Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Quella di Pasquale Andreacchi, il 18enne di Serra San Bruno barbaramente ucciso nell'ottobre di cinque anni fa, è una morte che, fino ad oggi, è rimasta impunita.
La doula Micòl De Castillo, esperta di parto e allattamento naturale, torna in Calabria con due nuovi incontri incentrati su ecologia del grembo, maternità possibili e scelte consapevoli. In collaborazione con l’associazione culturale “I Sognatori”, venerdì 21 e sabato 22 novembre alle ore 16, Al Centro di Torre (Palazzo Martelli, Biblioteca e sala consiliare, Via Mazzini 3, Torre di Ruggiero), sede della stessa associazione, Micòl incontrerà donne e madri per confrontarsi insieme sull'importanza dei naturali cicli femminili, sulla fertilità e il concepimento consapevole, sul contatto madre-figlio e sull'accudimento del neonato e del bambino.
Non si può infatti parlare di “uomo” e “Natura” come entità separate: una buona consapevolezza delle funzioni riproduttive, una buona nascita e un accudimento rispettoso dei cicli hanno conseguenze sulla salute delle future generazioni e sulla direzione che intraprenderà l'evoluzione umana.
Questo il programma degli incontri autofinanziati:
Venerdì 21 novembre ore 16:
Incontro di informazione e condivisione sui cicli femminili;
Fertilità e concepimento consapevole
Sabato 22 novembre ore 16:
Portare in fascia: l’importanza del contatto madre-figlio nei primi anni di vita;
Cerchio femminile: l’accudimento del bambino
A seguire, ore 18:
“Cinema al Centro", proiezione dello spettacolo teatrale "Nati in casa" di Giuliana Musso, un divertente monologo che mette in evidenza le differenze fra i parti di ieri e di oggi.
SORIANO CALABRO - Volti squarciati dal dolore. Quello di un padre e di una madre, che non rivedranno mai più il proprio figlio. Quello di due sorelle, che non avranno più un fratello con il quale condividere i momenti più belli. Ma soprattutto quello di un'intera comunità che, per un errore, uno sbaglio, una tragica fatalità, da due anni ha perso un figlio. Si, perchè Filippo era un po' così con tutti. Un ragazzo tranquillo, che non ha mai avuto problemi con la giustizia. Lavorava sodo, andando in giro con il padre Martino nei mercati della zona. Un adolescente come tanti altri, che aveva ancora una vita davanti a sé. In casa Ceravolo, però, è come se l'orologio si fosse fermato a quella maledetta sera del 25 ottobre 2012. Filippo, infatti, aveva deciso di recarsi a Pizzoni per trovare la fidanzata. A separare i due paesini poche, decine di chilometri. Arrivata una certa ora, il 18enne ha pensato fosse il momento di rincasare e, nel fare ritorno a Soriano, evidentemente Filippo non si sarebbe mai aspettato di rimanere vittima in un agguato di mafia. La sua colpa, quella di chiedere un passaggio a Domenico Tassone. Quella sera, infatti, a morire doveva essere proprio Tassone ma chi ha sparato non avrebbe mai immaginato che in quella macchina ci fosse anche Filippo.
A due anni di distanza dalla scomparsa, il movimento Ammazzateci Tutti, in collaborazione con l'associazione ConDivisa e la Consulta sicurezza dei sindacati autonomi delle forze dell'ordine, hanno organizzato una giornata in sua memoria. Dopo la Santa Messa celebrata da don Pino De Masi i presenti hanno tenuto una fiaccolata che ha percorso le vie del paese per poi arrivare in piazza dove ci sono stati tutta una serie di interventi. All'iniziativa c'erano numerose autorità civili e militari, rappresentanti delle forze politiche, il testimone di giustizia Rocco Mangiardi ed i familiari di Pasquale Andreacchi, giovane come Filippo ucciso brutalmente nel 2009.
