mini 182190_399472416756152_1924496783_nScorre sangue d’artista nelle vene del piccolo Giuseppe Manno. Classe 1998, che il suo futuro sarebbe stato immerso nella pittura lo si intuì già alle elementari, quando a soli 10 anni, partecipò ad un concorso di disegno indetto da una famosa catena di distribuzione di giocattoli, in occasione del V centenario della morte di San Francesco da Paola. Giuseppe, come tutti gli altri compagni di classe, presentò il suo disegno che la giuria però rigettò puntualmente: “è impossibile che un bambino così piccolo sia capace di fare un disegno del genere!”.  Allora le maestre, che ancora conservano gelosamente i primi disegni di Giuseppe, sfidarono gli organizzatori della gara a raggiungere il giovane artista direttamente a scuola, in classe, per sincerarsi di persona di che cosa il bambino, una volta afferrata la matita in mano, fosse capace. Ma questi si scusarono e fecero immediatamente marcia indietro. Avevano compreso a pieno che quella piccola opera d’arte sul Santo paolano era davvero farina del sacco di Giuseppe. Un sacco che col passare del tempo è diventato ancora più intrigante, capiente e profondo. Sono infatti più di una ventina le opere che Giuseppe esporrà in una tre giorni, dal 3 fino al 5 agosto, nei locali di Sala Chimirri a Serra San Bruno. Opere straordinarie in cui magistralmente i volti ei paesaggi diventano arte.

Mentre visitiamo la mostra Giuseppe scorazza fra i suoi quadri con leggerezza e disinvoltura, così come lo immaginiamo con il pennello in mano. Capelli biondi, occhi azzurri e lo sguardo di chi la sa lunga. Una sicurezza disarmante, degna di un artista navigato, mentre spiega ai numerosi visitatori che si tratta solo della sua prima esposizione personale di pittura e che non vuole assolutamente fermarsi. È solo agli esordi. Come una pregevole Ferrari che scalda il motore verso chissà quali altri orizzonti di arte e di soddisfazione.

Il piccolo Giuseppe Manno, assieme a Rocco Giancotti, appartiene alla ‘generazione terribile dei nuovi artisti serresi’, pronti a spodestare prematuramente i maestri che li hanno preceduti e in qualche caso guidati. Fin da bambino Giuseppe nutre una particolare attrazione per il disegno, una voglia incontenibile di tramutare in immagine tutto ciò che è visibile, tangibile o pensabile. Nelle sue opere emerge infatti un connubio perfetto ed inscindibile che trova spunto dall’amore per i luoghi dell’infanzia, sono diverse infatti le tele con squarci di Serra e Brognaturo (rispettivamente il paese del padre Bruno e della madre Teresa), ed i volti già di per sé affascinanti di zie e cugine, dipinti in opere che da questa soluzione acquistano un significato ancora più intimo e profondo. Un immenso affetto immortalato sulla tela.

La mostra ha già fatto registrare un grande successo di pubblico scandito dalla visita di centinaia di persone. Giuseppe, seppur ancora giovanissimo, ha l’aria dell’artista che se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, sospeso su un dirupo o su uno scoglio così stretto da poterci posare soltanto i due piedi, avrebbe portato con sé anche un cavalletto su cui adagiare una tela da trasformare magicamente in opera d’arte, solcandola in lungo ed in largo con il carboncino, la china o il pennello. Un’arte respirata a tuttotondo, in tutte le sue sfaccettature ed espressioni. Un’inclinazione che diviene fin da piccolo passione e che si sta man mano affinando sempre più, come un bocciolo che cresce lento a primavera e che presto si trasformerà in uno splendido fiore di cui si avverte già il meraviglioso profumo. Tanto che nell’ultimo anno la voglia di esprimere il suo modo particolare di intendere la pittura, il disegno e l'arte hanno spinto Giuseppe a concentrarsi su tecniche, fino ad ora, per lui inesplorate come ad esempio la china, da cui riesce, fra gli altri a ricavare una splendida Marilyn Monroe. Quindi, ancora una volta vi ricordiamo, per chiunque voglia apprezzare le doti di questo straordinario artista in erba, che le sue opere rimarranno esposte ancora fino a domenica 5 nella centralissima Sala Chimirri, nei pressi del Cinema Aurora, a Serra San Bruno. 

