Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
C’è voluto il quinto tentativo, dopo i rinvii dell’ottobre 2015 e quelli di marzo, giugno e luglio 2016, per arrivare finalmente a una prima decisione sul caso “Acqua sporca”, emerso grazie ad un’inchiesta coordinata – a partire dal 2009 – dall'allora procuratore capo della Repubblica di Vibo, Mario Spagnuolo, e dal sostituto Michele Sirgiovanni, e condotta dai militari del Nas di Catanzaro, del Reparto Operativo di Vibo e del Corpo forestale dello Stato.
Un’inchiesta complessa, difficile, che aveva fatto leva anche sulle relazioni rese da ben tre consulenti tecnici della Procura. Un’inchiesta portata a termine già nella primavera del 2012, a seguito della quale si era arrivati a porre sotto sequestro preventivo (poi convalidato) l’invaso Alaco e larga parte degli impianti che conducono, ogni giorno, ancora oggi, acqua a centinaia di migliaia di cittadini residenti nella fascia centrale della regione, in tre province: Vibo, Catanzaro, Reggio.
Due giorni fa un primo, piccolo passo: tutti gli indagati, sedici dopo una scrematura che ha rivisto e archiviato le posizioni di altrettanti, sono stati rinviati a giudizio. La prima udienza del processo vero e proprio avrà luogo il 21 febbraio 2017. Insomma, saranno già trascorsi 5 anni tondi tondi quando la pachidermica macchina della giustizia inizierà a camminare, lentamente, molto lentamente, verso un verdetto.
Allora, come una febbre novembrina, ciclica, l’Alaco ritorna. E un po’ tutti, vittoriosi, abbiamo di nuovo infestato i social con l’immagine di quella maledetta distesa d’acqua incastonata in un verde da cartolina. Un ossimoro: un lago esteticamente paradisiaco nel cuore di un altopiano incantevole, ma allo stesso tempo spettrale. Lugubre nella sua essenza, nella sua storia, in quello che rappresenta. Intanto, via con l’amarcord degli articoli di giornale, delle foto delle manifestazioni in piazza, dei filmati, dei servizi delle Iene, di Santoro, di Crash, di qualsiasi altro appiglio che possa permetterci di urlare che è una vittoria anche nostra, che questa vergogna la denunciamo da anni.
Ma siamo sicuri che di vittoria possa trattarsi? Certe esternazioni fanno pensare alla giustizia che finalmente emerge e non piuttosto al fatto che ci vogliono cinque anni dal sequestro dell’impianto perché il caso arrivi in un’aula di Tribunale. E chissà quanti altri ancora ce ne vorranno per arrivare a conoscere la verità giudiziaria. Senza dimenticare che c’è un secondo filone dell’inchiesta – ancora ad uno stato di poco superiore alla condizione embrionale – che dovrebbe servire ad illuminarci concretamente sulla qualità dell’acqua che ci arriva a casa da ormai più di dieci anni. Perché rispetto alla sostanza reale della vicenda, ossia alla classificazione originaria delle acque dell’invaso nel piano di tutela delle acque della Regione (gli inquirenti ritengono che l’acqua dell’Alaco non sia potabilizzabile neanche con un processo fisico-chimico spinto), ancora la partita è tutta da giocare. Il che significa che ci vorranno ancora molti anni, se di questo passo si continua a procedere, quantomeno soltanto per capire se ogni mattina ci laviamo con acqua degna di definirsi tale o con veleno.
Allora, la vittoria dov’è? Di certo è legittimo l’entusiasmo di noi tutti che abbiamo gioito dopo anni di battaglie da Davide contro Golia, nonostante si tratti ancora di rinvii a giudizio che, tra l’altro, arrivano dopo cinque anni e dopo diversi rinvii per banali errori di notifica. Ma intanto, in questi cinque anni, cosa è successo? Cosa continuerà a succedere fino a quando non si giungerà ad un verdetto? Fino a quando anche la seconda inchiesta sarà chiusa? Cosa sta succedendo da quando l’Alaco – dai primi anni del nuovo millennio – ha iniziato a mandarci l’acqua a casa? E se poi, tra molto molto tempo, ci diranno che, sì, avevamo ragione, che centinaia di migliaia di cittadini sono stati a contatto quotidiano e continuo con acqua contaminata da chissà cosa, poi che facciamo? Facciamo altri processi per farci riconoscere i danni, per avere i risarcimenti? Ma queste violenze, questi stupri, sono risarcibili?
E se i sindaci – eccetto qualche caso isolato – non si decidono a prendere una posizione forte e seria, e a staccarsi definitivamente dall’Alaco per ripristinare le sorgenti pubbliche e continuano, assai vigliaccamente, ad anteporre la salute delle casse municipali (o peggio ancora dei loro loschi tranelli partitici) a quella dei cittadini; e se i cittadini stessi continuano a limitarsi ai caroselli su Facebook ogni volta che viene scritta una banale virgola di questa nauseante vicenda e non si mobilitano davvero, non creano grandi numeri, non scendono in piazza massicciamente e non con i soliti quattro gatti, non occupano i palazzi delle istituzioni, non fanno realmente sentire compatti la propria voce; e se continuiamo a votare ed eleggere rappresentanti politici che se ne infischiano della questione Alaco e che si limitano alla ridicole, inutili e sterili interrogazioncine parlamentari di facciata per far finta che stanno facendo qualcosa; e se continuiamo a sperare solo nella giustizia dei tribunali e non in quella sociale, quando le cose cambieranno mai?
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