizzare dei precari, soprattutto a Reggio Calabria. Precari che, in mancanza di stabilizzazione, avrebbero comportato il rischio di chiusura di strutture di prima necessità, a partire dal Pronto soccorso. Detto questo, da quello che mi risulta – continua l'ex presidente - non capisco come è possibile che in questa grave situazione economico-finanziaria siano state assunte in maniera stabile ed in pieno piano di rientro 200 persone circa, col pretesto di coprire un limitatissimo turnover (ferie, malattie…), sulla base di un invito del Direttore del Dipartimento rivolto alle aziende. Ovviamente, se questa notizia venisse confermata, Massicci chiederà la testa del Direttore Generale. Quello che oggi mi chiedo - ha chiuso LOIERO - è: Che succederà? E soprattutto: quale politico aveva il potere di avallare questa situazione? Perché è davvero singolare che siano sempre i dirigenti, in momenti così delicati, ad assumere iniziative senza il plauso della politica. Ed è davvero incredibile che ogni volta si scarichi tutto sulle spalle dei dirigenti”.
Non accenna a placarsi il botta e risposta a distanza tra il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti e il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. La polemica era nata in seguito ad un'intervista rilasciata a Il Giornale, durante la quale Scopelliti aveva commentato alcune dichiarazioni in merito alla proposta lanciata dal collega lombardo di trasformare il PDL in un partito federalista. ''Il Pdl federale? Sarebbe una scelta fallimentare soprattutto se andasse ad incidere sulla leadership. - asseria il governatore calabrese - Un'articolazione del Pdl che fotografi una sorta di spaccatura tra Nord e Sud non avrebbe davvero senso. Il nostro e' un partito nazionale e come tale deve avere un leader nazionale, si potrebbe invece riflettere sul ruolo dei coordinatori. Li vedrei bene a capo di tre macroaree: nord, centro e sud. Potrebbero rappresentare un collante tra i territori e il livello nazionale''. Immediata la replica di Formigoni che, attraverso una nota stampa e senza giri di parole, risponde: ''vedo che il collega Scopelliti fa un po' di confusione su che cosa sia un partito federalista. Poco male, qualcuno gli schiarira' le idee. Occorre pero' sapere che un partito federalista e' il contrario di un partito con una doppia leadership. -ed ancora - Il partito federalista e' il partito nazionale che rappresenta e difende gli ideali e gli interessi dei territori del nord e del sud, valorizzando pero' le forti autonomie di questi territori. E' il contrario di un partito ingessato e' invece un partito unitario, articolato, proiettato al futuro''.
L'atmosfera natalizia, che dovrebbe infondere un po' più di pace e serenità, non ha effetto sui due che, pur scambiandosi gli auguri di un buon 2012, continuano a battibeccare attraverso la stampa. ''Al collega Formigoni, al quale invio i miei auguri per un buon 2012, confermo che ho le idee ben chiare sul futuro del Pdl, ma forse lui ha travisato il contenuto della mia intervista. – Questo quanto affermato da Giuseppe Scopelliti come contro-replica - Non e' dividendo il partito in due tronconi, con uno del Nord che dialoga con la Lega come ha ipotizzato qualche giorno fa lo stesso presidente della Lombardia in un'intervista a Il Giornale - prosegue - che si ottimizza il rapporto sul territorio e si vincono le elezioni, tantomeno quelle locali da sempre soggette a logiche politiche particolari. Per evitare confusione nei rapporti e il proliferare di nuovi inutili incarichi nel partito ho semplicemente ribadito che e' fondamentale avere un solo interlocutore nazionale, che oggi e' Angelino Alfano, ottimizzando, ed e' qui la mia proposta, il ruolo dei tre coordinatori nazionali. Dove e' la confusione?. – conclude Scopelliti - Io vedo semmai una ragionevole razionalizzazione dei compiti in vista delle elezioni amministrative e nazionali che possono rendere il Pdl piu' forte e vicino alla gente''. Dal canto suo Roberto Formigoni rimane fermo sulle proprie posizioni e non lesina l’ennesima risposta: “L'ultima dichiarazione di Scopelliti conferma che una qualche confusione il mio collega, al quale ricambio di cuore gli auguri, l'ha fatta. Infatti, non ho parlato di Pdl diviso in due tronconi, in nessuna mia dichiarazione, come il collega Scopelliti puo' facilmente verificare. Il federalismo, e questo Scopelliti lo sa perche' ne e' un buon conoscitore, non e' la caricatura che ne fanno i nostri avversari, ma e' l'estrema valorizzazione dei diversi territori in un'ottica unitaria. E cosi' dovra' sempre fare il Pdl''.
Tra gli addetti ai lavori e coloro che riescono a tradurre bene dal politichese, si fa sempre più strada l’idea che questa bagarre natalizia potrebbe celare altri scenari, che ben poco hanno a che fare con la visione unitaria o federalista del partito. Secondo alcuni infatti il presidente Scopelliti, già coordinatore regionale del partito, mirerebbe ad accaparrarsi la completa gestione del PDL meridionale. Questo ipotetico piano però sarebbe minato dagli imbarazzanti problemi giudiziari con i quali deve fare i conti il PDL calabrese e che tante preoccupazioni stanno suscitando all’interno dei palazzi romani.
