Mercoledì, 04 Maggio 2016 18:20

Mio caro nemico. Campagne elettorali da guerre in famiglia

Scritto da Salvatore Albanese
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SERRA SAN BRUNO - Ci sono molti modi di intendere la politica illudendosi che la si stia facendo. 

C’è la politica da bar (praticata ad intermittenza ed in funzione della dose di caffeina che si è soliti assumere con cadenza quotidiana); la politica da spalmare (o meglio il “pane e politica” che pensano di aver ingerito quelli che hanno avuto in tenera età almeno un genitore consigliere comunale); la politica per passione (quella di chi mostra poca fantasia nel cercarsi un hobby originale); la politica d’affare (direttamente proporzionale al profitto che se ne riesce a ricavare); la politica da sala d’attesa del dentista (perché di qualcosa si dovrà pur parlare e lo scudetto lo ha già vinto la Juventus) e la politica del «c’è mia figlia candidata» (ultima frontiera del “tengo famiglia” incarnata da chi si ritrova impacciato, per la prima e ultima volta nella vita, a chiedere voti anche ai lampioni della luce in due mesi scarsi di campagna elettorale). E poi c’è la versione peggiore, la politica da stadio. Quella degli ultras, degli assalti frontali ed armati, dei fumanti e dei fumogeni, degli slogan da tifosi quasi sempre antisportivi, del perorare una causa che non debba essere necessariamente di destra o di sinistra, ma che sfiora appena la superficie delle cose e lascia ogni opinion leader, che vorrebbe orientare i desideri altrui, fermamente convinto di quello che ha detto (non necessariamente di quello che pensa) senza alcuna vera ragione di fondo.

Ed è proprio questa la variante più fanatica e più pericolosa. Quella che – il passo è breve – sfocia presto nel duello ad ogni costo, nel guanto di sfida sbraitato in faccia all’avversario, nella sete di sangue caldo, di divisione, nella distruzione delle vecchie amicizie, nelle faide familiari, nel dissidio che persiste oltre la politica perché intriso da odio tanto profondo quanto, alla fine, ingiustificato. Nella migliore delle ipotesi ci si ritroverà dopo anni a pensare quanto fosse stata inconsistente la ragione dalla quale si era partiti. Ma per il momento niente abbracci, niente moine sdolcinate, né adunate sediziose o capannelli di uomini se non costituiti da persone della stessa affiliazione. Sette gnostiche in cui il sangue arriva al cervello e lo offusca, trasmette alla bocca discorsi rozzi e superficiali ai quali si impastano pregiudizi e luoghi comuni basati sull’emotività e non su un ragionamento lucido e distaccato. 

All’origine di tutto un interesse individuale, un’illusione intima e privata, la vendetta e l’astio verso la controparte che già tuttavia fu residenza del belligerante pentito o, peggio ancora, la fedeltà cieca verso il capo di turno che diviene inconsciamente organizzatore esistenziale. L’indiscussa certezza che sia lui il migliore, perché lui è lui, punto e basta. E chi osa contraddire, magari osannando il primo degli avversari, il leader dell’area dirimpettaia, il contro-mito, merita la forca. Al rogo nella pubblica piazza dopo essere stato apertamente schernito, fino alla soddisfazione finale per la sua morte (politica), risparmiabile solo ed esclusivamente nel caso in cui questo stesso decidesse di sottomettersi alla posizione avversaria. Come in guerra, anzi più della guerra: un atto di violenza per costringere il nemico ad allinearsi ai nostri piani, ad eseguire le nostre volontà, ad essere dominato. Inutile aspettarsi, da chi intende fare di quest’arte la propria professione, il buon senso e la lungimiranza di tenere sempre bene a mente il principio del rispetto verso chi ha un’ideologia diversa, quantomeno nel momento in cui si rilasciano dichiarazioni pubbliche. Si finisce così per ottenere un vertiginoso calo della qualità della discussione politica, fino ad azzerarla, a renderla semplice melma da gettare verso la tifoseria opposta. E se già non ci siamo arrivati, manca davvero poco.

A sputare benzina sul fuoco chi, da posizioni diverse e per interessi diversi, quasi sempre per il mantenimento di uno status quo, con costanza ormai quotidiana incita proprio alla violenza bruta fra i supporters, riuscendo però a non sporcarsi mai le mani. «Fuori il sangue e niente tanghi appassionati», si impone alle truppe che a loro volta faranno da cassa di risonanza attuando e riproponendo l’ordine. Supini sull’altare del sacrificio si troveranno distesi allora i giovani, gli uomini e le donne di mezz’età o gli anziani che comuni mortali erano e comuni mortali resteranno anche dopo il 5 giugno, la data delle elezioni. E non, piuttosto, chi realmente ha tratto grosso profitto dalla politica nella vita. Perché lo scontro non vedrà mai, direttamente ed esplicitamente, coinvolti i “pezzi grossi”. Anzi sono proprio loro che di duelli all’ultimo sangue fra miserabili, di macellerie sociali dove il povero combatte contro il povero, devono cibarsi per riuscire a mantenere le posizioni di vertice. 

Sul ring della spietata contesa elettorale vedremo allora più gente nata dallo stesso grembo o amici cresciuti nello stesso condominio e oggi pronti ad odiarsi, che chi realmente ha moltiplicato a dismisura il proprio conto in banca rivestendo cariche politiche di prestigio. A memoria non si ricorda di capicordata che se le siano mai date di santa ragione in termini diretti ed espliciti, né in maniera violenta e spietata. Quindi che la smettano di ballare loro il tango, quelli che dalla politica hanno avuto molto, anzi troppo. Che gli avvelenatori seriali la finiscano di incitare alle divisioni, alle dure belligeranze fra giovani, alle risse in famiglia, fra conoscenti o, e non è poco, fra concittadini. Per la guerra reclutate i capi. Sbattete in prima linea quelli che facendo finta di combattersi speculano sulle vite altrui.

Gli elettori, al di là della bandiera che vorranno sostenere, si preoccupino prima di mantenere saldi i rapporti con le persone vicine, con i conoscenti ed in particolare con la propria famiglia. È una delle cose più preziose che abbiamo. 

Per il resto buona campagna elettorale a tutti.

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