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Nel collegio che da Vibo arriva a Soverato il gap fra i candidati dei maggiori partiti si è rivelato, ad urne chiuse, molto più ampio del previsto e anche qui in definitiva ha soffiato forte il vento dei 5 stelle e del centrodestra. A calamitare l’attenzione di molti, anzi di tutti, era lo scontro al “vertice” dell’uninominale per la Camera fra l’ex presidente della Provincia di Catanzaro, Wanda Ferro (centrodestra) e i due parlamentari uscenti, Dalila Nesci (Movimento 5 Stelle) e Bruno Censore (centrosinistra). Al di là dei dati e delle percentuali, dei seggi che si guadagnano e di quelli che si perdono, i conti per l’uninominale sono semplici perché ad avere la meglio è chi porta a casa il bottino di consensi maggiore: sarebbe bastato anche solo un voto in più. E in tal caso, come è ormai noto, è stata la Ferro ad assicurarsi il pass diretto verso Montecitorio con una percentuale di consensi superiore al 35%. Sul secondo gradino del podio la pentastellata Nesci con un 32% e oltre che vale un largo margine sul piddino Censore, fermatosi a un 25% striminzito rispetto a quelle che erano le sensazioni dei giorni scorsi. E proprio la sonora sconfitta incassata dal centrosinistra e da Censore rappresenta la vera sorpresa di questo collegio.
SENZA PARACADUTE NEL VENTO PRO CENTRODESTRA E PRO CINQUE STELLE
L’ultimo mese aveva offerto una campagna elettorale con il politico di Serra San Bruno impegnato a battere il territorio del collegio metro dopo metro, a concedersi centinaia di strette di mano con amministratori di ogni ordine e grado e l’abbraccio affettuoso di maree di cittadini immortalati come bomboniere da esporre in vetrina nelle foto dei convegni, degli incontri e delle sale piene abbellite con le rose, i manifesti e l’illusorio entusiasmo. Ma le foto delle platee traboccanti, adesso più che mai è evidente, non pare possano consegnare sentenze perentorie, tutt’altro, visto che – per rendere l’idea – di sale piene pronte a inneggiare a esempio alla Nesci in giro sui social se ne sono viste poche, anzi nessuna. Troppo fumo e poco arrosto insomma in una campagna elettorale, quella di Censore, che offre un verdetto molto amaro. È lui, è indubbio, il vero sconfitto di questa tornata anche e soprattutto per la sua incapacità di trovare, sui tavoli che contano del Pd e del centrosinistra regionale e nazionale, possibili “paracadute” che possano alleggerire la caduta dell’uninominale. E così, se è assodato che la Ferro si accomoderà a Roma, altrettanto si può dire per la grillina Nesci che, a differenza di Censore, ha ben pensato, preteso e ottenuto una candidatura “alternativa” nelle primissime file del proporzionale, uscendo dunque battuta all’uninominale ma comunque eletta. È grazie a ciò che la Nesci ha trovato quindi la conferma alla Camera e Censore invece no. Un beneficio, questo, che il centrosinistra ha preferito riservare al vicepresidente della giunta regionale Antonio Viscomi, che tuttavia nel suo collegio uninominale ha, in soldoni, conseguito 10mila voti in meno di Censore. La differenza – come già detto – è che il primo è pesato evidentemente molto di più sui tavoli romani, il secondo no.
«NDI VIDIMU ALLU BAR»
Altra storia quella che, al di là delle questioni attinenti all’assetto interno del Pd e della coalizione di centrosinistra, ha determinato la sconfitta di Censore sui singoli territori, Comune per Comune, quartiere per quartiere, casa per casa, quasi ovunque. Quello che avrebbe dovuto essere insomma il suo campo, quello della conoscenza diretta e quasi intima di ogni angolo del Vibonese e del Basso Jonio, per un politico di territorio tradito però questa volta proprio dal territorio. È evidente allora che la metodologia propagandistico-elettorale individualistica del «ci vediamo al bar», delle «persone che vengono a trovarmi a casa per avere un consiglio» e dell’azienda che si rivolge al potente di turno per aggirare i torti e «risolvere le lungaggini burocratiche», che molto odora di clientelismo, pare non abbia sortito l’effetto desiderato. Sarà che quegli stessi cittadini si sono incontrati poi anche in altri bar con altri candidati, hanno fatto visita ad altre case o che quelle aziende non siano comunque riuscite a vincere le lungaggini imposte dalla burocrazia.