«C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio». Uno dei passi salienti de “La lentezza”, il romanzo in cui Milan Kundera descrive la nostra epoca «ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità; se accelera il passo è perché vuole farci capire che oramai non aspira più ad essere ricordata; che è stanca di se stessa, disgustata da se stessa; che vuole spegnere la tremula fiammella della memoria». Un passo chiaro, esplicativo di un’età ed un tempo costretti a convivere con lo spettro dell’oblio. Nel momento in cui la tecnologia offre apparentemente un’illimitata possibilità di preservare il passato, si registra una grande propensione a dimenticare. Un’esistenza, la nostra, invasa dall’informazione e dalla cronaca quasi mai destinata a diventare storia. Episodi clamorosi, sui quali l’enfasi mediatica esercita la propria sconfinata energia, lasciano presto il passo al demone invisibile della “velocità”. Uno spettro al quale non sembra sfuggire nessuno, a partire dalle piccole comunità, nelle quali per secoli il racconto orale ha tramandato il ricordo di eventi lontani, di fatti senza tempo. Ciò che spesso oggi manca è, quindi, la memoria a breve termine, il vissuto quotidiano destinato a non divenire mai storia. A volte però esercitare il ricordo diventa una forma di dovere. A poco più di un quarto di secolo, un tempo relativamente breve, viene per esempio da chiedersi dove sia finita quella che i serresi, con una locuzione dialettale, avevano battezzato “la Spera randi”. Un magnifico ostensorio sparito e mai più ritrovato. Il furto, compiuto a Serra San Bruno, nella notte del 18 novembre 1982, all’epoca lasciò inebetita l’intera cittadina. A distanza di anni, il ricordo sembra invece affievolirsi, a tratti addirittura svanire. Eppure non si tratta di un’opera minore. L’ostensorio rappresentava uno dei più grandi capolavori dell’arte calabrese. Era stato realizzato a Napoli, nel 1820, presso la fonderia Russo, ad opera dell’artista serrese Domenico Barillari. Un autentico capolavoro, capace di suscitare l’ammirazione del «Presidente della Accademia delle Belle Arti e disegno D. Costanzo Angelici il quale – nel vedere il modello, secondo il resoconto fatto per la “Platea”, da don Domenico Pisani, avrebbe manifestato - la grande sua meraviglia dicendo: non essere credibile essere quella Opra, parto d’Ingegno Calabrese». Un oggetto artisticamente imponente, del quale, Domenico Pisani, in un breve saggio dal titolo “Vita e opere di Domenico Barillari” ha scritto: «L’opera è curata in ogni dettaglio e si presenta ricca di particolari: il piede e decorato da foglie di acanto che si accartocciano e da un tralcio di vite che si insinua intorno alla base e si ripete più in alto. Una perlinatura dorata scorre parallela ad un serto di alloro disposto in fascia mentre, al di sopra, volute fitomorfe fanno da base, sul recto, a tre statuine a tutto tondo che rappresentano la Fede, la Speranza e la Carità e, sul verso, all’Agnus Dei». Il suo grado di perfezione aveva indotto gli artisti serresi del tempo a diffondere la leggenda secondo la quale l’autore, per evitarne la riproduzione, avrebbe gettato in mare il modello ligneo. Alto 112 centimetri e largo 40, del peso di 33 libbre , quasi sei chili, venne trafugato dalla chiesa dell’Addolorata. Oltre all’ostensorio il furto interessò una pisside ed alcuni calici in argento, un crocifisso in avorio ed una statuetta della Madonna. Ad agevolare il lavoro dei ladri, la presenza, all’epoca dei fatti, di una distesa di piccoli orti collocata alle spalle della chiesa. Dal luogo in cui oggi sorge il parcheggio di piazza Tozzo i malviventi poterono introdursi indisturbati nell’edificio di culto, dopo aver segato le sbarre di una finestra che dava nella sacrestia. Sul luogo, i carabinieri rinvennero, numerose cicche di sigaretta, segno che l’operazione andò avanti per diverse ore, alcuni seghetti, una pinza e un paio di cacciavite. La chiesa dell’Addolorata, del resto, già in passato aveva attirato le attenzioni degli “amanti” di arte sacra. Come riporta il resoconto di un cronista che all’epoca si occupò del furto dell’ostensorio, «Nel ’73 in pieno giorno [venne] asportata una tela di notevole valore artistico, opera dell’artista serrese Salomone Barillari. Qualche anno fa ci fu un altro furto. In quell’occasione vennero asportati numerosi oggetti d’arte di notevole valore che non sono mai stati recuperati». Un patrimonio artistico particolarmente ricco quello custodito a Serra San Bruno, dove, già tra Sette e Ottocento si erano segnalati gli appetiti sacrileghi dei ladri. A partire dal terremoto del 1783 iniziò ad essere saccheggiato ciò che rimaneva della Certosa. Furti e ruberie, descritti in un saggio di Bruno De Stefano Manno, nel quale si risale al movente dell’omicidio, consumato nel 1844, di un certosino di origine francese, padre Arsenio Compain che avrebbe pagato con la vita il desiderio di recuperare le opere d’arte trafugate dal monastero. Oggetti ed arredi sacri spesso finiti nelle case di facoltose famiglie del circondario. A riprova le tante abitazioni sulle quali spesso campeggiano fregi ed ornamenti risalenti all’antica fabbrica certosina. Le tracce dell’ostensorio sembrano, invece, essere irrimediabilmente svanite, a dispetto del riscatto offerto, nell’immediatezza dell’evento, dalla confraternita dell’Addolorata. Sulla “Spera randi” pare essere lentamente calato il velo dell’oblio. Eppure in molti all’epoca ritenevano che l’ostensorio non avesse mai lasciato Serra, custodito in un luogo sicuro, dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo.
