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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Il bando varato di recente dall’amministrazione comunale di Serra San Bruno con oggetto la cessione del Centro Mercantile Coperto di piazza Calipari ha riacceso una vecchia discussione inerente all’utilizzo, o meglio al disutilizzo, di molti immobili pubblici presenti sul territorio comunale, dismessi da anni, privi di ogni utilità e condannati all’abbandono assoluto.
Il procedimento relativo al Centro mercantile – più noto come “Mercato Coperto” – spiega che gli aspiranti acquirenti per impadronirsi dell’immobile dovranno presentarsi alle porte del Municipio con in mano almeno i 400mila euro del valore stimato dal bilancio comunale. La procedura è stata definita con il meccanismo dell’asta ed è vincolata alla contestuale presentazione di un progetto preliminare finalizzato al recupero, non solo strutturale, di un immobile che in passato è stato il vero e proprio cuore pulsante del commercio locale, in particolare per la produzione agricola. Insomma, chi vorrà acquisire la proprietà dell’edificio dovrà, centesimo più centesimo meno, investire all’incirca mezzo milione di euro, tra acquisto e interventi di ristrutturazione. Eventualità, questa, che fa maturare il lieve sentore che l’asta, per la quale si dovranno far pervenire le relative offerte entro e non oltre il mezzogiorno del prossimo 6 novembre, andrà con buone probabilità deserta. Anche perché non sembrano comparire all’orizzonte schiere di audaci investitori, pronti a immolare nutriti patrimoni in un’epoca in cui il mercato del mattone è a terra con tutte le ruote e in un contesto geografico che appare ancora in penoso ritardo rispetto all’annunciata ripresa economica. Con buone probabilità, dunque, l’immobile continuerà ad essere di proprietà comunale, e il Comune continuerà a non sapere che farsene, relegandolo così, ancora per molti anni, alla perfetta inutilità.
Nulla, insomma, di aulico né di clamoroso per il rilancio strategico di una struttura che, tuttavia, nel corso delle varie campagne elettorali per le locali amministrative è stata ciclicamente indicata come un potenziale teatro, un potenziale cinema, una potenziale biblioteca, una potenziale casa della cultura, un potenziale centro di aggregazione per giovani, un potenziale centro di aggregazione per anziani, un potenziale eccetera, eccetera.
Ma si tratta solo di uno dei tanti beni immobili di ampia superficie presenti sul territorio di Serra San Bruno e destinati da troppi anni all’inesorabile usura del tempo. Tra questi quello che più ha fatto discutere di recente è di sicuro l’ex Carcere mandamentale di località San Rocco. Un immobile storico, ubicato alle porte del paese e recuperato grazie all’impiego dei fondi comunitari Pisl-Calabria, per un importo di 560mila euro (ai quale si erano poi aggiunti ulteriori 250mila euro per la realizzazione di interventi complementari), la cui consegna definitiva dei lavori era arrivata nel novembre 2014, durante la gestione dell’ex sindaco Bruno Rosi. Milleseicento metri quadri di superficie complessiva, se si considerano anche i giardini esterni, resi pienamente fruibili, ma mai effettivamente consegnati alla comunità. Anche il vecchio carcere è stato più volte risucchiato nella macina degli impegni mai mantenuti delle più disparate campagne elettorali, in virtù di una destinazione d’uso a “carattere museale” (l’idea di base sarebbe quella di crearne all’interno una pinacoteca) che nel tempo però ha data più spazio all’esposizione di vuoto e muffe che di quadri e altre opere d’arte. L’attuale primo cittadino, Luigi Tassone, tra le righe, ha fatto sapere nei giorni scorsi che qualcosa starebbe bollendo in pentola rispetto ad un imminente utilizzo di un luogo di cultura pronto all’uso, già strutturato per ospitare spazi espositivi e multimediali, reso idoneo alla fruizione anche da parte delle persone diversamente abili. Basterà aspettare ancora per poco, pare, ma con la speranza che una reale attivazione dell’infrastruttura non venga fatta slittare fino al turno delle prossime promesse da campagna elettorale.
