Giovedì, 29 Gennaio 2015 12:09

Cartoline da Montecitorio

Scritto da Angelo De Luca
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(la satira del Vizzarro)
Parodia semiseria di due provinciali a Roma

Si erano svegliati presto quella mattina. La doccia, furbi, l’avevano fatta già la sera prima. «No, è mejju cusì risparmiamu tempu», si erano detti nell’ultima telefonata organizzativa prima della partenza per la Capitale. E glielo aveva detto pure il loro uomo ombra, nome in codice Mary Frank, di professione supermegasindacalista, lo spin-doctor dalle palle a parallelepipedo e dal portafoglio pieno di bigliettini da visita, uno che di cazzi e mazzi romani se ne intende, o almeno così credevano gli altri. «Fijjoli – rimbrottava ai suoi discepoli di primo pelo Andrea e Raffaele, emozionati come bambini davanti ad un regalo di Natale –  io u sacciu comu funzionanu sti cosi, i contrattempi aviti u mi calcolati tutti. Chi sacciu, menti ca ncè ‘nu camiu, ‘na filara i machini… ‘na vota pizzicaj ‘nu matrimoniu, figurati tu!». «Seeee…? ‘Nu matrimoniu! – obiettava astutamente Andrea, un ragazzo a detta di tutti intelligente – ‘Nu matrimoniu e cincu da matina?». «E cincu da matina, sì. Pecchì, no po capitari? – rimarcava con asprezza il supermegasindacalista -. Menti ca si stavanu ricojjendu da festa, non è possibili? Amu ndi vidi ancora cosi tu, bellu mio».

Andrea era un ragazzotto di buona famiglia, educato a pane e socialismo simulato, quasi craxiano. Già da piccolo pare fosse molto al passo coi tempi. Infatti, alle scuole elementari riusciva a farsi rubare ogni mattina i soldi della colazione dalla tasca facendo l’impalato al gioco dello schiaffo e contemporaneamente pensava, divertito, che il gioco lo stesse reggendo lui. Poi, crescendo, è persino migliorato, tanto da arrivare a Roma a sedersi con la ministra per discutere dei problemi della sua terra. Disoccupazione, povertà, strade rotte e ‘ndranghete varie non lo lasciano dormire la notte. Per poter sviluppare il suo cazzuto piano di rinascita era riuscito a stringere persino un patto col diavolo, arrivando a ricoprire, nientepopodimenoché, la carica di presidente. La strategia era sempre la stessa: vecchia scuola, possibilmente elementare.

Di simile estrazione era anche Raffaele, con la differenza che a farsi passare troppo per intelligente non provava gusto, o meglio, al momento non era prioritario. A lui piaceva essere così, una spalla sicura, una buona compagnia, il classico fijjolu d’oru insomma. Campava di rendita e della politica aveva fatto una questione di purezza, quasi una specie di Lavoratore socialmente utile, ma ben retribuito. Pare addirittura che per non gravare sulle disastrate casse pubbliche, quella mattina, si fosse pagato il biglietto dell’aereo per conto suo, senza indennizzi, diarie e benefit vari. Un santo. A Raffaele interessava solo il prestigio di essere per un giorno nel salotto assieme a quelli della tv, tornare a casa con una bella foto del Colosseo, di San Pietro e del Parlamento. Non che a Roma non ci fosse mai stato, figurati, ma vuoi mettere andarci adesso da alto rappresentante istituzionale? A lui piaceva fare – così come testimoniato dal prezioso foulard damascato – bella figura.

A vederli freschi e sbarbati, alle 5 in punto di mattina in aeroporto, sembravano più due uomini d’affari che due tutori delle istanze del popolo. Per l’occasione si erano persino comprati le cuffiette per l’I-Phone e la 24ore di pelle nera. Andrea, per darsi delle arie, si era pure fermato all’edicola per prendere “La Repubblica” e il “Corriere della Sera”, e camminava portandoli sottobraccio.

Quella di Roma era poi un’esperienza di tutto rispetto, una missione da portare a termine con il massimo risultato possibile. Lo sapevano bene i due rampanti rampolli, i problemi del loro territorio erano a bizzeffe e loro nella Capitale ci stavano andando per risolverli e far vedere alla gente, quelli sì provinciali e tamarri, di cosa erano capaci. C’erano infatti da fare le foto con i politici, da comprare l’agenda con il marchio del Senato, da stringere mani a destra e manca, poi le calamite da frigorifero con la faccia di Papa Francesco da portare agli amici e la sfera di vetro con il Colosseo dentro e che quando la rovesci all’ingiù fa pure la neve.

Poi, in tarda mattina, ecco arrivare finalmente l’ora ics per l’atteso incontro con la ministra. «È calabrisi come a nui, mo’ lu vi’ si ‘ndi fa cuntenti!» esclamava entusiasta Andrea. «Guarda chi lussu! Guarda lampadari. E li tappeti?» gli fece notare Raffaele, entrando in punta di piedi nella sede del Ministero. Peccato, però, che la riunione si fosse conclusa poco dopo con un nulla di fatto: «Ne discuteremo al prossimo incontro» si erano sentiti dire sbrigativamente dalla conterranea. Ma di tornare a casa a mani vuote non se ne parlava proprio, anche a costo di stare qualche giorno in più. Le promesse le avevano fatte a tanti. «Mandatindi almenu na cartolina!», gli avevano raccomandato i funzionari.  «E ricordativi – sottolineava quasi minaccioso lo spin-doctor supermegasindacalista nome in codice Mary Frank – u vi fati i fotu cui politici e i giornalisti ca ‘ndi servunu pe Facebook e pe’ giornali e televisioni!».

E ai dipendenti? Anche a loro era stata promessa qualcosa. Ma dai, a due ragazzi alle prime armi e così volenterosi per giunta, gli errori si possono comunque perdonare. Certo, sono saliti a Roma per dare una svolta alla Provincia, ma è andata male. Dalla vita non si può avere sempre tutto. Che cosa ci vogliamo fare se da quel tavolo in cui dovevano discutere di istanze, problemi e possibili soluzioni, non hanno cavato un ragno dal buco? Cosa raccontare allora ai tanti operai senza stipendio da mesi, alle tante famiglie senza pane per i propri figli, ai tanti ragazzi senza futuro? Niente, pazienza. Sarà per la prossima volta, nessuna soluzione da Roma. Niente di niente. Neanche i souvenir di Papa Francesco e i colossei innevati. «Li accontenteremo con una foto simpaticissima avevano concordato assieme a un vips, con abbraccio, sorriso e con scritta dietro una bella dedica»:

Lavoratooooori?!? Tanti saluti da Roma.
Vostro, Bruno.




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