La ricorrenza più importante della cristianità, quella che celebra la nascita di Cristo, ha origini antiche. La storia rimanda ad un tempo remoto che precede l’avvento del cristianesimo. Una festa periodica di rinnovamento, celebrata a tutte le latitudini per simboleggiare la chiusura di un ciclo annuale e l’inaugurazione di quello successivo. Una tradizione diffusa presso molti popoli pagani faceva coincidere, infatti, con il periodo tra il 15 ed il 25 dicembre il momento più significativo dell’anno. I romani ad esempio tra il 17 ed il 25 celebravano i Saturnalia, i giorni di festa legati all’agricoltura e dedicati al dio Saturno. I Saturnalia precedevano il momento di passaggio e di rinnovamento rappresentato dal solstizio d’inverno. La nascita del nuovo sole rappresentava una tradizione particolarmente diffusa nel nord Europa, dove la celebrazione era legata all’abete, l’albero sempreverde nel quale rifulgono i raggi del sole appena nato. La festività romana che però presenta maggiori affinità con il Natale cristiano e quella del “sol invictus” in onore di Mytra, la divinità alla quale, secondo alcuni studiosi, la tradizione cattolica sarebbe particolarmente debitrice per la filiazione di tutta una serie di riti ed apparati liturgici. La ricorrenza del Natale entra quindi lentamente nella tradizione religiosa cristiana. Una festività che nello spirito di una religione universalista come quella cattolica, con il trascorrere del tempo e la diffusione del verbo di Cristo in tutto il mondo, si arricchisce di nuovi apparati sincretici che racchiudono spesso tradizioni pre cristiane di chiara derivazione pagana. L’agrifoglio, ad esempio, con il quale vengono spesso decorate le abitazioni, rappresenta un’antichissima usanza legata alla credenza che le foglie acuminate avessero il potere di scacciare gli spiriti maligni. Legata alla cultura celtica è invece l’usanza di appendere il vischio sull’uscio di casa. I Druidi, i sacerdoti celtici, oltre ad attribuirgli poteri magici e curativi, sostenevano che i nemici che si incontravano sotto una pianta di vischio dovessero deporre le armi. Per tale motivo si è diffusa la credenza che la sua esposizione garantisca pace e serenità. Molto più recente invece il ricorso alla stella di Natale, introdotta negli Stati Uniti e successivamente in Europa, dal Messico, nel 1825, dall’ambasciatore Joel Robert Poinsett. Tutta italiana, invece, l’usanza del presepe, la cui origine è attribuita dalla tradizione a San Francesco d’Assisi che, nel 1223, nel convento di Greccio, fece celebrare la messa su una mangiatoia adibita ad altare, tra un asino ed un bue vivi al cospetto della gente del villaggio. In seguito i francescani ed i domenicani promossero la costituzione di presepi che lentamente si diffusero in tutt’Italia. Il più antico presepe risale al 1280 ed è quello scolpito da Arnolfo di Cambio e custodito oggi nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. E’ però tra il sei ed il settecento che il presepe diventa un’autentica forma d’arte arricchendosi di personaggi, angeli e gente comune. Tuttavia anche la tradizione del presepe non è immune da un retaggio molto più antico. Secondo la tradizione etrusca e latina gli antenati defunti venivano rappresentati da statuette di terracotta, i lari, cui veniva assegnata la funzione di vegliare sul buon andamento della famiglia. Intorno al IV secolo il rito venne mutuato da cristiani che alle immagini dei lari sostituirono quelle dei componenti della sacra famiglia. Una festa ricca di simboli e significati, elaborati da culture diverse, che sopravvivono oggi nelle differenze di una tradizione gastronomica che nel periodo natalizio riesce ancora a testimoniare tutti i tratti ed i sapori di un tempo.
