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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Torna prepotentemente d’attualità il mistero di Ettore Majorana. Dove trascorse gli ultimi anni della sua vita il fisico siciliano?
Sono state tante le ipotesi – rivelatesi spesso semplici ricostruzioni fantasiose – che hanno tentato di fare luce sulle sorti del geniale professore di Fisica dell’Università di Napoli, braccio destro di Enrico Fermi, svanito nel nulla alla fine degli anni ‘30. Dalle leggende annebbiate sulla Certosa di Serra San Bruno ai lanci delle agenzie di stampa nazionali nelle ultime ore, la storia di Majorana continua ad incrociarsi con la Calabria. Calabrese, infatti, è il presunto testimone che ha raccontato, ieri all’Ansa, di aver incontrato Majorana nel centro di Roma 34 anni fa in compagnia del mons. Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana». Majorana, secondo questa ultima testimonianza, in quel periodo sarebbe stato «un senzatetto che vagava nella capitale, e che poi e' stato riportato nel convento dove era ospitato».
Un clochard a Fontana di Trevi
L’uomo racconta di essere stato uno dei collaboratori più vicini a mons. Di Liegro e di aver incontrato Majorana probabilmente il 17 marzo 1981. Ma non si sarebbe trattato dell’unico incontro: «L'ho incontrato in tre o quattro occasioni», afferma questo nuovo testimone, un programmista regista, originario della Calabria ma trasferitosi a Roma in giovane età, e che ha chiesto all’agenzia di stampa, di non citare il suo nome. «Majorana stava in piazza della Pilotta – spiega l’uomo –, sugli scalini dell'Università Gregoriana, a due passi da Fontana di Trevi. Aveva un'età apparente di oltre 70 anni». Il testimone, che faceva parte di un gruppo che assisteva i senzatetto, rimase colpito dal fatto che uno dei clochard sostenne, inserendosi in una conversazione, di avere la soluzione del “Teorema di Fermat”, l'enigma del ‘600 che per secoli è stato un rompicapo indecifrabile anche per i più grandi geni della matematica, tanto che alla sua soluzione si arrivò solo nel 2000, quindi molti anni dopo rispetto ai fatti citati. «A quel punto gli dissi di farsi trovare la sera seguente perche volevo farlo incontrare con Di Liegro. L'incontro avvenne – spiega ancora il testimone – e il sacerdote portò via il senzatetto con la sua auto. Dopo un'ora e mezza tornò e mi disse: “Sai chi è quell'uomo? E' il fisico Ettore Majorana, quello scomparso. Ho telefonato al convento dove lui era ospite e mi hanno detto che si era allontanato. Ora ce l'ho riportato”». Don Di Liegro, apprendendolo dal responsabile del convento, avrebbe anche aggiunto «che Majorana aveva intuito che gli studi che stava facendo avrebbero portato alla bomba atomica e ha avuto una crisi di coscienza e voleva essere dimenticato». C’era un particolare che più di ogni altra cosa faceva pensare al fatto che si trattasse proprio di Majorana: una cicatrice sulla mano destra. Il testimone tentò poi di convincere don Luigi a contattare i parenti del fisico siciliano per riferire i fatti, ma il prete subito si oppose all’ipotesi, raccomandando anzi all’uomo di tacere. Le rivelazioni in merito a questa ennesima ricostruzione sul caso Majorana sono, infatti, arrivate solo ieri, ad oltre 15 anni dalla morte di mons. Di Liegro.
“L’atomica e il chiostro”
Sono tante, dunque, le ipotesi sugli ultimi anni della vita di Majorana, e quando si fa riferimento alla sua morte si finisce quasi sempre per tirare in ballo il monastero di Serra San Bruno, dove si sarebbe ritirato in clausura fino alla morte, dilaniato – anche in tal caso – dal rimorso di essere divenuto corresponsabile dei tremendi sviluppi applicativi, da lui già però preavvertiti, delle devastanti forze nucleari. Sofferenza e assillo che lo avrebbe quindi indotto a ritirarsi nel cenobio di Serra San Bruno. Ma a smentire anche questa ipotesi ci pensò un cronista di razza, un giornalista che conosceva il convento bruniano meglio delle sue tasche, Sharo Gambino che rivelò, appunto, come la storia di Ettore Majorana nella Certosa sia priva di alcun fondamento. Niente di vero, insomma, una pura leggenda. Proprio Gambino, autore sopraffino di storie da romanzo destinate ad essere divorate dai lettori, in seguito ricostruì, in un breve ma prezioso “L’atomica e il chiostro”, le favole che nel tempo videro protagonista la Certosa e ad alcuni suoi presunti ospiti. Insomma, passano gli anni, ed al mistero si aggiunge mistero. Se non è morto in Calabria, nel monastero di Serra San Bruno, che fine ha fatto Ettore Majorana?
