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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Riceviamo e pubblichiamo:
Per ricordare la figura del giudice Tassone, questo era l’appellativo utilizzato da mio padre e così era conosciuto nella nostra famiglia, mi sono messo alla ricerca nel mio archivio e, con un certo ritardo, sono riuscito a trovare un contributo preparato e inviatomi dal giudice nel dicembre 2020, a seguito del nostro incontro presso lo studio di Vibo Valentia. Durante la nostra conversazione illustravo al giudice l’iniziativa che avevamo in corso e cioè la realizzazione di un documentario per ricordare la figura di nostro padre, lo scultore Raffaele Tucci, nel decennale della scomparsa. Il giudice mi manifestò il suo entusiasmo per l'iniziativa e mi ringraziò per averlo coinvolto nella preparazione di un intervento da registrare e inserire nel documentario. L’incontro proseguì camminando e conversando piacevolmente su corso Vittorio Emanuele nel tratto che va dallo studio all'abitazione vibonese. Di seguito, vengono riportati la lettera con cui mi inviò il suo contributo e il contributo stesso che è rimasto inedito fino a questo momento. Buona lettura! Ringraziamo il giudice, spadolese come noi, per tutto ciò che ha fatto per la nostra famiglia, per nostro padre, Spadola e per tutta la Calabria.
Serafino Tucci
La lettera
Caro Serafino, ti restituisco il testo del mio intervento in onore di tuo padre, con le precisazioni che tu mi hai fornito. Mi dici di una ripresa. Per quanto mi riguarda è da escluderla, perché io sono fortemente contrario a mettermi in mostra. Lasciamo parlare i sentimenti e le idee, senza nulla sovrapporre ad essi. Invece non mi dispiace di venire a Spadola se sull’opera di tuo padre farete un momento di ricordo e di riflessione comunitari ed eventualmente di prendere la parola insieme a quanti altri vorranno intervenire. Grazie e cordiali saluti a tutti voi.
L’intervento
Raffaele Tucci appartiene ad una famiglia operosa che ha arricchito ed arricchisce tuttora il paese, o meglio la comunità di Spadola. Per quanto mi riguarda preferisco parlare di comunità più che di paese, perché la parola paese è inerte, spesso si pensa a un ammasso di casupole e comunque di muri inerti, mentre la parola comunità esprime la memoria e il rapporto attivo che lega la vita delle famiglie e dei loro componenti, le storie che tra di essi si sono intrecciate e si intrecciano nel tempo e favorisce la solidarietà e la capacità di composizione dei conflitti, che fanno anch’essi parte della vita. Il padre di Raffaele, mastro Nicolino, era falegname. Aveva la “bottega” – la falegnameria – nell’ambito del paese, come allora avveniva, un luogo che pullulava di giovani allievi (“discipuli”, discepoli) attivi e animati, perché, lavorando tutti insieme sotto la guida e secondo le mansioni date dal maestro (“lu mastru”) sentivano che a loro si apriva il mondo del futuro. Non vorrei sbagliare, ma credo di ricordare tra di loro il giovane Grenci, che poi si rese famoso anche in terre lontane (come l’Inghilterra) per le sue pipe, ricavate e intagliate nella radice dell’erica, piccole opere d’arte. Raffaele aveva oltre al mestiere, appreso accanto al padre, una buona cultura; e insieme a tali doti, la robustezza che viene dal sentimento dell’amicizia. Quando mia madre volle costruire, a sue spese, nel cimitero di Spadola una cappella che riunisse i componenti della famiglia, Raffaele mi propose subito un Cristo che vince la morte, sorgendo vittorioso – come disse lui – dalle spoglie di quella forza di natura a cui la Resurrezione non lascia l’ultima parola. Io avevo pensato semplicemente ad una croce da porre sull’altare, ma lui vide con occhi che sanno andare oltre, come è dei veri artisti. Ed ogni volta che mi reco nel piccolo luogo dove riposano quelli da cui veniamo, la sua visione lo trasforma in un luogo di vita. Questi sentimenti egli mostrava nel vario dispiegarsi degli atti della vita quotidiana, quali erano ad esempio gli incontri tra amici che nei periodi estivi, ci vedevano riuniti – lui, il bravo Timpano attento storico dei nostri territori, Spadola compresa, da Serra San Bruno emigrato a Salerno, Bruno Barbieri ed io – a conversare sulle vicende del mondo, sul nostro destino, sulle persone e le famiglie dei nostri paesi, mentre intanto nel pozzo ricavato nell’orto di Raffaele e già di suo padre, sotto una pergola di uva fragola, si rinfrescavano una/due bottiglie di birra, riempite di buon vino nostrano. Professore di ebanisteria presso l’Istituto d’Arte di Vibo Valentia, aveva una buona cultura, vivificata dai sentimenti di cui ho cercato di dire. Non ultima opera della sua personalità è l’eredità che oggi vive nei figli Nicola e Serafino da cui, non a caso, è nato il desiderio e il bisogno di onorarne la memoria, come ora qui facciamo. Aggiungo che verosimilmente nasce da tutto questo anche l’idea di fare emergere dalle profondità della memoria il nome e l’opera dei nove papi calabresi, che nei primi secoli del millennio precedente a questo, dal 125 al 725, contribuirono a formare la chiesa e la civiltà dell’Occidente. Mi riferisco ai nove bassorilievi scolpiti da Raffaele nel Coro della Chiesa di Santa Maria sopra Minerva A tale opera, certamente dovuta anche all’impulso dell’instancabile medico Bruno Tassone, per molto tempo Priore della confraternita dell’Addolorata, è dedicato un apposito fascicolo della rivista Quaderni del Sud - Quaderni Calabresi, allegato al n. 89 del luglio settembre 1998, alla cui formazione lavorò insieme ad altri, di cui è ancora possibile fornire qualche copia a quelli che lo richiedessero. Oggi la storia di lavoro e di probità si rinnova nei figli di Raffaele e nipoti di mastro Nicolino, che del padre hanno voluto onorare la memoria, ponendo a se stessi e a noi un pegno positivo per il futuro. Sempre che l’uomo non sia tanto insensato da distruggere, con l’abitabilità di questo nostro splendido Pianeta anche le civiltà che in esso sono fiorite e possono fiorire ancora. Perciò occorre ancora – ed oggi come non mai – che l’uomo sappia vincere in sé la morte e, come Raffaele ed ogni artista autentico, fare crescere nel proprio animo e negli atti quotidiani della propria vita, i semi di una vita futura.
Francesco Tassone
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