Si parla di una possibile interruzione di servizi essenziali, addirittura di prestazioni "salvavita". Disagi in molti reparti, scomparsa di molte attività ambulatoriali, rischio paralisi per l'intero sistema sanitario della provincia di Vibo: è quello che potrebbe succedere se l'Asp, come sembra, non prorogherà i contratti del personale precario che presta servizio nelle strutture sanitarie pubbliche del Vibonese. Mancano quattro giorni alla scadenza del 31 dicembre e, a quanto pare, l'Asp, guidata da una Commissione ministeriale nominata dopo l'accertamento di condizionamenti mafiosi sull'attività dell'ente, non ha prorogato i contratti dei medici che, seppur precari, svolgono quotidianamente servizi essenziali per gli utenti della provincia. Già venerdì scorso con una nota del direttore sanitario Mario Tarabbo è stato comunicato il licenziamento di 21 medici in servizio nelle unità operative e di 10 unità di comparto, dunque all'orizzonte si profilano nuovi disagi e disservizi per un territorio che è già stato privato di numerosi servizi e presidi di salute. Stamattina, intanto, si è svolta nel capoluogo di provincia una manifestazione di protesta organizzata e sostenuta dal Comitato dei precari e da tutte le organizzazioni sindacali di categoria (Anaoo, Anpo, Cgil medici, Cisl medici, Uil medici, Cimo, Fvm). Il corteo è partito intorno alle 10 dall'ospedale Jazzolino per poi raggiungere il palazzo della Provincia. I responsabili sindacali (Carlo Trusciello, Enzo Natale, Valerio Manno, Antonio Pugliese, Enzo Scaramozzino, Pietro David, Enzo Maiolo) sostengono che i licenziamenti sono la conseguenza del piano di rientro, parlando di decisione "grave ed irresponsabile" che determinerà, appunto, "l'interruzione di servizi essenziali, alcuni letteralmente salvavita". Sulla questione sono intervenuti anche i consiglieri regionali vibonesi Nazzareno Salerno (Pdl, presidente della Commissione sanità) e Bruno Censore (Pd). Di seguito le dichiarazioni che hanno rilasciato in merito ai licenziamenti.
“In una fase particolarmente delicata per la Sanità calabrese - si legge in una nota congiunta di Salerno e del senatore Bevilacqua - in cui è di vitale importanza garantire i Livelli essenziali di assistenza, dobbiamo purtroppo registrare che l’Asp di Vibo, sottoposta a commissariamento per le ben note vicende, anziché attivarsi prima e meglio delle altre Aziende, è l’unica realtà che non ha provveduto a prorogare i contratti dei precari. Si tratta di una circostanza spiacevole e poco comprensibile anche alla luce delle disposizioni dell’Ufficio del Commissario per il Piano di rientro, che ha dato il via libera alla proroga, delle indicazioni del Dipartimento Tutela della Salute e della risoluzione approvata in Commissione Sanità nella quale viene evidenziata la necessità di procedere in tal senso in tempi rapidi. In effetti - proseguono Salerno e Bevilacqua - tutte le Aziende calabresi hanno capito la rilevanza del ruolo dei soggetti interessati dalla questione, rendendosi conto delle devastanti conseguenze che scaturirebbero dall’eventuale assenza di questo personale e hanno operato con celerità. Tutte tranne l’Asp di Vibo che insiste nel proseguire con modalità gestionali che non si addicono né al momento storico né alla situazione di Vibo e del Vibonese, dove, per quanto accaduto negli ultimi anni e per le inefficienze strutturali, ci sarebbe stato bisogno di interventi decisi e tempestivi atti a rimuovere tutte le criticità esistenti e a dare l’esempio di come doveva essere gestita l’Azienda in termini di efficacia, trasparenza e prontezza. La disponibilità mostrata durante l’audizione in Commissione Sanità dell’Ammiraglio Tarabbo non ha dunque avuto seguito anche perché, spesso e stranamente, ci si attarda nell’aspettare autorizzazioni superflue che nessuna altra Asp della Calabria ha richiesto. È opportuno sottolineare che gli ordini di scuderia tesi ad organizzare i metodi, i meccanismi e le turnazioni per sostituire questi precari, dando per scontata la mancata proroga, non fanno altro che peggiorare le condizioni tanto del personale, costretto a massacranti sacrifici che con ogni probabilità ne intaccano la lucidità e si riflettono sulla produttività, quanto dei pazienti che vedono diminuire ulteriormente la qualità dei servizi. È facile prevedere - è la conclusione del consigliere regionale e del senatore del Pdl - qualora sarebbe impedita la continuità lavorativa dei precari, la materializzazione di uno scenario terrificante in una provincia in cui rimarrebbero poche tracce di buona Sanità e innumerevoli disagi che produrrebbero la crescita esponenziale dell’emigrazione sanitaria. Ci preme pertanto ribadire che è assolutamente indispensabile prorogare i contratti dei precari per non demolire l’offerta di prestazioni sanitarie e per non penalizzare, attraverso scelte che paiono inspiegabili, tutti i cittadini vibonesi che, è utile ripeterlo, si aspettavano una fase di rilancio e non di decadenza da una commissione venuta per fare ordine e pulizia e non per dare prova di sorprendente immobilismo”.