Quella foto in Venezuela
Ecco che le cronache più attuali, ancora, ci regalano l’ennesimo colpo di scena. È di questi giorni, a quasi novant’anni di distanza, una nuova ipotesi, diffusa questa volta dalla procura di Roma: lo scienziato era vivo e risiedeva a Valencia, in Venezuela, tra il 1955 e il 1959. Nessun omicidio, dunque. Né tanto meno un suicidio, Majorana si sarebbe, piuttosto, allontanamento volontariamente dall’Italia. A dare man forte alla ricostruzione una traccia, non l’unica ma comunque esauriente se confermata: c’è una fotografia, scattata appunto in Venezuela nel 1955, che mostra il fisico siciliano assieme ad un meccanico d’origine italiana: Francesco Fasani. E furono proprio le testimonianze di Fasani che spinsero, ormai quattro anni fa, il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani a riaprire il caso nel 2011. Il meccanico, intervenendo, già nel 2008 durante la trasmissione “Chi l’ha visto?” in onda in prima serata su raitre, aveva raccontato di aver stretto conoscenza proprio in Venezuela con un tal Bini, uomo di mezza età «esasperatamente riservato». La fotografia perfetta di Majorana. Basterebbe questo per indurre la procura capitolina a formulare la richiesta di archiviazione delle indagini, escludendo quindi alcuna ipotesi di suicidio o omicidio. Fasani, dunque, già anni fa aveva raccontato dei suoi sospetti, convinto che quel signor Bini con cui si intratteneva nella sua officina in Venezuela, altro non fosse che Ettore Majorana. «Parlava con accento romano, viveva con una donna in località San Raphael, tra Valencia e Maracai, e guidava una StudeBaker di colore giallo» ha spiegato Fasani, che accettò di prestare a Bini 150 bolivar, la moneta locale. In cambio il meccanico chiese all’uomo di poter essere immortalato con lui in una fotografia. Una fotografia che oggi si è trasformata nella prova inchiodante acquisita agli atti della procura di Roma. Ci hanno pensato i Ris ad analizzare il documento, per poi convenire sul fatto che, effettivamente, il volto dell’uomo ritratto vicino a Fasani risulta essere compatibile con i tratti somatici del fisico catanese. «I risultati della comparazione – scrive Laviani nella richiesta di archiviazione – hanno portato alla perfetta sovrapponibilità dei particolari anatomici di Majorana (fronte, naso zigomi, mento ed orecchio) con quelle del padre». Altro elemento, una cartolina che Fasani ha fornito ai magistrati e che aveva prelevato direttamente dall’automobile di Majorana, alias Bini, spedita da Quirino Majorana, zio di Ettore ed anche lui fisico di fama mondiale. La cartolina, datata 1920, era stata spedita all’indirizzo di un cittadino statunitense, un certo W.G. Conklin. L’ennesima conferma che convince i pm che la vera identità del uomo immortalato nella foto assieme al meccanico del Venezuela era proprio quella di Ettore Majorana.