SORIANO CALABRO – Filippo Ceravolo, il giovane ucciso per errore la sera del 25 ottobre di due anni fa, è stato riconosciuto vittima di Mafia. L'annuncio è stato dato dal padre Martino, ospite ieri sera alla trasmissione “Il rinoceronte”, condotta da Michel Dessì e in onda sul canale SUD 656. Nel corso della puntata, il papà di Filippo ha ripercorso un po' le fasi dell'omicidio del figlio, 19enne di Soriano, “colpevole” di trovarsi quella sera nel posto sbagliato e, soprattutto, con la persona sbagliata.
Dal nord Europa alla Milano metropolitana, fino al meraviglioso e selvaggio paesaggio della Calabria, quando passando per la Limina e i territori aspromontani sembra di entrare in un’altra dimensione, in uno scenario classico, intriso di misticismo e magia. “Anime Nere” di Francesco Munzi, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, è quasi interamente girato in Calabria, all’interno della naturale scenografia protourbana di Africo (Rc).
SORIANO CALABRO – Gli anni passano. Il tempo scorre inesorabile, ma Martino Ceravolo – papà di Filippo, il giovane ucciso per errore la sera del 25 ottobre 2012 sulla strada che collega Pizzoni a Soriano – non ha assolutamente alcuna intenzione di mollare. Vuole che la giustizia faccia il proprio corso e che, soprattutto, sia dia un nome e un cognome agli assassini di suo figlio. “Noi – ha affermato Martino – andiamo avanti lo stesso con sacrifici e nel dolore, ma senza il nostro Filippo non sarà più come prima. Assieme alle forze dell’ordine porteremo avanti la missione di trovare i responsabili dell’omicidio e sono sicuro che presto ci saranno dei risvolti. Lo abbiamo ripetuto tante volte e lo ha detto anche Papa Francesco nel corso della sua visita in Calabria: i mafiosi si devono convertire. I clan delle Serre pagheranno per l’omicidio di mio figlio. Come fanno questi signori a vivere sapendo di aver ucciso un giovane innocente? Come si sentirebbe un padre o una madre, sapendo che il proprio figlio è rimasto vittima in un agguato di mafia? Non è più possibile tollerare questa situazione”.
Martino Ceravolo, dunque, torna a farsi sentire, dopo la protesta organizzata circa un mese fa davanti alla Prefettura di Vibo, quando il papà del diciottenne ucciso per errore si era incatenato, portando con sé anche una tanica di benzina, per protestare contro l’inerzia del giustizia. Dal capo dell’Utg, Giovanni Bruno, in quella occasione erano inoltre giunte rassicurazioni sul fatto che presto ci sarebbero state importanti novità sul caso. Ad oggi, però, Martino è ancora in attesa di conoscere e di guardare in faccia chi, quella sera, ha avuto il coraggio di uccidere Filippo, uno dei tanti figli innocenti di questa terra.
SORIANO CALABRO – Due anni di attese, di speranze, di buoni propositi. Martino Ceravolo sa cosa significa perdere un figlio. Soprattutto se chi, come Filippo, non ha mai avuto problemi con la giustizia. Mai una denuncia, mai un processo. Eppure, ci sono dei casi nei quali la vita, spesso, riserva degli incidenti di percorso. Piccoli o grandi che siano. E la perdita di un figlio, specie se innocente, non può mai passare inosservata. In silenzio, come se nulla fosse accaduto. Da circa due anni Martino Ceravolo conduce una battaglia contro la burocrazia nella giustizia italiana. Ad oggi il volto dell'assassino di Filippo Ceravolo non ha un nome. Colpa della giustizia, o meglio della malagiustizia che, nel nostro Paese, ha spesso ucciso vittime innocenti.
