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«Ringrazio Gioacchino Criaco, l’autore del libro Anime Nere, e tutti gli abitanti di Africo con i quali ho potuto realizzare questo film».
Francesco Munzi fa incetta di statuette all’edizione 2015 del David di Donatello. Sono ben 9 i premi che vanno ad Anime Nere in occasione dell’importante appuntamento cinematografico, che tra gli altri ha visto la gigantesca presenza di Quentin Tarantino, incalzato al Quirinale da un più che realistico Mattarella, il quale al re del pulp ha confessato che «uscire dalla crisi non è facile anche se ci prestasse il suo mister Wolf», uno che in fatto di problemi la sa lunga.
Forse Munzi non si aspettava di vincere il premio per il miglior film, e alzando in alto la statuetta in qualità di miglior regista dell’edizione 2015 del David di Donatello, proprio a un passo dalla fine, saluta e ringrazia proprio tutti, non mancando naturalmente di esprimere il suo affetto nei confronti dello scrittore Gioacchino Criaco (che lo ha ispirato) e degli abitanti di Africo, dedicando quel David anche alla Calabria che con Anime Nere gli ha permesso di fare la scalata, rendendolo un regista celebre. Munzi non c’ha creduto fino in fondo, anche se alla fine Giancarlo Giannini il premio come miglior film lo consegna proprio a lui, che sul palco questa volta piuttosto che «contento» ed «emozionato» si definisce «sorpreso». Di fronte a un Nanni Moretti sempre muto, reduce dalle avances di un popolo francese che però lo fa tornare a casa a mani vuote, com’è successo pure ieri d’altronde.
Francesco Munzi dunque stravince, con un film che non è calabrese anche se girato in Calabria e lungi dal raccontare uno spaccato di ‘ndrangheta, bensì una dimensione universale, senza etichette, che può appartenere a qualsiasi luogo come a qualsiasi essere umano. Ma che della Calabria lascia quel fascino selvaggio e misterioso che la fotografia di Vladan Radovic (vincitore di un’altra statuetta) ha saputo ben cogliere in Africo. Come ama sostenere Criaco riportando il pensiero di Munzi, Anime Nere racconta la storia di tre fratelli Luciano, Luigi e Rocco, che nell’immaginario del regista rappresentano la stessa persona perseguitata da più alter ego. Un romanzo stevensoniano, che al di là di qualsiasi critica o maldicenza ai David ha fatto vincere anche la Calabria, prestatasi al grande schermo come paesaggio primordiale e puro, lontana dall’autoreferenzialità criminale che sempre gli si vuole attribuire.
I PREMI
Miglior film, miglior regista, miglior canzone originale, miglior sceneggiatura, miglior musicista, miglior fotografia, miglior produttore, miglior fonico di presa diretta, miglior montatore
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