«In un territorio quale quello Vibonese, dove il diritto alla salute è stato pesantemente messo in dubbio dai tagli alle strutture ospedaliere, non è più possibile assistere all’incessante depauperamento strutturale, qualitativo e professionale dei servizi sanitari che rischia di acuire una situazione grave, che potrebbe sfociare in una vera e propria emergenza». E’ quanto afferma il consigliere regionale Censore, che invita i vertici dell’ASP di Vibo Valentia e Scopelliti, in qualità di Commissario ad Acta per l’attuazione del Piano di Rientro, a spingere sull’acceleratore per sanare una situazione che rischia di non garantire ai fruitori dei servizio sanitario pubblico, ossia ai cittadini, prestazioni sanitarie all’altezza e di mortificare tantissime professionalità qualificate. «Il prossimo 31 dicembre - spiega Censore - scadranno i contratti dei precari che da anni lavorano al servizio del sistema sanitario. Si tratta di figure professionali indispensabili per garantire anche in provincia di Vibo Valentia l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza. Nelle scorse settimane, nel corso del question time che ha preceduto una delle ultime sedute consiliari, rispondendo all’interrogazione presentata dal sottoscritto assieme ai collegi Guccione, Aiello e De Gaetano, in nome e per conto del Governatore Scopelliti, il Vicepresidente della Giunta regionale, on. Antonella Stasi, aveva garantito l’impegno della Regione ad affrontare prima e a risolvere poi la vicenda dei precari della sanità calabrese e quindi vibonese. Un ulteriore passo in avanti nella complessa vicenda si è registrato proprio nei giorni scorsi quando, grazie anche e soprattutto alle pressanti richieste e alla meritoria opera di sensibilizzazione dell’opposizione consiliare, la terza commissione regionale, all’unanimità, ha licenziato un Atto di Indirizzo con il quale si richiede la proroga di tutti i contratti dei lavoratori precari. Eppure, ciononostante, nel Vibonese non si è mosso nulla per il rinnovo dei contratti in scadenza: l’angoscioso conto alla rovescia, dunque, è già iniziato e se nel giro di pochi giorni non si troverà un’adeguata soluzione sulla falsariga di quanto avvenuto in altre province, a Vibo Valentia 31 figure professionali, cui va la mia vicinanza politica ed istituzionale, di cui 21 medici che ad oggi hanno garantito l’attività di reparti come oculistica, otorinolaringoiatria, oculistica, medicina, urologia e nefrologia, saranno costretti a cessare il rapporto con l’Azienda Sanitaria Provinciale, con pesanti ripercussioni per l’utenza e per i servizi erogati. Insomma - conclude Censore - l’immediata proroga dei contratti in scadenza è un’impellente necessità, dinanzi alla quale i vertici dell’ASP di Vibo Valentia e il Commissario ad Acta per l’attuazione del Piano di Rientro, ai quali ricordo che i cittadini e il loro diritto alla Salute devono essere al centro della Sanità, non possono più tergiversare. Scopelliti deve al più presto autorizzare, con atti tangibili e formali, la proroga dei contratti e i vertici dell’Azienda Sanitaria Provinciale devono al più presto attivarsi, sulla falsariga di quanto fatto dalle altre ASP calabresi, per prorogare i contratti in scadenza e per scongiurare, così, il rischio che continui quell’incessante processo di depauperamento strutturale, qualitativo e professionale dei servizi sanitari in provincia di Vibo Valentia».
