Domenica, 08 Febbraio 2015 16:10

Vincenzo Bonazza, lo scrittore 'anfibio' di origini serresi

Scritto da Bruno Greco
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Arriva dai ragazzi dell'associazione "Voce Libera Fagnano" il saluto più nutrito del web nei confronti di uno scrittore e poeta definito «anfibio» per la sua capacità – peculiare nelle sue opere – di passare «con disinvoltura dal vernacolo calavrisu alla lingua».

Il saluto di Voce Libera non poteva che essere corposo quanto esauriente nel descrivere Vincenzo Bonazza (foto). La “Breve storia di uno scrittore anfibio” – a firma di Paolo Gabrielli – arriva da un sodalizio formato dai giovani portavoce della cultura fagnanese, proprio perché Bonazza era di Fagnano, realtà dove ha lasciato un vuoto incolmabile. Con la scomparsa dello scrittore 67enne (il primo febbraio scorso) in realtà anche Serra San Bruno perde un suo figlio, perché nel suo corpo scorreva sangue serrese, quello dei Bonazza appunto, che negli anni ’40 dalle montagne di Serra San Bruno si spostarono sulle cime cosentine per ragioni lavorative.

«Ci sentiamo in dovere di tracciare, laddove possibile, – è l’esordio di Gabrielli – brevi tratti della sua affascinante esistenza ponendolo alla stregua di autori e pensatori che forse più successo hanno ottenuto non registrando, tuttavia, in loro il coraggio di rifugiarsi nelle periferie del mondo dove l’uomo, da sempre oggetto dei suoi studi, delinea i suoi limiti». 

Nonostante il suo «rifugiarsi nelle periferie del mondo» – magari mosso da quel sentimento di ritorno alle origini che stuzzica l’animo anche delle menti più illuminate e cosmopolite – Bonazza si era laureato a Trento in sociologia nel 1972 per poi emigrare in Svizzera dove ha insegnato, per un breve periodo, all’Università di Friburgo. Nei luoghi frequentati dagli emigrati italiani Bonazza ha maturato la sua personalità letteraria, che ha saputo cibarsi dei suoni di una lingua pura, rimasta “arcaica” nelle espressioni linguistiche dei calabresi d’oltralpe. Da questa esperienza nacque la sua prima opera letteraria "Lemigrante" (Dedalo, 1976), che lo inserì nel novero dei cosiddetti "scrittori selvaggi" (come il calabrese Vincenzo Guerrazzi di Mammola) per la sofisticata "cucina" letteraria delle lingue dell'emigrazione. Per capire meglio il carattere unico di questo libro riportiamo la recensione scelta da Voce Libera, che meglio descriverebbe l’opera: «Lemigrante è un libro fatto di suoni, quelli con cui comunicano i nostri emigrati, spesso privi di una lingua per lo meno scritta. Parlano soprattutto di sesso e di quel poco di politica elementare che trascinano nei loro discorsi; c’è quanto basta per intendere che ce l’hanno coi padroni. Il romanzo di Bonazza emigra, emarginato, anche rispetto alla politica; o meglio è andato all’estero per evitare la politica italiana, quella politica realistica, che si è adattata a una logica in cui l’emigrazione risulta legittimata. Gli emigranti di Bonazza non si illudono di progredire verso i livelli più alti della normalità, però sono lì pronti a cambiare qualcosa, perché la loro stessa povertà è garanzia di assenza di indugi. Il loro riscatto è realistico solo se si mantiene in basso e non progetta masse di eroi». Un romanzo ibrido, scritto mescolando italiano e dialetto stretto: «Vincenzo Bonazza, scrittore anfibio, passa con disinvoltura dal vernacolo calavrisu alla lingua, ovvero come le rane salta dalle acque limacciose e diacce del dialetto parlato negli strati più incolti ed emarginati del popolo “macro e scalzo” alla terraferma dell’italiano».

Tra le sue più importanti collaborazioni del periodo milanese (a partire dal 1978), si ricorda la rivista Il piccolo Hans, a fianco, tra gli altri, a Enrico Ghezzi. È del 2011 uno dei suoi ultimi libri dal titolo “La Rivoluzione”, intriso della cultura antagonista degli anni ’70, ingrediente principale della sua formazione.

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