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mini carabinieriI carabinieri della compagnia di Vibo Valentia, coadiuvati dai colleghi del nucleo Elicotteri e dello Squadrone Eliportato Cacciatori, hanno scoperto una piantagione di cannabis nelle campagne di Filandari, piccolo centro del Vibonese. I militari, in particolare, durante un sopralluogo, hanno notato delle strane piante messe a dimora su un terreno demaniale ubicato in località Spana. Una volta giunti sul posto, i carabinieri hanno rinvenuto 300 piante di cannabis, irrigate da un sistema che attingeva acqua direttamente da un piccolo ruscello presente nell'area. Gli uomini dell'Arma, in oltre 3 ore di lavoro, hanno rimosso tutta la piantagione, in cui alcuni esemplari erano gia' arrivati alla ragguardevole altezza di 2 metri. Tutta la coltivazione, d'intesa con la Procura della Repubblica del capoluogo, e' stata quindi immediatamente distrutta  dopo gli accertamenti del caso.

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mini rubinettoScoppia la “Bomba Alaco” e le grandi manovre dei venditori di depuratori domestici hanno il via. Tanto che la redazione de Il Vizzarro e il profilo facebook di Ulucci Ali’ sono tempestati di messaggi di cittadini che vogliono saperne di più. Il sistema è sempre lo stesso. Il primo contatto avviene telefonicamente. Telefonata in cui vi diranno che siete davvero fortunati, perché siete stati selezionati per un’offerta di 100 potabilizzatori. E’ una tecnica vecchia come il mondo, “creazione dell’urgenza”, di scuola padovana. Al potenziale cliente viene proposta la visita di un rappresentante che effettuerà gratuitamente l'analisi dell'acqua di casa. Il risultato è scontato: l’acqua del rubinetto è avvelenata. E fin qui ci siamo. Seguirà una lunga paternale sulle qualità miracolose dell’apparecchio potabilizzante in offerta. Alla fine il promoter vi proporrà  un contratto che comprende la manutenzione pluriennale per una cifra che sfiora i 3000 euro.

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Giovedì, 26 Aprile 2012 17:18

Siamo tutti impiegati

mini storia_di_un_impiegato“Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza, fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni, da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. Lo diceva, o meglio lo cantava negli anni ’70 Fabrizio De Andrè in un concept album, “Storia di un impiegato”, le cui canzoni ruotano intorno ad un unico filo conduttore come fossero i capitoli di un romanzo. Attraverso la storia di un trentenne, impiegato alle poste, il compianto cantautore genovese, ripercorreva la vicenda umana e politica dell’italiano medio, di quell’essere piccolo borghese che, in cambio del rispetto delle regole di chi detiene il potere, ha la possibilità di godere quei pochi “privilegi” (“banca e famiglia danno rendite sicure”) che la “maggioranza” parlamentare gli concede, fino a quando decide di ribellarsi e viene messo in carcere dove acquista la coscienza collettiva di appartenere tutti alla stessa classe di sfruttati. Già, perché io non credo che “il potere logora chi non ce l’ha”, quando vi è la ribellione chi detiene il potere ne esce sconfitto, logorato, un po’ come quel genitore spossato dopo aver atteso per ore che il proprio figlio, minorenne, rientri a casa durante le tarde ore della notte. Il termine stesso “maggioranza” che deriva dal latino majores è assai ambiguo. E’ curioso vedere come le parole spesso mutano significato col tempo, ed oggi questo stesso termine identifica la minoranza che detiene il potere. Lo stesso popolo, cioè la maggioranza, è chiamato in causa esclusivamente nel momento in cui è giunta l’ora di conferire, attraverso il voto, i privilegi a questa minoranza di privilegiati. Oggi, col Governo Monti è nata una nuova minoranza che è giunta in soccorso di quella politica, la minoranza dei tecnici che, sul presupposto di un pareggio di bilancio, sta mettendo in croce la maggioranza dei tanti italiani che non li aveva delegati a governare. Non si tratta certamente di un governo illegittimo perché gode sempre di una maggioranza-minoranza che lo sostiene ma di un governo non rappresentativo, cioè di un governo prestanome che governerà in nome e per conto del potere economico. E oggi siamo un po’ tutti impiegati, con la voglia di ribellarci ma senza alcuna intenzione di perdere quei minimi privilegi che una vita piccolo borghese ci regala.