La smentita della famiglia
Sembrerebbe tutto chiaro, Majorana avrebbe attraversato l’Atlantico per trascorrere gli ultimi ameni anni della sua esistenza nell’incantevole Venezuela, peccato però che questa sia una storia ricca di però, perché l’ennesimo dietrofront rispetto a questa “nuova certezza” sul destino del fisico siciliano, è arrivata proprio ieri con una eloquente smentita rilasciata dalla famiglia all’agenzia AdnKronos: «Solo propaganda» avrebbero tuonato i cari discendenti di Majorana, rispetto all’infondatezza degli accertamenti operati dalla Procura di Roma. «E' la teoria della propaganda – ha aggiunto il nipote omonimo, Ettore Majorana, attualmente vive in Giappone ed è figlio di un fratello del fisico –. Gli elementi di queste ricerche mostrano
indicazioni assolutamente opposte a quelle che portano al riconoscimento». Majorana junior pare, dunque, più che sicuro che quanto emerso in questi giorni sia un vero e proprio abbaglio preso dalla procura capitolina: «Mi metto a disposizione per un test del dna che, pur non esaustivo, permetterebbe di escludere con alta probabilità il riconoscimento». Il nipote di Majorana, addirittura, riporta come tutta la sua famiglia sia completamente all’oscuro delle recente indagini: «Dovrei bloccare la chiusura del caso, non si sa aperto per quale notizia di crimine, ma non faccio in tempo. D'altra parte – insiste – Ettore Majorana non è mai stato contattato nel corso delle ricerche relative all'ipotetico riconoscimento. Un caso la cui motivazione giudiziaria dell'apertura non mi è mai stata nota». Chissà, a proposito di tutto questo, cosa avrebbe scritto Leonardo Sciascia.
Ma chi era Ettore Majorana?
Nato a Catania nel 1906, Ettore Majorana, sin da giovanissimo dimostrò di avere una particolare predisposizione per la matematica. Geniale ma troppo timido ed introverso, dopo gli studi in Ingegneria, decise di trasferirsi al Regio Istituto di Fisica con sede in via Panisperna, fondato proprio in quegli anni da Fermi. Assieme a Majorana, fra i banchi dell’ateneo romano anche Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Edoardo Amaldi: i ragazzi di via Panisperna, la più brillante squadra di fisici teorici che la storia abbia mai conosciuto. Ma, nel gruppo, a spiccare è soprattutto Majorana, uno dei primi scienziati in assoluto ad intuire le reazioni nucleari, concetti divenuti poi base fondamentale per la creazione della bomba atomica. Carattere schivo, taciturno, capacità fuori dal comune, più uniche che rare anche se rapportate a quelle dei colleghi, Majorana decide di accettare la cattedra di professore di Fisica teorica dell’università di Napoli, dopo aver rifiutato quelle di Cambridge e Yale. Ed è proprio da Napoli che s’imbarca verso Palermo il 25 marzo del 1938, non prima però di aver inviato una lettera alla famiglia: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso – scrive Majorana –, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi». Una lettera che rafforzerebbe, dunque, l’ipotesi del suicidio, ma è in realtà il giorno dopo aver preso quel traghetto che Majorana scompare definitivamente. Unica traccia una seconda lettera, spedita questa volta all’amico Antonio Carrelli: «Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli». Dopo di che il nulla, del fisico siciliano non si conoscerà altra traccia. Solo tante ipotesi, tante supposizioni trasformatesi spesso in fantasticherie.
Nelle settimane successive Fermi costrinse Benito Mussolini ad offrire 30mila lire di ricompensa a chiunque sapesse offrire anche solo dettagli credibili rispetto ai fatti. Trentamila lire, una cifra enorme per l’epoca. Un appello a cui, nonostante la lauta somma, non arriverà però mai nulla di concreto. Originariamente si parlò di un decesso in terra tedesca, al soldo del Terzo Reich hitleriano o in Argentina, dove, poco prima di morire, Majorana sarebbe stato immortalato perfino in una foto assieme ad Otto Adolf Eichmann – paramilitare e funzionario tedesco – considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Molti iniziarono a liquidare il caso come un semplice suicidio, legato alla paura e al rimorso delle scoperte fatte nel campo dell’energia atomica. Ipotesi poi definitivamente abbandonate nel tempo a favore di un’altra supposizione: fu forse il fascino del mistero, forse la reale convinzione di aver finalmente trovato la strada giusta, che spingerà lo scrittore Leonardo Sciascia, quasi ammaliato dal caso, a dare alle stampe “La scomparsa di Majorana”, in cui si fa largo l’ipotesi che il fisico si fosse rinchiuso volontariamente nella Certosa di Serra San Bruno.
Foto da L’atomica e il chiostro di Sharo Gambino.
A sinistra Leonardo Sciascia, a destra Padre Basilio Caminada nella Certosa di Serra San Bruno.
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