Intanto sono trascorsi quasi due anni dall'omicidio di Filippo, avvenuto la sera del 25 ottobre 2012, quando il giovane si trovava in auto in compagnia di Domenico Tassone, sulla strada che collega Soriano a Pizzoni. Filippo, quindi, aveva deciso di recarsi appunto a Pizzoni per trovare la ragazza ma, al ritorno, ha chiesto un passaggio alla persona sbagliata. Il vero obiettivo dell'agguato era, appunto, Tassone ma il destino ha voluto che a cadere sotto i colpi dei sicari fosse proprio Filippo Ceravolo.
Nonostante il tempo trascorso, Martino Ceravolo non ha ancora avuto giustizia e, per cercare di smuovere quantomeno le coscienze, nella mattinata odierna si è incatenato davanti alla prefettura d Vibo Valentia, portando con sé anche una tanica di benzina. Vista la situazione, il capo dell'Utg Giovanni Bruno ha deciso di ricevere Martino per capire un po' la situazione: «Il prefetto – ha detto il papà di Filippo – si è dimostrato sensibile verso l'argomento. Ha detto che farà il possibile affnché si possa arrivare presto a una solzuione e seguirà passo dopo passo l'evolversi della vicenda. Così come mi ha assicurato che farà il possibile affinché Filippo sia riconosciuto vittima di mafia e di questo lo ringrazio. Se, però – ha aggiunto Martino – non ci saranno risposte certe in tempi brevi allora sarò disposto anche a sacrificare la mia vita: mi cospargerò di benzina e mi darò fuoco».
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Undici maggio 2014: festa della mamma. Ormai son molti gli anni che questa festa è entrata nella consuetudine degli Italiani e non solo. Sicuramente è senza dubbio la festa più giusta e più meritata tra le tante che oggi hanno assunto carattere consumistico. Da sempre è avvertito e solennizzato l’attaccamento giustamente viscerale che si ha verso la madre e non c’è popolo, nella storia, che non abbia manifestato gioia per questa figura genitrice. «Perfino - scrive Mons. Luigi Renzo - tra i Bretti, popolo falsamente ritenuto di villani e di cafoni, la figura materna occupa un posto rilevante all’interno della famiglia. Anzi è proprio lei, Brettia, a dare il nome al popolo». La mamma, elemento insostituibile, fonte di vita, espressione di amore e dell’amore, è il vero centro della storia della famiglia. Scriveva Giuseppe Mazzini che la mamma «è la carezza della vita, la soavità dell’affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sull’individuo della provvidenza amorevole che veglia sull’umanità. Sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che basta ad ammorzare qualunque dolore». E quando ella non c’è più la si apprezza ancora maggiormente e se ne sente la mancanza e come se ne sente anche se si diventa adulti e misteriosamente quando si diventa genitori. È qui che capisci davvero il ruolo della mamma: le sue apprensioni, i suoi avvertimenti, la sua forza fisica che non conosce ostacoli o malattie e sempre pronta a dare un bacio al piccolo nato o una carezza al figlio ormai maturo, carezza che è davvero ricchezza che non conosce confini. Insomma, come un vecchio detto, chi ha mamma ha banca.
La mamma, per il figlio, perde la caratterizzazione di donna ed entra nell’alveo della sacralità; è venerata e non deve essere per nessuna ragione offuscata la sua immagine e la sua onorabilità. Anche il figlio illegittimo ama profondamente la sua madre e la difende da qualsiasi comportamento incauto che può provenire dagli altri. La donna è oggi, forse più di ieri, mortificata come oggetto di desiderio, ma nel ruolo di madre recupera tutta la sua dignità, un posto indiscusso ed un valore assoluto davanti al marito e ai figli. Per questo l’amore della mamma e per la mamma è per ognuno di noi il modello massimo dell’affettività. È davvero grande ed imperituro il cuore della mamma che Cu dicia ca ti vo beni cchiù di la mamma, o ti tradiscia o ti ‘nganna; ed ancora Na mamma fa pi cientu figghii, cientu figghi non fannu pi na mamma.