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Domenica, 08 Aprile 2012 10:45

Sharo e la via crucis di Gesuino

Si consuma proprio nella bocca maledetta di una capra il sacrilegio che potrebbe causare la dannazione dell’anima del povero Gesuino. Detta così sembrerà improbabile, invece quanti hanno letto o leggeranno “Sole Nero a Malifà” – il primo romanzo di Sharo Gambino ristampato da Rubbettino – avranno ben presente come quell’inenarrabile “mal’azione”, quell’empietà cui il piccolo pastore malifioto timoratissimo di Dio è stato costretto, sia all’origine di un crescendo di follia mistica che alla fine porterà il protagonista a cercare la definitiva purificazione nella sua personale, grottesca, tragica via crucis. Già il suo nome, Gesuino, è una chiara metafora del destino cui vanno incontro il piccolo pastore e la sua gente, sopravvivendo tra miseria, arretratezza e superstizione in un villaggio arroccato sulle montagne dell’altopiano delle Serre, nella valle del fiume Allaro.

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mini serrese cSERRA SAN BRUNO – E’ durato poco più di quindici minuti l’incontro tra Serrese e Nuova Pontegrande, valido per la ventiquattersima giornata del campionato di Prima Categoria girone "C". Gli ospiti, infatti, si sono presentati al comunale "La Quercia" con soli sette giocatori ed, intorno al 15’ della prima frazione, a causa di infortunio che ha colpito un giocatore catanzarese, il direttore di gara è stato costretto a sospendere l’incontro, visto il residuo numero di elementi in campo tra le fila della Nuova Pontegrande. Fino a quel momento, i bianco blu di mister Rolando Megna erano  in vantaggio per tre a zero, grazie alle marcature di Mazzitelli, Iorfida e Greco. A questo punto, bisognerà attendere la decisione del giudice sportivo che, sicuramente, decreterà la vittoria dei vibonesi. Mercoledì, intanto, Piccolo e compagni recupereranno l’ incontro con il Santa Caterina, vittorioso nell’anticipo di sabato per 4 a 2 contro l’ Amaroni. Domenica prossima, invece, la Nuova Pontegrande ospiterà il Caulonia, in piena lotta per evitare la lotteria dei  playout.
SERRESE – PONTEGRANDE    3 - 0

SERRESE: Piccolo, Pantano, Miletta, Zaffino, Carchedi, Monaco, Greco, Oppedisano, Campisi, Mazzitelli, Iorfida. In panchina: Vellone, Febbraro, Callà, Contartese. All.: Megna
N.PONTEGRANDE: Nisticò, Canino, Bevilacqua, Brunetti, Mancuso, Caracciolo, Scalzo. All.: Procopio
ARBITRO: Prisma di Crotone
MARCATORI: 7’ pt Mazzitelli, 9’ pt Iorfida, 10’ pt Greco
NOTE: spettatori 100 circa. Ammoniti: Canino (NP). Partita sospesa al 15’ pt quando un giocatore della squadra ospite è uscito per infortunio costringendo la Nuova Pontegrande a rimanere con soli sei uomini in campo.
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mini Carabinieri-sorianelloSERRA SAN BRUNO - E' stato individuato poco fa dai carabinieri il presunto autore degli incendi verificatisi nei giorni scorsi a Sorianello ai danni della chiesetta dedicata a San Bruno. Si tratta, secondo quanto siamo riusciti ad apprendere, di Nicola Figliuzzi, 64enne del luogo con problemi psichici, che è stato denunciato a piede libero dai militari della Compagnia di Serra San Bruno e della stazione di Soriano. La chiesetta, che si trova nella Valle dei Mulini poco distante dalla strada che collega il piccolo centro dell'Alto Mesima a Soriano, era stata incendiata ieri per la seconda volta nel giro di pochi giorni. 

https://www.ilvizzarro.it/sorianello-incendiata-la-chiesa-di-san-bruno-per-la-seconda-volta-in-pochi-giorni.html

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Venerdì, 20 Gennaio 2012 16:04