Altro immobile degno di nota l’ex Pretura di via Vittorio Emanuele III, architettura in stile Littorio, realizzato durante il Ventennio con le facciate esterne caratterizzate dalla presenza dei tradizionali fasci, parzialmente rimossi a partire dalla caduta del regime. Scenario, fino agli anni ‘90, di innumerevoli udienze civili e penali, ma rottamata dalle riforme del sistema giudiziario che si sono susseguite nel tempo e che di fatto hanno condotto verso l’abolizione delle preture a favore dell’avvento degli uffici del Giudice di pace. E così come per le sue funzioni, anche l’edificio si è progressivamente deteriorato fino allo sgombero definitivo per inagibilità strutturale. Condizione che sussiste ancora per il piano superiore del palazzo nonostante i recenti interventi di riammodernamento che hanno interessato però esclusivamente gli intonaci e gli esterni e un’ala del piano inferiore. Nel vicino passato ancora le forze politiche che si sono alternate alla guida della cittadina ne hanno fantasticato prima la realizzazione di un centro di aggregazione (nel dicembre 2015 la giunta dell’ex sindaco Rosi presentò un’istanza di partecipazione – mai presa in considerazione dal ministero competente – ad un bando nazionale avente ad oggetto «interventi volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto socio-ambientale di riferimento, con particolare attinenza alla promozione delle attività culturali, didattiche e sportive»); più di recente, nel piano delle opere pubbliche stilato a fine 2016 dalla neo giunta Tassone, l’immobile era stato inquadrato come sede Coc (Centro operativo comunale per le funzioni di Protezione civile). In tal caso il progetto di «rafforzamento locale e miglioramento sismico dell’edificio ex Pretura» avrebbe dovuto beneficiare di un investimento di 648.355 euro. Ad abitarlo però, ad oggi, è il nulla.
Come non citare poi in siffatto quadro di buone intenzioni il Kursaal, un tempo glorioso stabile di ospitalità, poi di buona cucina, di feste e cerimonie eleganti, poi infine emblema di vuoto e di abbandono nel cuore del centro abitato cittadino. Pochi anni fa, ancora durante la gestione Rosi, è stato completamente murato, con gli ingressi e le finestre sbarrate da mattoni e cemento per evitare l’accesso ai cani randagi e agli esseri umani, con quest’ultimi rivelatisi per le condizioni della struttura molto più deleteri dei primi. Allo stesso tempo l’edificio è stato cinto da un’inferriata, per sottrarre anche il giardino esterno da razzie e sporcizie al limite della crisi igienico sanitaria. Inutile raccontare che anche in tal caso si era parlato del certo intervento di recupero di una struttura che in un batter d’occhio sarebbe stata convertita in teatro o museo e via dicendo. Si sarebbe trattato però di fare i conti senza l’oste visto che qualsivoglia amministrazione comunale poco avrebbe potuto decidere rispetto alla destinazione d’uso di un immobile che è in realtà di proprietà della Regione Calabria, intenzionata da ormai quasi un decennio a liberarsi del pesante ed inutile fardello: il Kursaal è stato inserito infatti nel prospetto dei beni alienabili per un valore di 300mila euro. Ma anche in tal caso si registra la costante moria di acquirenti benevoli.
Insomma, una batteria vastissima di palazzi del nulla che conta di certo la presenza di un’altra struttura meritevole di menzione come la vecchia Caserma ubicata nel cuore del centro storico di Terravecchia. Il piano terra di Palazzo Bifezzi, storica casa per lunghi anni della benemerita, nel 1999 era stato acquistato dalla Provincia di Vibo Valentia, ai tempi non ancora in dissesto finanziario, con l’intenzione di «incrementare lo sviluppo turistico e culturale del territorio delle Serre». Concetto, questo, passato a più riprese dalla bocca dell’allora assessore provinciale Lidio Vallone e da molti altri rappresentati partitici del luogo che avevano lasciato pregustare all’elettorato il sapore dolce della pronta realizzazione «di un Centro di studi bruniani con annesso un museo di storia certosina». Ed ancora, molto più di recente, il palazzo avrebbe dovuto beneficiare di un nuovo e corposo intervento di recupero che gli avrebbe permesso di ospitare agevolmente le sedi cittadine degli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps. Chiaramente anche in tal caso non se n’è fatto nulla.
Ed ancora il caso della Palestra interscolastica di via Guardaboschi Mulè, finita sottochiave dal giugno 2016, per «condizioni di sicurezza precarie e criticità igienico sanitarie». Una struttura sfortunata, realizzata con vent’anni circa di ritardo rispetto alle scadenze stabilite e, una volta completata, finita nella "terra di nessuno", con il Comune di Serra San Bruno e la Provincia di Vibo Valentia che nel tempo si sono rimpallati a vicenda responsabilità e competenze. Una condizione che spesso ha favorito l’avvento di soggetti che, senza alcun titolo, si sono appropriati della gestione della struttura adottando, con convinzione, tutti i codici “virtuosi” del consumo smisurato di acqua, luce e risorse. Solo per una breve parentesi la gestione era stata invece ottimizzata da alcune società di pallavolo che, con fondi propri, si erano impegnate al mantenimento e al recupero di un impianto come pochi altri nell’intera provincia di Vibo Valentia, ma che oggi è tristemente di nuovo destinato, anche questo, all'abbandono. Oltre al danno la beffa: la Palestra interscolastica è, per posizione, da considerare appendice della scuola media statale “Ignazio Larussa”, con i due corpi praticamente incollati uno all’altro, ma il 3 agosto scorso sono stati aggiudicati definitivamente i lavori per la realizzazione di una nuova palestra da destinare alla stessa scuola media. Un perfetto doppione, insomma, finanziato dall’Istituto per il Credito sportivo per una progettazione esecutiva da 111mila euro.
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