Ma c’è sempre il rovescio della medaglia, l’amore della mamma è così grande che talvolta, cosa rara, può venir meno e se è così il figlio ha davvero paura tanto che li jistimi di la mamma cogghianu. Davvero la più grande sventura è incorrere nella maledizione della madre: non ci sarà più pace e gli effetti della maledizione saranno ancora più devastanti se è fatta col seno scoperto, cu li minni di fora, perché il seno da fonte di vita e nutrimento per aver dato il latte, diventa strumento di maledizione. Cosa rara, si diceva, e già perché l’amore materno è totale e assoluto e sempre pronta davanti a qualsiasi groviglio del figlio e della famiglia, per dirla con Moravia per fortuna ci hai tua madre. Sta tutta qui la sublimità dell’essere mamma: nel figlio ama la sua stessa carne e la sua stessa vita per cui il suo amore non può non essere istintivo e viscerale. A lei non importa che i figli ne approfittino e non si lascia condizionare dal fatto che se li fimmini strudanu l’uomu, li figghi strudanu li mammi.
Al legame di sangue si aggiunge quello morale e spirituale e la mamma, intesa anche come moglie, ha un ruolo non solo comprimario all’interno della perfetta società familiare e così na famigghia si distingua si lu maritu tira e la mugghieri spingia. Ed anche oggi, se si vuole, in una società aperta, culturalizzata, polivalente, in una famiglia non più chiusa solo fra quattro mura o nel piccolo borgo.
Perché, come si ricava anche dal Messaggio del Concilio Alle Donne: «… Voi donne avete sempre la missione di salvare i focolari, l’amore delle fonti di vita. Voi siete presenti al mistero della vita che comincia. Voi siete le consolatrici al momento della morte. La nostra tecnica rischia di diventare inumana. Riconciliate gli uomini con la vita... Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano… trasmettete ai vostri figli le tradizioni dei vostri padri, nello stesso tempo che li preparate ad un imprevedibile futuro. Ricordate sempre che una madre, mediante i propri figli, appartiene a quell’avvenire che lei non potrà forse vedere».
Mimmo Stirparo
A sei anni dal duplice tentato omicidio di Romana Mancuso, 69 anni, e del figlio Giovanni Rizzo, 42, avvenuto il 26 maggio 2008 a Nicotera, gli agenti della squadra mobile di Catanzaro, guidati dal dirigente Rodolfo Ruperti, hanno tratto in arresto un esponente della famigerata consorteria mafiosa di Libadi: si tratta di Giuseppe Antonio Mancuso, 25enne, accusato appunto del tentato omicidio della prozia e del figlio.
VIBO VALENTIA - Un cartello di aziende edili “autorizzate” dalla cosca dei Mancuso ad operare sul territorio di Limbadi. Un imprenditore dello stesso settore che tenta di farsi spazio sul un mercato blindato e diventa immediatamente bersaglio di intimidazioni, danneggiamenti e minacce. Secondo quanto accertato dagli investigatori della squadra mobile di Catanzaro, guidati da Rodolfo Ruperti, sarebbe stato Domenico Mancuso, arrestato all'alba di oggi, a ricevere dai ranghi superiori della cosca il compito di allontanare il concorrente sgradito. Il 35enne, conosciuto negli ambienti criminali come “the red” (il rosso), si sarebbe reso dunque responsabile della sistematica persecuzione dell'imprenditore edile, che dopo l'ennesimo incendio di mezzi in cantiere, si è trovato costretto a chiudere i cantieri. Un atteggiamento che rivela la capillarità e l'offensività della cosca di Limbadi, attiva in ogni settore economico, e protagonista di un'aggressiva strategia di controllo del territorio. Domenico Mancuso, figlio di Diego Mancuso, considerato un membro di spicco dell'omonima cosca, appartiene a quella terza generazione di rampolli in ascesa non meno violenta e aggressiva delle precedenti. Il 35 enne Domenico, arrestato stamani su provvedimento del pubblico ministero della Dda Simona Rossi, dovrà rispondere di estorsione aggravata dalle modalità e dalle finalità mafiose.
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