La Calabria, con le sue vestigia di un passato che spesso sembra non voler passare, racchiude nella parte più nascosta e misteriosa del suo seno luoghi, eventi, fatti, misfatti e circostanze che, pur avendone tratteggiato il destino, sembrano essersi definitivamente smarriti nel lento, ma sornione ed inesorabile divenire del tempo. Una regione fatta di storie senza storia, di racconti senza narratori, di romanzi senza romanzieri. Ciascuno conserva qualche episodio tramandato più della memoria orale che dal rigore scientifico degli amanti di Clio. E così a sopravvivere sono storie antiche, a volte remote, di cui si è perso però il pur minimo riferimento documentale. I greci, gli arabi, i bizantini, i normanni, se non fosse per qualche toponimo è come se non ci fossero mai stati. I luoghi della memoria giacciono negletti, abbandonati, come se avessero la colpa di far ricordare un passato più incerto ma meno aleatorio del vuoto e grigio presente. In un contesto in cui alla memoria collettiva si è spesso sostituita l’immagine folcloristica da sagra paesana è sempre più difficile elaborare un processo storico condiviso in grado da fungere da volano turistico. Mentre altrove si scrivono storie, si rielabora il passato e si valorizzano territori, in Calabria, al contrario, si lascia agonizzare lentamente quel che di buono è scampato alla furia dei terremoti, all’impeto delle alluvioni, alle scorrerie di vecchi e nuovi predoni. Nella parte più alta di monte Pecoraro, da dove è possibile scorgere le increspature dello Jonio e le arsure della vallata dello Stilaro, sorge ancora quel che rimane di Ferdinandea. Un nome evocativo, dal quale traspare inequivocabile l’origine Borbonica. Correva l’anno 1833, quando veniva inaugurato quello che molti per troppo tempo erroneamente riterranno il casino di caccia di re Ferdinando II. Al contrario, l’imponente realizzazione edificata nel cuore della montagna, tra superbi abeti e faggi secolari, costituiva il nucleo secondario di una ferriera, succursale degli stabilimenti siderurgici di Mongiana. Il nuovo insediamento rappresentava una scelta piuttosto felice dei tecnici borbonici che, evidentemente, avevano metabolizzato la teoria del vantaggio competitivo elaborata da Adam Smith. Il luogo individuato aveva, infatti, caratteristiche del tutto peculiari. Ad un tiro di schioppo dai monti Stella e Cosolino, dai quali per secoli era stato estratto il minerale di ferro che aveva alimentato tante rudimentali ferriere, nel cuore di un bosco dove abbondava il legname necessario ad alimentare gli altiforni, a pochi metri da corsi dai corsi d’acqua indispensabili nelle diverse fasi della lavorazione. Del resto qualche anno prima dell’edificazione di Ferdiandea, tra ‘7 e ‘800, a Piano della Chiesa, a poche centinaia di metri dal più recente insediamento, era attiva una piccola comunità dedita alle attività siderurgiche. Di quel minuscolo villaggio, perso tra le selve delle Serre, oggi non sopravvivono che pochi resti. Un’edicola incastonata nel muro di quel che doveva essere un modesto edificio di culto ed un magnifico altoforno a manica, forse l’unico esemplare al mondo, avvolto e coperto dalla fitta vegetazione cui, con ogni probabilità, va attribuito il merito di averlo risparmiato dalle poco amorevoli attenzioni dei soliti cacciatori di frodo. Che in questo sito l’attività dovesse essere piuttosto intensa lo testimoniano le centinaia di scarti di lavorazione che, ad oltre due secoli di distanza, è ancora possibile raccogliere sul terreno coperto dalle foglie. Nel corso della sue breve esistenza produttiva, Ferdinandea seguì inevitabilmente la stessa sorte toccata a Mongiana costretta a chiudere subito dopo l’unità d’Italia. Il 27 agosto 1860 un contingente garibaldino circondava e requisiva gli stabilimenti siderurgici. Un evento che segnerà il de profundis per uno dei primati produttivi del sud Italia. I nuovi padroni ben presto si dimostrarono assai meno caritatevoli di quelli appena scalzati. Estinte le attività proto-industriali, Ferdinandea nel corso degli anni avrebbe conosciuto il suo definitivo canto del cigno. Nel 1874 l’immensa tenuta diventava proprietà del garibaldino Achille Fazzari, che l’acquistava all’asta, insieme agli stabilimenti di Mongiana ed a diversi beni accessori. Nel corso degli anni “don Achille” fece di Ferdinandea la sua ricca e lussuosa dimora, nella quale, tra gli altri, soggiorneranno il fondatore del “Il Mattino di Napoli” Edoardo Scarfoglio e la di lui moglie, Matilde Serao. E proprio la scrittrice partenopea nel settembre del 1886, su “Il Corriere di Roma”, accostava Ferdinandea al leggendario “castello incantato di Parsifal”. Fazzari aveva fatto della sua dimora una sorta di eterogeneo e caotico museo. Nel suo “ Tra le foreste di Ferdinandea. Casa Fazzari”, pubblicato a Prato nel 1906, il Cunsolo parla di «opere d’arte acquistate all’asta, insieme ad altre di dubbia provenienza: una nutrita serie di vasi di terracotta ed anfore greche, il sarcofago di marmo di Ruggiero il Normanno sottratto ai ruderi della certosa e, probabilmente proveniente dalla cattedrale di Mileto, un busto dello stesso personaggio ed altri minori che circondavano il sarcofago, il busto di Napoleone fatto dal Canova e regalato dallo scultore a sua sorella Paolina, il letto in cui Napoleone dormiva all’Elba, un disegno di Raffaello Sanzio, due preziosi organi del Barbetta, uno stupendo mobile ad intarsio stile Luigi XV ed una collezione di Pergamene antichissime». Oltre alla “cura” del patrimonio artistico, a Ferdinandea, Fazzari, intanto divenuto deputato, aveva riavviato, dopo averla riammodernata, la vecchia segheria borbonica che, nel 1892, era stata dotata di una dinamo elettrica necessaria a movimentarne le attrezzature. E proprio nei boschi di Ferdinandea sorgerà nel 1910, ad opera di Cino Canzio compagno della figlia di Fazzari, Elsa, la prima azienda idroelettrica della zona. Nel corso degli anni la proprietà passerà più volte di mano, tanto che delle attività produttive non sopravviverà che l’attuale fonte della Mangiatorella e l’industria boschiva, peraltro privata dal valore aggiunto costituito dalla lavorazione del legname. Per il resto, un lento inesorabile declino testimoniato dagli immensi capannoni abbandonati ed ormai cadenti, dagli alloggi per gli operai e dal nucleo centrale sul quale incombe inesorabile la scure del tempo. I tanti visitatori, che ancora oggi si avventurano sui luoghi che potrebbero rappresentare il fulcro di un percorso organico di archeologia industriale, subiscono la stretta al cuore di chi vede lentamente svanire il patrimonio di una regione che stenta a comprendere che lo sviluppo turistico passa dal recupero della sua storia.
