Lunedì, 02 Aprile 2018 10:15

L’ANTICIPAZIONE | Il ritorno delle reliquie di San Bruno in Certosa

Scritto da Redazione
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Il busto reliquiario di San Bruno Il busto reliquiario di San Bruno

Dopo il terremoto del 1783 e un fallito tentativo di ripristino della Certosa nel periodo 1840-1844, i certosini ripresero possesso del monastero di Serra il 4 ottobre del 1856. Il successivo 30 maggio del 1857 le reliquie di San Bruno, conservate dopo il sisma nella Chiesa Matrice, rientrarono solennemente nella Certosa. Un documento coevo – pubblicato in appendice al secondo volume della serie Collectanea Cartusiae Sanctorum Stephani et Brunonis diretta da Tonino Ceravolo (Analecta Cartusiana 330:2, Istituto di Anglistica e Americanistica dell’Università di Salisburgo) e che il Vizzarro anticipa qui di seguito – racconta, con ricchezza di particolari, quanto avvenne in quella giornata. 

La storia dei nostri giorni, la quale registra tanti e sì svariati avvenimenti, onde raccomandarli alla me­moria dei posteri, non deve passare sotto silenzio una cronica religiosa i di cui fatti accaduti nel giorno 30 Maggio p.p. in una Città delle Calabrie, offrono senza dubbio un vivo interesse per coloro, che, in tanto movimento di uomini e di cose, prendono di mira segnatamente i gloriosi progressi della sacro­santa religione nostra. Quel giorno sacro alle feste civili di tutto il popolo delle Due Sicilie per l’onomastica solennità del più magnanimo e munificente dei monarchi, il glorioso Ferdinando II, fu doppiamente festivo pei cittadini di Serra, per la ricorrenza della solenne Traslazione delle reliquie del loro principale Patrono S. Brunone, nell’antica e tanto celebrata Certosa dei Santi Stefano, e Bruno del Bosco, testé ripristinata dalla inesauribile pietà del nostro Sovrano. Erano scorsi 50 anni, da che le sacre ossa di quel gloriosissimo Eroe del cristianesimo Fondatore dell’illustre Ordine monastico dei Certosini non formavano più il sacro deposito di quel venerando Santuario eretto vivente il Santo, or sono otto se­coli da Ruggiero il Normanno primo Conte di Sicilia e di Calabria. L’ire sacrileghe dello straniero in­vasore l’aveano scacciato dalla loro sede, che restò vedova dei suoi abitatori, ed abbandonata al furore del saccheggio e della rapina. I serresi raccolsero in ospizio il simulacro del Santo coll’urna delle sue Reliquie, e ne difesero con ingegnosa premura il possesso contro gli attentati di una genia depredatrice. Ripristinata la Certosa con Real Rescritto del 21 Giugno 1856, mercé l’infaticabile sollecitudine del tanto benemerito Padre Priore D. Vittore Felicissimo Francesco Nabantino, questi, solerte sempre più nel voler compiere la sua santa impresa, dopo di aver preso possesso della Casa nel dì 4 Ottobre ultimo sotto gli auspicî di S.A.R. il Duca di Calabria Principe Ereditario rivolse tutte le sue cure a ristaurare in mezzo ai ruderi della Certosa dell’abitazioni per prendervi stanza la famiglia Certosina, ed edificare in­sieme una cappella, ove potessero esser collocate decentemente le sacre Reliquie del santo Patriarca.

Nessun altro giorno poteva essere prescelto per la solenne cerimonia della Traslazione delle Reli­quie, che il giorno onomastico dell’Augusto e Pio Monarca, il quale mercé il suo provvido decreto della ripristinazione della Certosa restituiva nella sua vetusta e gloriosa dimora l’Esule illustre che n’era stato bandito ai tempi calamitosi. […] Alcune copie del programma concernente la Festa sparse per dintorni incitavano gran numero di fore­stieri ad assistervi, e nel mattino del giorno memorando le piazze e le strade di Serra riboccavano di una folla innumerevole di devoti, tra cui molti infermi appositamente venuti ad acquistar la guarigione. Ac­cresceva la pompa della Festa, la presenza di Monsignore Vescovo di Squillace l’illustre Fra Concezio Pasquini, il quale non dissimile di quel Messimerio suo antico predecessore tanto largo di riverenza e di affetto verso S. Brunone mentre vivea lasciò la sua sede Vescovile seguito da reverendi canonici e da numerosi cleri per compiere anch’esso un tributo della sua speciale ed ereditata venerazione pel S. Ana­coreta con quell’esuberanza di cuore che tanto caratterizza il venerando Prelato. Altri distinti perso­naggi, e sopratutto gli Uffiziali della Colonia militare di Mongiana, con alla testa l’egregio Comandante Tenente Colonnello Cav. D. Raffaele Melograni accompagnato dalle reali truppe di presidio di quell’Opificio metallurgico, vollero anch’essi decorare la Festa colla loro dignitosa presenza, e nelo sfarzo delle splendide divise far palese il comune entusiasmo dei sentimenti religiosi e civili così poten­temente ispirati dalla nobile circostanza.

