Mercoledì, 08 Aprile 2015 12:39

Vibo, il capogruppo del Pd indagato dalla Dda per concorso in estorsione

Scritto da Redazione
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VIBO - «Tu quei lavori non puoi lasciarli, quello è il legale di “zio Carmelo”… non devi creare problemi».

Queste le frasi – riportate stamattina dalla Gazzetta del Sud – contenute nei carteggi dell’inchiesta avviata dalla Dda di Catanzaro su alcune vicende di usura che risalirebbero al 2006. Spunti particolari emergono soprattutto perché l’avvocato in questione, secondo l’accusa, sarebbe Marco Talarico, capogruppo del Pd in consiglio comunale a Vibo Valentia, ma anche perché a proferire le minacce a discapito dell’imprenditore Nunzio Buttafuoco sarebbero stati gli esponenti del clan Lo Bianco, cosca egemone nella città capoluogo. I pm Camillo Falvo e Ivan Bellafante, stando a quanto riporta la Gazzetta in un articolo di Nicola Lopreiato, già da tempo stanno tentando di fare luce sul caso legato a fatti di usura che si snodano sull’asse Vibo-Filogaso, e che la vittima, Buttafuoco, ha trovato il coraggio di denunciare solo alcuni anni dopo. Nel mirino degli inquirenti è finito dunque anche Talarico, indagato per concorso in estorsione aggravato dalle modalità mafiose ai danni dell’imprenditore. Talarico, che oggi è a capo di un’associazione di volontariato impegnata nella gestione di un centro per immigrati a Briatico, fino al 2010 era stato anche presidente dell’assise cittadina, e alle amministrative del 2005 era stato tra i candidati più gettonati, riscuotendo un successo elettorale che lo aveva portato ad essere tra i primi eletti. 

Sono nove gli indagati a cui è stato recapitato l’avviso di conclusione indagini per fatti di usura ed intimidazioni. Tra questi è annoverato anche il caso di Buttafuoco, imprenditore edile che secondo i pm catanzaresi sarebbe stato costretto dagli esponenti del clan Lo Bianco a proseguire nella realizzazione di opere murarie all’interno del casolare di campagna di proprietà dell’avvocato Talarico, «il legale di zio Carmelo». I lavori sarebbero stati sospesi a causa dei mancati pagamenti delle opere realizzate in precedenza dalla ditta edile, ed allora, nel 2008, il 43enne Giuseppe Lo Bianco e Nicola Manco, 53enne genero del defunto boss Carmelo Lo Bianco (detto Piccinni), secondo gli inquirenti, avrebbero ordinato a Buttafuoco di proseguire i lavori, prima intimidendolo a bordo della loro automobile, poi distruggendogli il cellulare proprio in presenza di Talarico.

Il legale avrebbe, quindi, sempre secondo l'accusa, tratto vantaggio dalla realizzazione delle opere – due caminetti –, per le quali non avrebbe corrisposto alcun pagamento. Ma il cerchio attorno ai “caminetti di Talarico” si allarga se si considera che in seguito sulla vicenda sarebbe intervenuto direttamente anche un altro vecchio boss, don Paolo D’Elia, 87enne, arrivato in provincia di Vibo per sfuggire ad una faida scoppiata negli anni Ottanta a Seminara. Anche D’Elia avrebbe quindi raggiunto Buttafuoco con lo scopo di mettere a tacere le sue lamentele, invitandolo a completare i lavori. In cambio del “favore personale”, D’Elia gli avrebbe concesso la possibilità di aggiudicarsi altri lavori di importo maggiore a Vibo Valentia.

Gli altri indagati che hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini sono Guglielmo Ciurleo, 53enne di Filogaso; Vincenzo Teti, 63enne di Filogaso; Francesco Cracolici, 39 anni e Antonio Muscimarro, 66 anni. Entro venti giorni potranno depositare le proprie memorie di fronte ai magistrati della Dda, i quali poi decideranno se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.

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