La Provincia vara il nuovo piano di dimensionamento scolastico: "un risultato importante" secondo l'assessore al ramo Pasquale Fera (foto), "un'ingiustizia", invece, secondo alcuni dirigenti scolastici e amministratori locali che ieri hanno protestato nel corso della seduta dell'assemblea che ha visto l'approvazione del piano. Tra chi sta protestando vibratamente contro il provvedimento, da segnalare il sindaco di Zungri Francesco Galati e il dirigente scolastico dell'istituo comprensivo dello stesso comune Maria Rosa Rizzo, il dirigente scolastico di Pizzo Francesco Vinci, la collega di Acquaro Caterina Barilaro. Di seguito il resoconto integrale del Consiglio provinciale di ieri in una nota diffusa dall'ufficio stampa della Provincia.
Il Consiglio provinciale ha approvato questa sera (ieri sera, ndr) il nuovo piano di dimensionamento scolastico, che sarà ora trasmesso alla Regione, la quale, a sua volta, deve comunicare al ministero l’assetto complessivo delle autonomie scolastiche calabresi, in aderenza alla normativa in vigore che regola la materia (riforma Gelmini). Sulla questione ha relazionato l’assessore alla Pubblica istruzione Pasquale Fera, che ha messo l’accento sul percorso concertativo che ha condotto alla redazione del piano, ringraziando Comuni, associazioni di categoria e sindacati per aver collaborato fattivamente alla sua elaborazione. «Dalla Finanziaria 2001 esistono paletti precisi, che negli ultimi anni sono divenuti ancora più insormontabili - ha spiegato Fera -. Sotto un determinato numero di studenti (600, parametro che scende a 400 unità per gli istituti presenti in aree montane, ndr) non è possibile mantenere dirigenze e autonomia. La progressiva riduzione della popolazione scolastica rende tutto più difficile. Si tratta di precise previsioni di legge che non possono essere eluse, che a suo tempo abbiamo contrastato e criticato in tutti i modi, ma con le quali dobbiamo comunque fare i conti, perché non decidere significa subire il commissariamento del settore, con la conseguenza che sarebbero altri a fare per noi scelte che riguardano invece questo territorio». Su questa premessa, Fera ha poggiato l’illustrazione del piano di dimensionamento, che, grazie ad una serie di accorpamenti tra scuole diverse ma limitrofe, limita al minimo le conseguenze negative sull’attuale assetto del sistema scolastico locale (in particolare vengono meno due dirigenze scolastiche a Vibo Valentia ed una a Filadelfia, mentre l’istituto di Zungri viene lasciato in reggenza), nonostante le indicazioni del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che - numeri alla mano - suggeriva per il Vibonese la soppressione di ben 18 autonomie scolastiche con le relative dirigenze. Un risultato, dunque, che l’assessore Fera ha definito molto importante, frutto di un difficile lavoro affrontato insieme con sindacati, amministrazioni comunali e rappresentanti di categoria. «Abbiamo cercato di salvaguardare i posti di lavoro, ma soprattutto l’offerta formativa complessiva - ha concluso Fera -. Magari non tutti saranno soddisfatti, ma sulla base delle normative vigenti questo era il massimo che si poteva fare». Di parere contrario il consigliere d’opposizione Nicola Crupi, che ha ventilato un utilizzo non corretto del parametro della continuità territoriale, chiedendo l’abolizione degli istituti omnicomprensivi e presentando, insieme al consigliere Francesco Pititto, un emendamento per l’accorpamento degli istituti di Zungri, Zaccanopoli e Spilinga, proposte poi bocciate dall’Assemblea. Prima della votazione finale ha preso la parola il presidente della Provincia Francesco De Nisi, che ha richiamato i consiglieri alle proprie responsabilità. «Stasera possiamo anche rimandare la questione (come era stato proposto dall’opposizione, ndr), possiamo decidere di non decidere, ma rischieremmo il commissariamento, con la conseguenza che una ventina di autonomie scolastiche andrebbero quasi certamente in fumo - ha ricordato De Nisi -. Il Consiglio, quindi, deve assumersi le proprie responsabilità e fare scelte che altrimenti farebbero altri, con ben peggiori conseguenze». Alla fine il piano di dimensionamento è stato licenziato con 15 voti a favore, 5 contrari e un’astensione. Si è quindi passati alla variazione di bilancio resasi necessaria per nuove entrate (in prevalenza fondi comunitari) pari a circa un milione e 600mila euro, sulla quale ha relazionato l’assessore al Bilancio Pasquale Fera. Un provvedimento che in teoria non avrebbe