Dopo un solenne triduo celebrato con luminarie per tutta la città, spari di mastri e di mortaletti, concerti musicali e suoni prolungati di campane, spuntava l’alba di quel giorno salutata da salve, dall’acclamazioni e dalle grida di plauso di un popolo immenso che tra non molto riempiva la navata della Chiesa Matrice di già sontuosamente addobbata, e risplendente di mille faci accese in bella mostra innanzi al simulacro argenteo del Santo, e l’Urna delle Reliquie adorna di ghirlande, e di rabeschi rica­mati in oro; come ancora innanzi all’augusta effigie del Re  esposta tra ricchi fregî e festoni. Non tar­dava a sopragiungere Monsignor  Vescovo in compagnia della Famiglia Certosina, di numeroso clero e di tutte l’Autorità Amministrative, Giudiziarie e Militari, che presero luogo nei posti appositamente preparati. Tosto la cerimonia incomincia. La messa pontificata dal Vescovo con accompagnamento di canto e di concerti musicali è immediatamente seguita  da un’orazione panegirica pronunziata  dal molto Reverendo Padre Fra Geremia da Rocca Scalegna. […] Già s’apprestava l’istante della processione ch’era disposta in questo modo. Un plotone di soldati dovea aprire la marcia dietro a cui venivano in lunga e doppia fila le tre confraternite della città coi loro sten­dardi spiegati, e vestite in abito di cerimonia, e con cerî accesi in mano. In seguito gli Uffiziali di Mon­giana in uniforme, quindi una banda musicale dietro di cui seguivano i cleri colla croce inalberata vestiti dei più ricchi paramenti sacri in compagnia di Monsignore Vescovo in abiti pontificali. Immediatamente la statua d’argento di S. Brunone e l’urna delle Reliquie sostenuta dai PP. Certosini sotto ricco baldac­chino portato da quattro Decurioni e fiancheggiati da doppia fila di soldati. Procedeva dietro alla statua il Padre Priore D. Vittore Nabantino vestito di pluviale portante tra mani una reliquia di S. Stefano ed una altra di S. Brunone incastonata in ricca testa d’argento. Dopo di lui le Autorità Amministrative e Giudiziarie, ed altre distinte persone, e quindi un’altra banda musicale ed un plutone di gendarmi e di soldati chiudevano la marcia: un popolo immenso in lungo codazzo accompagnava il corteo. Già tutto era all’ordine. Le prolungate salve dei mortaletti, le campane suonanti a distesa, i concerti musicali, an­nunziavano il momento in cui il Santo abbandonava il suo domicilio provvisorio, per ritornare nella pompa del trionfo nella sua Casa prediletta, e santificata dalle sue virtù,; risuonavano i cantici religiosi, ed il corteo incominciava a procedere in mezzo alle vie stipate di gente, adorne di archi trionfali, e colle parieti delle case fiancheggianti adorne anch’esse di tocche di seta, e di rabeschi di diversi colori ed iscrizioni allusive alla circostanza. Già il simulacro del Santo appariva fuori il Vestibolo del tempio. Fuvvi un istante in cui la folla alla vista del Santo trasportato dai figli suoi esultanti santa gioja per aver avuto la sorte avventurosa di sostenere quel caro peso, cessò dai suoi cantici per dare sfogo ad un irresi­stibile sentimento di tenerezza, che costringeva a versare stille di dolce pianto. Era quello uno spettacolo sublime. La  Religione nostra solamente poteva effettuarlo! Un temuto incidente interruppe la cerimo­nia: la pioggia incominciò a cadere a rovescio ed ostinatamente durava fin dopo le tre p.m. ma la folla non si era dispersa per questo, quantunque fu forza arrestare la processione. Nel frattempo che si stiede aspettando che la pioggia cessasse, ebbero luogo trattenimenti pii nella Chiesa; furono tirati a sorte di­versi maritaggi per povere donzelle e fatte copiose largizioni ai poveri ed ai carcerati. Finalmente parve che le nubi si diradassero, e la processione si pose in marcia. Dopo non guari giungeva alle mura della Certosa ed era uno spettacolo maraviglioso ed imponente il contemplare quella calca di popolo immenso che copriva le vaste pianure e il lungo viale, che da Serra mena al Cenobio. Altre salve ed appositi con­certi in musica salutarono l’arrivo, e l’ingresso del Santo nella sua propria Casa, la quale sebbene co­perta di rovine e di frantumi, pure sembrava sorridere alla presenza del S. Patriarca il di cui simulacro attraversava i chiostri e le volte infrante; quasicché presentisse l’influenza benefica di un più felice de­stino, pel ritorno del suo Fondatore, le cui gloriose Reliquie sono novellamente il palladio di quella soli­tudine. Un’ultima salva ed il canto di un altro solenne Te Deum annunziavano che S. Brunone prendea possesso della sua Certosa, e che la sua urna veniva collocata nel luogo destinato pel suo deposito.

[…] Il giorno terminava infine con una solenne Accademia poetica tenuta in un vasto salone all’uopo appa­recchiato coll’intervento di nobili e culte persone che tributarono ben tributati applausi di lode a quell’eletta schiera di giovani, che caldi di vergini e generosi sentimenti fecero pompa con le loro ispi­rate poesie, di quel nobile entusiasmo, di cui riboccavano i loro cuori nelle solennità di un giorno sacro al trionfo di S. Brunone, e al nome glorioso dell’immortale Ferdinando II. Oh! quel giorno sarà scritto in bianca pietra dai cittadini di Serra, e incancellabilmente stampato sul frontespizio del libro dei fasti della ripristinata Certosa dei Santi, di quel Santuario ch’è tuttora il primo monumento Religioso della Calabria.

 

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