Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
C’era il pubblico delle grandi occasioni nella sala convegni del 501 Hotel, ieri a Vibo, per la celebrazione del secondo congresso provinciale del Partito democratico.
E nonostante le voci (di corridoio) – diffusesi nelle ore precedenti rispetto ad un potenziale rinvio dei lavori – tutto, dall’inizio alla fine, si è svolto secondo copione. Un copione scritto democraticamente da un’unica mano e da chissà quanti mesi, con un candidato scelto democraticamente da un’unica mano e da chissà quanti mesi. La magia dell’attesa elezione del nuovo segretario provinciale sta tutta là, racchiusa in un istante fugace, cristallizzata nel brivido effimero di un’acclamazione espressa attraverso un applauso collettivo. La fotografia di una mera ratifica alla quale fa da didascalia la demagogia di routine che ribalta in toto la cruda realtà dei fatti: «Un partito che è di tutti» e dove «i veri protagonisti saranno gli iscritti», perché «loro, e solo loro, ne rappresenteranno la forza». «Basta con gli individualismi. Il partito siete voi, gli iscritti, i circoli del territorio. Oggi ritorniamo a fare la vera politica», è la ciliegina su una torta preconfezionata, stipata in frigo da tempo, fatta servire ai presenti dal (pre)eletto Enzo Insardà.
A garanzia, la partecipazione del responsabile nazionale del partito, Donato Riserbato, la cui presenza dovrebbe bastare già da sola a rendere bene l’idea di un tesseramento «svolto in piena regola», spiega il padrone di casa, il deputato Bruno Censore. Insomma, se non credete a me, chiedete a mia moglie. Poi l’accorato appello alla minoranza, anzi alle minoranze del partito, che disertano in protesta, ed è qui che i toni – adesso che ormai il dado è tratto – si fanno distensivi: «Oggi non si consuma uno strappo, né una forzatura. Miriamo alla ricomposizione del partito attraverso l’aiuto dei gruppi dirigenti, riconoscendo le minoranze perché tale è la democrazia, ma democrazia significa anche riconoscere la maggioranza» spiega il segretario uscente, Michele Mirabello.
Alla fine l’oggetto del congresso pare essere non tanto il nuovo eletto, Insardà, ma quelli che al congresso non ci sono andati e che, anzi, fino alla fine avevano provato a fermare i piani di Censore e ottenere – con una contro forzatura – lo slittamento, l’ennesimo, del voto, o meglio dell’acclamazione. Ecco palesarsi allora, se la prova del nove fosse ritenuta necessaria, il volto compiuto di un partito che vorrebbe apparire nuovo e invece si tiene in pancia tutti i germi degli ultimi decenni, che vorrebbe intercettare il consenso moderato ma al suo interno è sempre più un campo di battaglia, che vorrebbe essere il «partito di tutti» ma finisce per trovare fondamento unico nel senso personalistico della leadership, che vorrebbe apparire democratico ma invece rappresenta il simbolo più eloquente dell’anti democrazia. Uno spazio in cui vige la legge del più forte, punto e basta. Dove le prove muscolari, le decisioni unidirezionali, si camuffano sotto le mentite spoglie del dialogo attraente, di una speranza che non fa paura, che ci tiene a realizzare la sua vocazione maggioritaria, riconoscendo però il giusto spazio agli “altri”. Quegli altri che si affannano a rimanere nel partito che a Vibo è di Censore perché pensano ancora che quella sia casa loro, anche se, nella migliore delle ipotesi, potrebbero accontentarsi di soggiornare in veranda: «Abbiamo ritenuto – ha spiegato proprio Riserbato – opportuno per il bene del partito concludere un processo inclusivo di partecipazione agli organismi. Oggi dunque facciamo il segretario ma tra una settimana ci rivediamo per definire gli organismi».
Allora, da una parte ci sta il padrone assoluto, che ogni qualvolta da Roma cala qualche emissario del partito nazionale, finge di mostrarsi padre indulgente pronto a perdonare i figli capricciosi, e dall’altra, appunto, la prole incontentabile e bizzosa dei De Nisi, dei Callipo e dei vari ed eventuali ex alleati che promettono di sbattere la porta in faccia e scappare via (per andare dove poi?), ma in realtà continuano a sperare, un giorno o l’altro, di poter sovvertire il potere, di avere l’occasione giusta per riscrivere le gerarchie di un partito governato da un autocrate che ognuno di loro sogna di emulare, per iniziare finalmente a manovrare il compromesso, piuttosto che continuare a subirlo. Un nuovo congresso, una nuova era, un nuovo segretario per quello che pare essere però sempre lo stesso partito.
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