Mercoledì, 01 Aprile 2015 16:52

‘Scaricategli un caricatore di kalashnikov in faccia’: le inquietanti rivelazioni sulla faida di Piscopio

Scritto da Redazione
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Dalle vendette sanguinarie a colpi di kalashnikov in pieno viso, fino alle informazioni carpite direttamente dalle forze dell’ordine, passando per l’appoggio incondizionato delle famiglie di peso della ‘ndrangheta calabrese. Si arricchisce di nuovi particolari la faida aperta tra i “Piscopisani” e i Patania che da diversi anni sta insanguinando il Vibonese.

A rendere nuove informazioni agli inquirenti che stanno tentando di ricostruire i fatti, da qualche giorno, c’è soprattutto Raffaele Moscato, che sta collaborando con la Dda di Catanzaro, in particolare, rispetto alle vicende che portarono, nel 2011, all'omicidio del boss di Stefanaconi, Fortunato Patania. Proprio grazie alle rivelazioni di Moscato, ieri, sono finiti in carcere altri due presunti partecipanti all'omicidio. Dettagli depositati anche dinanzi al Tribunale del Riesame nell'ambito dell'operazione "San Michele” scattata il 6 marzo scorso.

Moscato ha raccontato di essere l'unico esecutore materiale dell'omicidio Patania, al quale sono stati inflitti 13 colpi di pistola calibro 9x21, arma consegnatagli da Davide Fortuna, ucciso poi in pieno giorno sulla spiaggia di Vibo Marina nell'estate del 2012. Ma oltre a quell'arma i Piscopisani avrebbero a disposizione un vero e proprio arsenale costituito da quattro kalashnikov, una ventina di fucili, una quindicina di pistole. "Ferri del mestiere" custoditi tutti da Franco La Bella (detto "Camagna", arrestato ieri), che li teneva nascosti in posti diversi, «sotto terra o nei pilastri di plastica che solitamente vengono utilizzati per fare gli archi in cartongesso».

L’omicidio di Fortunato Patania sarebbe, quindi, arrivato in risposta a quello di Michele Mario Fiorillo, avvenuto il 16 settembre 2011 nel "territorio" dei Piscopisani, ma senza il loro consenso. Cosa che spinse gli uomini del clan emergente a riunirsi all'interno di un bar della frazione vibonese, per sentenziare la vendetta che si sarebbe concretizzata poi proprio assassinando Patania. A prendere la decisione il pentito Moscato, ma anche La Bella, Rosario Battaglia, Francesco Scrugli e Rosario Fiorillo (detto "Pulcino"). Proprio quest’ultimo sarebbe stato, secondo Moscato «quello che era più convinto e lo voleva di più di tutti».

Moscato ha anche ricostruito davanti agli inquirenti le fasi antecedenti all'agguato: dal furto dell'auto alla preparazione dei “copricapo”, ricavati da una maglietta nera all'interno del «bar Imperial sul corso di Vibo Marina». E ci furono anche alcuni incontri preliminari, prima tra Battaglia e Tripodi, poi tra lo stesso Battaglia, Fiorillo ("Pulcino") e Nazzareno Fiorillo ("Tartaro"), da cui arrivò il benestare all'omicidio del boss di Stefanaconi. Le informazioni inedite emerse dagli interrogatori, parlano quindi anche del clan dei Tripodi, egemone a Vibo Marina, da considerarsi come «una cosa sola» con la società di Piscopio. Da qui il coinvolgimento nell'operazione di ieri di Salvatore Tripodi, 44enne tuttora ricercato, sposato con una delle sorelle Mantino, cugine dei Piscopisani Battaglia e Rosario Fiorillo.

L’omicidio sarebbe dovuto avvenire per strada, lungo il tratto che da Stefanaconi porta alla valle del Mesima, dove si trova l'area di servizio di proprietà dei Patania. «Era previsto che dovevamo ucciderlo quando si ritirava, sulla strada da Stefanaconi ma, dato che lui non passava con l'autovettura da lì, ci è arrivata una chiamata da Battaglia Rosario; parlavamo nell'occasione con due telefoni nuovi mai usati (come spesso facevamo); con una telefonata di tre secondi mi disse "vieni qua di nuovo"; in quella conversazione io facevo la voce alterata ("grossa") per non farmi riconoscere. Quindi – prosegue il racconto di Moscato – siamo risaliti nella stradina da dove eravamo partiti e Battaglia ci comunicava, per averlo saputo da Fortuna Davide, che effettivamente faceva da vedetta come è riportato negli atti, che Fortunato Patania stava giocando a carte e si poteva "prendere" là; a quel punto siamo tornati e abbiamo fatto l'agguato, nel quale, ripeto, ho sparato io». Patania fu quindi giustiziato a colpi di pistola, ma, al momento dell’assassinio, il kalashnikov che imbracciava La Bella si inceppò, e la “vendetta” non fu portata a termine secondo la modalità pattuita. La sera prima dell'agguato, Battaglia e Moscato, infatti, sarebbero andati a dare le condoglianze alla famiglia di Michele Mario Fiorillo, ucciso due giorni prima, e proprio dal figlio della vittima, Pasquale – una volta allontanatasi dall'abitazione – sarebbe arrivata la proposta di rendere “occhio per occhio” al clan dei Patania. «Pasquale Fiorillo – ha dichiarato Moscato – ci chiese un favore, poiché il padre era stato brutalmente assassinato con un colpo di fucile in faccia, ci disse se potevamo scaricare un caricatore di kalashnikov in faccia anche a Patania Fortunato». Desiderio non concretizzatosi, quindi, proprio per i problemi riscontrati all’arma che si era inceppata. A delitto consumato, La Bella e Moscato fuggirono nelle campagne, dove appiccarono il fuoco all'auto che li aveva condotti fino al distributore di carburanti. Sul posto ad attenderli c'erano due scooter, uno guidato da Rosario Fiorillo e l'altro dal nipote di La Bella, Michele Russo, anche lui arrestato ieri.

Tornando sul legame con i Tripodi, Moscato ha dichiarato che il via libera al delitto aveva rafforzato la determinazione dei Piscopisani, ormai pronti ad uccidere Patania. Dopo l'agguato il clan avrebbe potuto contare anche sul loro appoggio. «Dopo dell'omicidio, difatti, Battaglia Rosario ha anche ricevuto da Salvatore Tripodi una somma di 5-10.000 euro poiché, dovendo stare fermi senza andare a prendere soldi in giro, ci potevano servire». Ulteriore particolare inquietante reso da Moscato, quello afferente ad un'altra rivelazione, in parte coperta da omissis, resa agli inquirenti: «Devo precisare che noi abbiamo sempre saputo che c'erano le telecamere in piazza a Piscopio, così come sapevamo tante altre cose sulle indagini che venivano svolte; c'erano anche appartenenti alle forze dell'ordine che ci davano notizie. Sapevamo, ad esempio, che ad essere indagati, inizialmente per l'omicidio Patania eravamo io, Fortuna e Scrugli».

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