Quel maniero perso tra i boschi della Lacina

mini simbario_com_bkumbria_1200412457BROGNATURO - «Ci stava 'nu castellu alla Lacina; duvi si dicia ca la terra 'ntrona; e mo lu riduciru a 'na rovina, ma tandu 'nci stacìa 'na gran matrona». Così cantava qualche anno addietro il medico menestrello Bruno Tassone che, in “Lu castellu di la barunissa”, ricordava, quando sui “Piani de la Lacina”, arroccato su un acrocoro che domina la vallata sottostante svettava un maniero ormai diruto ed abbandonato. Un luogo arcano, permeato dal fascino misterioso tipico dei luoghi senza storia e senza tempo. Poche, frammentarie ed inverosimili le notizie che circondano le vicende di un castello edificato in quella che è stata una delle foreste più impervie ed inospitali dell’intera Calabria. Il toponimo “Lacina” secondo taluni deriverebbe da Hera Lacinia, la dea al cui culto sarebbe stato elevato, dai tagliatori di bosco che rifornivano di legname le colonie della magna Grecia, un piccolo tempio rurale. Una tesi suggestiva ma non comprovata da alcuna fonte documentale e con ogni probabilità da derubricare al novero delle favole da focolare. E pur vero che l’area in questione in passato potrebbe aver ospitato una struttura sociale di qualche rilievo. Non è un caso che nelle limitrofe montagne di Cardinale siano stati rinvenuti alcuni reperti riconducibili al neolitico; mentre nella vicina Spadola, fino ai primi anni trenta, erano custoditi due leoni in pietra che, secondo il resoconto fatto dal sacerdote Bruno Maria Pisani in una relazione inserita in “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato” e pubblicata a Napoli tra il 1853 ed il 1859, servivano a sostenere «l’altare dedicato a Minerva». In una singolare filiazione religiosa, sui luoghi in cui un tempo doveva ergersi il tempio dedicato alla divinità romana oggi sorge una chiesa elevata al culto di Santa Maria sopra Minerva. In ogni caso sulla genesi del piccolo borgo di Brognaturo non si hanno notizie certe, tranne quelle riportate nella citata opera, nella quale si asserisce, che a dare origine al piccolo villaggio siano stati i mandriani ed i guardiani di “porci” dei paesi vicini. Per il sacerdote serrese «L’etimologia del suo nome sembra alludere a questa particolarità; poiché la prima parte del vocabolo, Brogna, nel linguaggio volgare significa quella specie di conchiglia, con cui i porcari chiamano a raccolta le loro mandrie. Avvi però qualche oscura tradizione dell’esistenza di un antico paese posto in cima dei monti, i cui abitanti si sarebbero trasferiti nell’attuale Brognaturo. In un diploma del Conte Ruggiero si fa menzione di una località coincidente a quella di questo paesetto, sotto la denominazione greca di Brondismenon». Seguendo un metodo deduttivo si è portati a pensare che il villaggio greco, di cui parla l’estensore della menzionato relazione, potrebbe essere sorto in prossimità dei piani della “Lacina” dove una rigogliosa radura, in passato può aver ospitato un insediamento di una qualche importanza. In tale contesto troverebbe una logica spiegazione un “castello” edificato sulla sommità di un monte dal quale era possibile dominare la pianura sottostante. L’ipotesi suggestiva, anche in virtù della vicinanza della costa jonica, induce a pensare ad un villaggio sorto per favorire lo sfruttamento forestale ed a difesa del quale potrebbe essere stata schierata una piccola guarnigione. Al di là delle congetture, le poche notizie degne di essere seriamente prese in considerazione fanno risalire la costruzione del primo nucleo in muratura ai primi del ‘500. Di certo vi è che l’ultima proprietaria sia stata Maria Enrichetta Scoppa, baronessa di Badolato, nata a Sant’Andrea, nel 1831, che avrebbe eletto il maniero a propria dimora estiva fino al 1912, anno della sua dipartita. Nonostante sia descritta come donna di profondi sentimenti religiosi, la baronessa o qualche sua lontana antenata sarebbe all’origine di una leggenda che in passato doveva suscitare non poco i pensieri pruriginosi di una comunità tutta dedita alle attività agro-pastorali. Fino a qualche decennio addietro, infatti, si narrava che la nobildonna, alla ricerca di facili ma silenti avventure amorose, fosse solita ospitare nella sua magione aitanti giovani dei paesi vicini destinati, dopo aver goduto dei piaceri della carne, a sparire nelle paludi circostanti. A rendere la storia verosimile la presenza, dove oggi sorge il lago Alaco, di un’estesa torbiera nella quale erano possibile rinvenire diversi fenomeni carsici nei quali, secondo il racconto di vecchi pastori, “poteva sparire un’intera coppia di buoi”. Lasciata la leggenda, di quell’antica residenza, alla quale doveva essere associata una chiesa di cui si è persa ogni traccia, oggi non rimane che un imponente rudere sul quale imperiosi si ergono le caratteristiche torri angolari. Le poche persone che ancora conoscono il sentiero che conduce la castello di tanto in tanto vi fanno ritorno per ammirare il lago sottostante, sul quale sembra specchiarsi l’ennesimo pezzo di storia perduta. 