dovuto creare problemi alla maggioranza, anche in considerazione del saldo positivo della variazione al documento contabile, ma al momento della votazione, il consigliere Nicola Altieri non è riuscito a rientrare in aula in tempo per esprimere la propria preferenza, quindi si sono contati 10 voti a favore e 10 contrari. Situazione di parità che, come previsto dal regolamento, ha sancito la bocciatura della variazione di bilancio da parte dell’Assemblea. Ne è seguito un acceso scontro tra i consiglieri di opposizione (in particolare Crupi e Rodolico), che chiedevano la ratifica del voto, e quelli di maggioranza, tra cui lo stesso Altieri, che rimarcavano invece l’evidente volontà politica di approvare il documento. Al termine, è stato lo stesso presidente De Nisi a suggerire la soluzione, con la convocazione di un Consiglio straordinario entro la fine della settimana per l’approvazione della variazione. Infine, unanimità è stata riscontrata per l’approvazione dello statuto del Gac (Gruppo azione costiera) che riunisce i soggetti pubblici e privati coinvolti nello sviluppo sostenibile delle zone di pesca.
Poliziotto in servizio al commissariato di Gioia Tauro arrestato dai colleghi durante la notte. L’accusa con la quale lo hanno arrestato i colleghi del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Gioia Tauro è pesante: detenzione e trasporto illegale di oltre un Kg di cocaina e porto in luogo pubblico di una pistola calibro 6.35 con matricola abrasa. Il sovrintendente di Polizia Gabriele Palermita, di 47 anni, in servizio al Commissariato di PS di Gioia Tauro, era alla guida di un’autovettura Fiat Stilo Station Wagon bianca quando è stato fermato per un controllo dai colleghi della sezione investigativa. Con lui viaggiava il cognato Gallo Pasquale di 50 anni proprietario del mezzo. La sera di domenica, i poliziotti di Gioia Tauro erano alla ricerca di una macchina dello stesso tipo segnalata per un trasporto di armi a e droga sulla strada da Gioia Tauro a Taurianova. Un’autovettura Fiat Stilo S.W. di colore bianco veniva individuata e fermata sulla strada provinciale all’altezza dello stadio comunale di Taurianova da una pattuglia della Polizia di Gioia Tauro. Con sorpresa gli operatori verificavano che alla guida dell’autoveicolo vi era un loro collega, appunto il Sovrintendente Palermita Gabriele che viaggiava con il cognato Gallo Pasquale. Gli agenti procedevano ugualmente al controllo del mezzo, durante il quale veniva rinvenuta, in una busta di carta, un involucro racchiuso con nastro adesivo all’interno del quale era contenuta un KG di cocaina e dentro una tasca del giubbotto del Palermita una pistola calibro 6.35 con matricola punzonata. I due venivano accompagnati in Commissariato a Gioia Tauro dove, a seguito dei risultati positivi del narcotest, venivano dichiarati in arresto. Dopo le formalità di rito i due arrestati venivano condotti alla Casa Cirondariale di Palmi a disposizione della locale Procura della Repubblica. Resta da accertare la provenienza e la destinazione della droga e dell’arma sequestrate al poliziotto e al cognato.
SERRA SAN BRUNO - Nella notte tra sabato e domenica ignoti si sono introdotti in una villa ubicata in via Matteotti, compiendo un'autentica razzia. Pare che i malfattori abbiano approfittato della temporanea assenza degli inquilini, un’anziana donna ed il proprio figlio, partiti per un breve soggiorno in una città calabrese nella quale risiedono alcuni parenti, per intrufolarsi nottetempo nella casa. Con ogni probabilità, assicuratisi della partenza dei proprietari, dopo aver scavalcato un muro di cinta, i ladri si sono introdotti nell’abitazione attraverso un accesso secondario. Da quanto è stato possibile apprendere, i malviventi non si sarebbero limitati solamente ad asportare oggetti di valore, ma avrebbero danneggiato pesantemente mobili ed arredi. Un fatto apparentemente inesplicabile, alla cui origine potrebbe esserci la frustrazione derivante dall’incapacità di forzare una cassaforte rinvenuta all’interno dell’abitazione. L’episodio, sul quale stanno indagando gli uomini del Commissariato di Serra San Bruno diretto dal Commissario Capo Domenico Avallone, rappresenta l’ultimo di una lunga sequela di eventi di questo genere che, ormai con cadenza regolare, si verificano nella cittadina bruniana. Episodi sempre più frequenti che dimostrano anche la spregiudicatezza di gente evidentemente avvezza a compiere azioni del genere.
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