Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Dal nord Europa alla Milano metropolitana, fino al meraviglioso e selvaggio paesaggio della Calabria, quando passando per la Limina e i territori aspromontani sembra di entrare in un’altra dimensione, in uno scenario classico, intriso di misticismo e magia. “Anime Nere” di Francesco Munzi, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, è quasi interamente girato in Calabria, all’interno della naturale scenografia protourbana di Africo (Rc).
Leo è un ragazzo determinato, coraggioso e schivo del pericolo, virtù che purtroppo utilizza per coltivare la sua indole mafiosa. Lo stesso è figlio di Luciano, pastore di Africo, dedito al proprio lavoro e lungi dal menare un'esistenza malavitosa. Luigi e Rocco sono i fratelli di Luciano, entrambi andati a vivere a Milano: l’uno gestore del narcotraffico, l’altro imprenditore che non ha mancato di sfruttare l’ala protettrice di Luigi per fare carriera.
Tutto comincia con una bravata di Leo, supportato dall’amico Peppe, il quale, reduce da una normale lite, decide di sparare dei colpi di fucile alla saracinesca di un bar, di proprietà di colui che aveva “osato” offenderlo. Commesso il misfatto, il ragazzo lascia Africo per andare a trovare lo zio Luigi a Milano, ma la notizia di quanto aveva commesso arriva con lui.
È il boss Barreca di Africo che convoca in udienza Luciano per riferirgli di mettere in riga il proprio figlio, reo di avere commesso uno “sgarro” contro uno dei suoi protetti.
Da qui, il sentiero della vendetta è a soli due passi. L’ira di Barreca, scatenata dal giovane Leo, diventa un espediente da sfruttare per Luigi, che, durante il viaggio per portare le partite di cocaina da Milano in Calabria, decide di rientrare ad Africo con l’intenzione di recuperare una situazione di dominio che a livello locale era passata in mano altrui. La quantità di cocaina da spacciare in Calabria questa volta era stata divisa diversamente dal solito: per don Tallura, capo dell’omonima cosca, il quantitativo da smerciare è maggiore, una sorta di omaggio fattogli da Luigi, che con questo dono chiede alla famiglia di allearsi con lui per spodestare il boss Barreca, mandante risaputo proprio dell'omicidio del padre di Luigi.
Nel film i riti funebri diventano un meeting e un registro anagrafe per conoscere i partecipanti. Il sangue giovane di Leo, nonostante gli avvertimenti dei familiari, bolle e grida vendetta. La clip di un gregge non governato e in balia della pioggia traduce in una magistrale serie di fotogrammi la confusione mentale di Luciano, che, come il pensatore di Rodin, cerca il da farsi...
Per andare oltre la mera descrizione di una storia, abbiamo rivolto delle domande allo scrittore di “Anime Nere”, Gioacchino Criaco, il quale nel film di Munzi ha partecipato anche alla sceneggiatura.
Sono molte le differenze tra il film e il libro. Naturalmente Munzi ha voluto metterci anche la sua firma...
Sì, la mia storia si arricchisce naturalmente della firma del bravo regista. Innanzi tutto i miei personaggi, quelli di Luciano, Luigi e Rocco, nella metafora implicita di Munzi non rappresentano tre persone distinte, bensì una, con due suoi alter ego. Il personaggio cardine è rappresentato da Luciano, che con grande volontà combatte per sconfiggere le sue personalità malvagie. Lui deve sconfiggere il male che ha dentro, la sua parte cattiva. Qui Luciano è anche una sorta di metafora della società, che deve impegnarsi a sconfiggere il male. Una frase molto significativa di questa sfida è la frase della Bobulova, che interpreta la moglie di Rocco. La stessa, dopo la morte di Luigi, nel convincere il marito a lasciare Africo per fare ritorno a Milano sostiene: “Io non sono come voi!” al che Rocco risponde: “Perché, tu come sei?”. Qui ci sta un messaggio profondo. Il personaggio interpretato dalla Bobulova negli anni ha sempre goduto dei benefici arrivati dagli illeciti commessi dal marito, dichiarando, seppur tra le righe, una sua appartenenza alla malavita. Ora, non ignara dell’imminente pericolo, ipocritamente sostiene di essere diversa. Così si comporta a volte la società. Gode dei benefici – tra virgolette – attribuibili ad attività illecite e poi cerca di esimersi da qualsiasi responsabilità. Come Luciano, anche noi stessi siamo preda del male. E noi dobbiamo sconfiggerlo. Non ci deve essere commistione tra i due mondi, quello della società civile con quello della mafia.
Stando alle rigide gerarchie della 'ndrangheta, la storia di Luigi, Rocco, Luciano e suo figlio Leo, sembrerebbe più una storia di Camorra... esistono in Calabria famiglie poco "fedeli alla tradizione"? Stanno cambiando anche le vecchie convenzioni?
Secondo me le convenzioni oramai contano poco. Il fenomeno della criminalità adesso è soltanto una questione di affari che mutano anche l’assetto delle gerarchie. Sì, l’atteggiamento di Leo soprattutto potrebbe sembrare lontano dalle convenzioni verticistiche della ‘ndrangheta. Ma l’errore che si commette è quello di identificare “Anime Nere” come un film calabrese. Nonostante sia stato girato in Calabria, Munzi ha voluto fare un film universale. Ne conviene dunque che il regista qui non parla di ‘ndrangheta, bensì di un sistema malato che può riscontrarsi in qualsiasi luogo o società.
È strano ma è vero: alla fine del film, nonostante gli elogi per la storia raccontata magistralmente, il pubblico si aspettava, quasi voleva, che si consumasse la vendetta. Perché?
È naturale! La filmografia alla “Capo dei capi” in questi anni, ma non solo, ha sempre plasmato la figura del mafioso come quella di un eroe. Munzi invece ha voluto mostrare la faccia tragica della criminalità, creando la figura dell’antieroe, per dare soprattutto ai giovani un messaggio positivo. Il fascino del mito qui non esiste, bisogna liberarsene.
Pensi che possa mai succedere in Calabria un finale alla "Anime Nere"? Una sorta di vendetta al contrario?
Basta leggere le pagine di storia giudiziaria per capire che questi finali sono comuni anche in Calabria. Se non con le stesse modalità, il male che sconfigge il male è quasi sempre una costante. Un esempio sono i molti collaboratori di giustizia, fratelli o parenti, che con estremo coraggio denunciano l’attività illecita dei propri familiari.
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