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mini Rocco_GiancottiSERRA SAN BRUNO – Ha solo nove anni, Rocco Giancotti, eppure si muove tra i suoi quadri esposti a palazzo Chimirri come se fosse un artista navigato. Serio, appassionato, geniale, timido solo all’apparenza, il piccolo artista serrese sta suscitando grande impressione nelle tantissime persone che in questi giorni stanno visitando la sua prima mostra di pittura, dal titolo eloquente, “L’arte non ha età…inseguendo un sogno”. La personale di Rocco Giancotti rimarrà aperta al pubblico fino alla sera del 25 dicembre, ma da quando è stata inaugurata, giovedì scorso, in paese non si parla d’altro che di quel bambino che dipinge come un artista maturo. In effetti, a sorprendere al primo sguardo è la naturalezza con cui il giovane pittore si accosta alla tela, una sensazione che però, assicurano, è niente in confronto al vederlo dipingere mentre i suoi lavori prendono forma. Nella sua prima personale c’è di tutto, dalle nature morte agli “esercizi” pittorici di anatomia, dai ritratti di personaggi celebri a composizioni suggestive frutto della sua innata fantasia. “Ha un’immaginazione meravigliosa – afferma il suo maestro, l’artista Nazzareno Vellone – e la disinvoltura con cui traspone la sua fantasia sulla tela è veramente impressionante, specie per la sua età. Ovviamente ha ancora molto da lavorare e da studiare, ma le sue potenzialità sono veramente enormi”.

Sotto lo sguardo discreto, amorevole e orgoglioso del padre e del nonno, Rocco si muove tra i cavalletti piazzati nella sala Chimirri con la sapienza di un anfitrione adulto: accoglie i visitatori, li introduce alla mostra, li accompagna spiegando il significato e l’ispirazione che sta dietro ad ogni singolo quadro, li invita a lasciare una firma nel registro delle presenze. Un registro, quest’ultimo, tutto da leggere, poiché stracolmo di nomi ma soprattutto di dediche (sincere) e di complimenti (meritati) all’indirizzo del piccolo artista. “Disegna da quando era piccolissimo – spiega il padre Luigi – e mi ha lasciato di stucco tante di quelle volte, con i suoi disegni, che ormai neanche me le ricordo tutte. Grazie a Nazzareno Vellone da circa un anno si è messo a studiare seriamente la pittura su tela, e i frutti dei suoi insegnamenti cominciano a vedersi chiaramente”. Vellone sta cercando di creare una piccola scuola di pittura per bambini che altrimenti crescerebbero tra televisione e strada, e i suoi piccoli allievi non finiscono di stupire. Alcuni lavoro del piccolo Rocco, ad esempio, lasciano senza fiato: c’è un volto di Charlie Chaplin con una smorfia fortemente caratterizzante; c’è la chitarra dipinta su uno sfondo astratto che, come ci ha spiegato lui stesso, è stata pensata e realizzata come omaggio a Rino Gaetano; ci sono le nature morte, semplici e bellissime; c’è il fiore delicato dipinto per la madre; c’è la composizione, premiata dalla sua scuola, incentrata sulla Shoah e sugli orrori dei campi di concentramento. “All’inizio – prosegue Vellone – ha fatto per diversi mesi solo disegni, non ha toccato colore. Ma poi, quando ha cominciato con l’olio su tela e con le tecniche miste, i risultati dello studio e ovviamente del suo grande talento sono venuti fuori in maniera prorompente. E c’è da considerare – aggiunge l’artista – che in realtà quelle esposte più che opere sono delle esercitazioni, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti”. Vellone, che ha già forgiato altri piccoli artisti che pian piano si stanno facendo le ossa a suon di pennelli e tavolozze, è un pittore ben noto nella zona e ha già portato la sua arte oltre i confini della Calabria. In programma ha una mostra tutta da scoprire che sarà allestita, a Serra e non solo, durante l’estate. Per adesso, però, il suo impegno e la sua dedizione sono appannaggio esclusivo dei suoi allievi, piccoli di età ma già grandi nelle soddisfazioni che regalano al loro maestro.

