Il Procuratore Mario Spagnuolo ed il sostituto Michele Sirgiovanni, la questione del benzene/non benzene - rintracciato ad inizio dicembre 2012 nelle acque dell’Alaco e poi sparito in sole 24 ore - proprio non riescono a ‘berla’. Una diffidenza legittima, condivisa dai 400mila calabresi che da quasi 7 anni, pagano e subiscono l’erogazione di un liquido giallastro e maleodorante direttamente dai rubinetti delle proprie case. Il 6 dicembre scorso l’Arpacal aveva eseguito nell’impianto dell’Alaco – posto sotto sequestro dal maggio 2012 – due prelievi di campioni d’acqua in punti diversi dell’invaso. In entrambi i casi era stata riscontrata una presenza massiccia di benzene e, assai stranamente, i dati erano stati resi pubblici soltanto due mesi dopo: il 29 gennaio successivo.
L’allarme aveva spinto il Prefetto Michele Di Bari a convocare in fretta e furia un tavolo tecnico e solo nello stesso pomeriggio, era spuntato un fax ‘ambiguo’, firmato dalla stessa Arpacal, in cui si sosteneva che non si trattava più di benzene, ma piuttosto di “composti aromatici alogenati derivanti dal benzene” (sostanze comunque tossiche) e che il disguido era stato causato da un mero “errore di trascrizione”. Quindi circa 60 giorni per pubblicare le analisi e sole 24 ore per contraddirle, tra l’altro, attraverso una smentita davvero poco attendibile.
I confini della vicenda si fanno così sempre più sfumati, anche perché nelle stesse analisi era stato riscontrato un livello di cloriti, anche stavolta, ben superiore alla norma.
Allora proprio Spagnuolo, ha deciso nei giorni scorsi di nominare due consulenti allo scopo di fare chiarezza sulla questione, in modo da capire di quali composti si parli (esiste una scala di 170 sottoprodotti diversi del benzene), come abbiano fatto a finire nelle acque già annose dell’Alaco, quali siano gli effetti sulla salute umana e, soprattutto, perché si è registrato un vuoto di ben 2 mesi fra il prelievo delle acque e la pubblicizzazione delle analisi. Lo stesso Procuratore vibonese si era reso autore dell’inchiesta ‘Acqua sporca’ che nel maggio scorso oltre a determinare il sequestro dell’invaso e di altri 56 apparati idrici dislocati su tutta la provincia, aveva emesso 26 avvisi di garanzia indirizzati ai vertici Sorical, Asp, Arpacal e a qualche amministratore comunale. Due settimane fa a finire sotto inchiesta, nel secondo filone delle indagini, ulteriori 20 sindaci ed ex sindaci dei paesi serviti dall’Alaco. Fra questi anche il primo cittadino serrese in carica Bruno Rosi ed il suo predecessore Raffaele Lo Iacono.