Mercoledì, 06 Febbraio 2013 16:30

Sotto indagine il 'sistema Alaco': le responsabilità e le omissioni dei sindaci

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mini acqua_serraAlla fine sono arrivati anche a loro. Non è una sorpresa, a dirla tutta. Non per chi ha seguito l’evolversi del caso Alaco fino al turbinio di eventi di questi ultimi giorni. Roba da sceneggiatori allucinati: black out istituzionali dannosi per la salute pubblica ed equilibrismi da trapezisti funzionali al mantenimento dell’ordine pubblico. Un balletto macabro imbastito attorno al lago dei veleni, che, forse, comincia a non essere più così “gommoso”. Da oggi, in questo vortice di responsabilità istituzionali legate all’acqua pagata “cara e amara” da 400mila calabresi, dopo diversi dirigenti di Sorical, Asp e Arpacal, sono entrati anche 20 sindaci del Vibonese. Altri erano già stati iscritti nel registro degli indagati al momento del sequestro preventivo dell’invaso, avvenuto il 17 maggio scorso. L’accusa, relativa al periodo 2009/2012, per gli amministratori locali, è omissione di atti d’ufficio

: non hanno disposto sull’acqua i controlli previsti dalla legge, nello specifico dal D.Lgs. 31/2001. Gli inquirenti contestano a sindaci ed ex sindaci di non aver effettuato tutte le analisi previste per le acque dell’Alaco, fidandosi ciecamente di ciò che riportavano Asp e Arpacal, enti di cui sono già indagati diversi tecnici e dirigenti.

Alla Procura, ovviamente, il compito di accertare le responsabilità penali, ove ci fossero, degli indagati. Non si può tacere, però, della responsabilità politica e morale che questi amministratori dovrebbero assumersi di fronte ai cittadini che amministrano e che hanno amministrato. L’Alaco pompa acqua inquinata nelle vene del sistema idrico regionale fin dal 2006. I problemi non sono mai mancati, prima sulla jonica, a San Sostene, poi nelle Serre e infine a Vibo Valentia. Nessun amministratore – neanche chi scopre l’Alaco solo oggi e cerca invano di cavalcare l’onda – ha mai avanzato un dubbio sull’adeguatezza di quel bacino. Nelle Serre tutti sapevano che era un’ex discarica abusiva e che non era mai stata fatta un’opportuna bonifica, eppure per i sindaci di ieri e di oggi è stato più comodo non accorgersene. Hanno preferito il rischio di mandare acqua avvelenata ai loro cittadini piuttosto che la certezza dell’autonomia da Sorical. Si sono comodamente allacciati ad un invaso al veleno, hanno “girato” a Sorical tanti soldi dei cittadini, e hanno abbandonato l’acqua pura che sgorga da secoli da queste montagne. Stessa storia: di centrodestra e di centrosinistra, con Loiero e con Scopelliti. Tutti indagati.

Ricapitoliamo. Il certificato di idoneità dell’acqua dell’invaso, ancora oggi, non è stato trovato. Pare che non esista. L’acqua del principale affluente del lago, il fiume Alaco, è classificata nel piano regionale di tutela delle acque sotto la categoria A3, ovvero tra le acque che necessitano di un trattamento chimico-fisico spinto. Il potabilizzatore dell’Alaco è sottodimensionato e destinato al trattamento di acque A2, molto meno “dure” di quelle del bacino. L’invaso e l’impianto sono sotto sequestro giudiziario. Ci sono testimonianze che raccontano di camion abbandonati e di traffici inquietanti. Le tracce della mancata bonifica sono visibili ad occhio nudo. Scoppia l’allarme benzene: due mesi per comunicarlo, due ore per smentirlo. Qualcuno ci prova, a dire che è tutto a posto, ma l’Arpacal spiega che, oltre alla storia grottesca del benzene “simpatico”, erano stati rilevati dei cloriti, e che quindi l’acqua non era potabile fin dal 7 dicembre. C’è qualcuno, evidentemente, che cerca di insabbiare tutto, ma gli ingranaggi del “struttura”, forse non oleati a dovere come un tempo, sono saltati, e il grumo di sospetti sul “sistema Alaco” adesso non si scioglie così facilmente. Specie in quell’acqua che, forse, proprio acqua non è. Ma non ditelo ai sindaci del Vibonese: lo scopriranno prima o poi, con i loro tempi.

 

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