Domenica, 08 Marzo 2015 10:21

Regione, se il progetto per l'emersione incentiva il lavoro nero

Scritto da Sergio Pelaia
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«Appartengo alla generazione dei trentenni. Una generazione con un avvenire ormai alle spalle». La lettera, recapitata lo scorso 11 febbraio a Carlo Guccione e Mario Oliverio, comincia proprio così. A scriverla un 35enne mosso, più che da un sussulto di pessimismo leopardiano, dall'amara realtà con cui si sta scontrando quotidianamente. E come lui tanti, troppi ragazzi che, dopo aver passato anni sui libri a studiare e specializzarsi, si trovano nella non invidiabile condizione di dover trovare un lavoro in Calabria. Ma quella dell'autore della lettera non è una storia di disoccupazione giovanile come tante altre. 

C'è di peggio, perché nel suo caso al dramma della cronica mancanza di lavoro si aggiunge l'inefficienza della pubblica amministrazione, che da queste parti ha la poco edificabile abilità di promuovere progetti che poi finiscono puntualmente per generare le devianze che quelle stesse iniziative avrebbero dovuto debellare. È la situazione in cui si trovano, ormai da quasi 4 anni, 180 giovani laureati che hanno aderito a “Lavori regolari”, un progetto «sperimentale e innovativo» – hanno assicurato più volte i soggetti promotori – portato avanti dalla Commissione regionale per l’emersione del lavoro non regolare di concerto con la Regione e con, almeno in una prima fase, la fondazione Field. Gli scopi del progetto, così come il nome stesso, oggi risultano assai beffardi. Il primo punto dell'avviso pubblico (datato novembre 2011) riporta testualmente: «Diffondere la cultura della regolarità e accompagnare i processi del lavoro non regolare». Poi: «Sostenere, con adeguate competenze professionali, le imprese ovvero i datori di lavoro interessati a processi di innovazione e/o aggregazione». E ancora: «Favorire l'inserimento lavorativo di giovani inoccupati/disoccupati». Bene: a distanza di quasi 4 anni nessuno di questi obiettivi è stato realizzato. Anzi, i giovani laureati che hanno aderito all'avviso e sono stati selezionati come beneficiari non solo non sono stati inseriti nel mondo del lavoro, ma sono rimasti bloccati proprio a causa del progetto. E se qualcuno di loro ha trovato in questo lungo periodo un'altra occupazione, ha dovuto farlo in nero, perché i beneficiari devono mantenere il requisito della disoccupazione finché non si concluderanno tutte le fasi previste dal bando. Nessun lavoro, dunque, tantomeno «regolare». Il progetto, finanziato con circa 11 milioni di euro dei fondi Por 2007/2013, prevedeva la formazione di una figura professionale davvero innovativa: l'agente per l'emersione, la qualità e lo sviluppo locale. Questo sarebbero dovuti diventare quei quasi 200 giovani laureati. Lo sbocco, per tutti quelli selezionati, sarebbe dovuto essere o l'inserimento – con assunzione a tempo determinato – da parte delle imprese che avevano aderito alla manifestazione d'interesse indetta dalla Regione, oppure l'autoimpiego tramite il microcredito. A oggi, però, è stata portata a compimento a malapena la prima fase, quella relativa alla concessione di voucher per la formazione degli «agenti». È tutto arenato, con i giovani laureati a galleggiare nel limbo dell'incertezza e con il peso di dover mantenere il requisito della disoccupazione per non perdere i diritti di cui sono stati riconosciuti beneficiari. A inizio febbraio è stata liquidata a loro favore la somma di 2.500 euro a testa, ma per completare la prima fase del progetto ne mancano altri 5.200 che, attualmente, nessuno sa dire se e quando verranno loro corrisposti. Intanto, trattandosi di fondi strutturali, secondo qualcuno c'è anche il rischio di un disimpegno delle somme destinate al progetto. Ma per capire quanto sia umiliante il percorso a ostacoli che la Regione sta imponendo di affrontare a questi ragazzi basti pensare che, sebbene fossero già sospesi nell'incertezza, a un certo punto la Field – che tra le altre cose aveva reclutato addirittura una sessantina di tutor per 180 beneficiari – ha inviato loro una mail per chiedere la restituzione dei «beni strumentali» (un tablet con relativa scheda sim) che erano stati concessi in comodato d'uso. Come poi sia andata a finire la fondazione che era guidata da Mimmo Barile è storia nota, mentre non altrettanto noto è il fatto che alcuni dei beneficiari della dote “lavori regolari”, dopo aver inviato un esposto alle cinque prefetture calabresi, siano stati convocati dalla Guardia di finanza di Catanzaro per riferire della loro situazione, specie in relazione alla fase in cui il progetto è stato coordinato dalla Field e a una presunta distrazione di fondi – più di 700mila euro – che erano destinati proprio a loro. Oggi il progetto è tornato in capo al dipartimento regionale 10 (Lavoro, Politiche della famiglia, Formazione professionale, Cooperazione e volontariato). La prima fase è stata dichiarata conclusa a fine agosto 2014. Da allora, gli agenti hanno avanzato diverse proposte per tentare di uscire dall'impasse che impedisce di passare alle fasi successive, decisive per l'inserimento nel mondo del lavoro. Si tratta di proposte costruttive che, spiegano alcuni degli interessati, «contemplavano la cooperazione/integrazione col settore pubblico, con la rete dei Suap, con gli Sportelli “Europa”, con le associazioni sindacali e di categoria». Eppure finora queste ipotesi non sembrano essere state prese in considerazione. E mentre in altre regioni, come ad esempio la Toscana, figure professionali analoghe sono state formate e impiegate in una vasta gamma di servizi utili alle pubbliche amministrazioni, in Calabria ai beneficiari del progetto finora non è stata nemmeno concessa né la certificazione del titolo né un attestato di frequenza per le attività formative svolte in settori potenzialmente determinanti come la programmazione, lo sviluppo locale e il contrasto al sommerso. Le vicissitudini giudiziarie degli ex vertici della Field e quelle di alcuni dirigenti del dipartimento regionale – responsabile unico del procedimento era in un primo momento Elisa Mannucci, coinvolta nell'indagine della Procura di Vibo sulla presunta truffa Eurocoop – hanno complicato ulteriormente la situazione, ma c'è comunque da rabbrividire a ripercorrere ogni passaggio dell'interlocuzione tra i destinatari della dote e gli uffici regionali. Continuano a chiedere incontri, a proporre soluzioni, a inviare lettere e richieste di chiarimenti, ma al di là delle parole (non sempre belle) con cui si cerca di prendere ulteriore tempo, di risposte concrete neanche l'ombra. E come se tutto ciò non bastasse, molte delle aziende che avevano aderito alla manifestazione d'interesse non sono più nelle condizioni economiche per poter assumere. Per questo la Regione sta valutando la possibilità di riaprire i termini dell'avviso che riguarda le imprese, ma intanto quelli che dovevano essere gli agenti per l'emersione si ritrovano costretti a continuare ad annaspare nella disoccupazione o, per mantenersi, a lavorare in nero. Un triste, tristissimo paradosso.

(servizio pubblicato sul numero 190 del Corriere della Calabria)

 

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