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Domenica, 18 Dicembre 2011 23:08

Bruno Rosi e la Luna di carta

mini luna_di_carta_camilleri«Quann'era picciliddro, una volta sò patre, per babbiarlo, gli aveva contato che la luna 'n cielu era fatta di carta. E lui ci aviva criduto». 250 pagine da scorrere tutte d’un fiato. Leggero quanto un racconto, torbido come un romanzo. La luna di carta di Camilleri parte proprio da una surreale rivelazione che da bambino il commissario Montalbano ascoltò dalla bocca di suo padre, che per babbiarlo (prenderlo in giro) gli disse che la luna è fatta di carta. Montalbano naturalmente ci aveva creduto. 

Questo è più o meno quanto accaduto a Serra San Bruno nel corso dell’ultima campagna elettorale, quando per accaparrarsi il consenso degli elettori serresi, i PdL boys fecero venir giù dal pulpito promesse a valanga. Ed allora via con campi da golf, piste di go-kart, ospedali del futuro, diurni in ogni dove, strade asfaltate entro un mese dall’insediamento della nuova giunta, finanziamenti per il sostegno alle giovani coppie e a chi volesse edificare una nuova casa, piscina comunale adeguata alle esigenze dei giovani disabili (con tanto di nome e cognome degli stessi ragazzi sparati in piazza direttamente dai palchi), un nuovo ciclo per la raccolta differenziata dei rifiuti, soluzione del problema acqua (non)potabile ed ultimo, ma non meno importante, l’immancabile cavallo di battaglia dei 100 posti al Parco delle Serre (fra l’altro finanziati tramite il Fondo Sollievo esaurito più di 4 anni fa). Strette di mano, pacche sulle spalle e frottole come se piovesse. I serresi ci credettero. 

Sono passati i primi 6 mesi e Serra San Bruno è ancora dominata dal marciume figlio della poco oculata gestione di una squadra divisa che ci governò fino al novembre 2010. Non tanto, o non solo, per colpa dell’ex sindaco Lo Iacono, trovatosi solitario ad amministrare un intero comune, ma del resto dei componenti di una maggioranza presente a singhiozzo. In comune assessori e consiglieri ci andavano ogni 2-3 mesi per fare sfoggio del vestito della domenica ed alzare ogni tanto la mano durante le votazioni nei consigli comunali. Non esistono ricette assolute per la felicità di un piccolo centro urbano del meridione, soprattutto in un periodo così magro, ma urge per il prossimo futuro avviare la formazione di una classe amministrativa caratterizzata dalla presenza di uomini e donne, non per forza giovani, ma necessariamente capaci e liberi. Affinché finalmente si definisca un’inversione di tendenza che allontani la città dal binario morto che ancora adesso sta percorrendo e che ha visto come protagonisti, non solo oggi, decine di professionisti “navigati” con uffici privati colmi di lavoro e poco tempo da dedicare alla vita amministrativa di Serra, ed una manciata di ragazzi a cui è stata sistemata addosso l’armatura scintillante della gioventù forgiata da tanti voti (perché appartenenti a famiglie numerose) ma da poca, pochissima qualità amministrativa. Solo così si potrà scardinare il meccanismo creato da chi si è permesso il lusso di promettere tutto, anche l’impossibile, e non mantenere nulla. E trascurante della grave crisi che ci attraversa, nell’arco di questi 6 mesi ha ben pensato di far adottare aiuole ai commercianti ed inscenare tragicomiche giostre medievali fra rioni. Ci manca solo, per l’appunto, la luna di carta. 

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