UN POLITICO DI TERRITORIO TRADITO DAL TERRITORIO
Cosa ulteriormente diversa quella che emerge invece dai Comuni, intesi non come riferimenti territoriali ma piuttosto come rappresentanze amministrative: i sindaci, gli assessori, i consiglieri comunali “censoriani” stanziati tra Vibo e lo Jonio. Censore nel tempo era stato bravo a collezionare una serie di vittorie alle amministrative, riuscendo a insediare in svariati Municipi i suoi sindaci e i suoi uomini. Elemento questo che lo ha forse indotto a cullarsi troppo sull’idea che l’equazione «in quel paese c’è un nostro sindaco e quindi i voti sono nostri» sarebbe potuta pesare come una formula matematica inequivocabilmente certa. Il problema però, e lo si è visto nettamente in molti di quelli che erano considerati i feudi elettorali di Censore, è che il consenso dei cittadini si è rivelato poco abbinato alla casacca indossata dal sindaco o alla bandierina issata sulla sua testa e molto, di contro, a quanto nel tempo quello stesso territorio ha eventualmente goduto o non goduto in termini di servizi, di benefici sul piano della viabilità, dell’occupazione, della qualità della vita in genere. Insomma, per poter vantare un credito elettorale con una comunità non basta riuscire a eleggere un “proprio” primo cittadino a capo di un Comune se questo stesso Comune resta poi in balia del degrado, dell’abbandono e dell’isolamento, dei disservizi e dei disagi, se i frutti di una rappresentanza istituzionale nazionale tardano a vedersi, se i giovani continuano a scappare via lontani e i rioni a spopolarsi, perché finisce poi che quei cittadini disapprovano in cabina elettorale affidandosi a tutt’altri lidi. A questo si aggiunga, oltre ai Comuni, l'importante influenza del politico di Serra San Bruno nelle stanze della Regione Calabria, tra i funzionari e nei dipartimenti. Influenza “usata” abbondantemente e in più circostanze e che non pare abbia sortito effetti concreti tra le 7 di ieri mattina e le 23 di ieri sera.
LA STAMPA LOCALE
Netto autogol quello che deriva dall’atteggiamento usato da Bruno Censore nei confronti della stampa e in particolare di quella locale, additata alla stregua di un manipolo di astiosi che un giorno sì e l’altro pure si diverte a schernire gratuitamente il povero parlamentare, a sminuire il suo operato solo per il gusto di concedersi dell’inchiostro in libertà. «La stampa locale mi attacca, scrive contro di me e io voglio che continui a farlo», ha ribadito Censore a più riprese mostrando i muscoli laddove non serviva, in diretta radio e agli incontri con gli elettori. Elucubrazioni che hanno finito però per generare un effetto totalmente opposto, come un boomerang, perché spenta la radio e terminati gli incontri elettorali i cittadini incuriositi hanno acceso internet e sono magari andati a leggerli quei giornali e casomai si sono accorti che non raccontavano bugie. Che i frutti di quelle piogge di milioni per la Trasversale, per le scuole, per la rete idrica, per il turismo, per la sanità, per le attività produttive, per il lavoro e chissà per quanto altro ancora citate fino alla noia nel corso di questa campagna elettorale da Censore non si sono potuti toccare con mano. Ed è proprio questa improduttività, questa inefficienza delle classi politiche che si sono susseguite nel tempo, compresa quella rappresentata da Censore, che quasi quotidianamente ha raccontato e continuerà a raccontare la stampa locale. Perché il territorio è tutt’altro che un piccolo Trentino, come si è tentato di convincere gli elettori, e resta zoppo in tutto. I giornali invitano solo la gente a misurare con i propri occhi il mondo che li circonda, non contro Censore ma forse contro quelle politiche e quell’immenso spreco di fondi pubblici che, se realmente sono arrivati, non hanno dato risultati. O perché quei soldi sono stati spesi male o perché non sono stati spesi affatto. E questo per un politico, per un qualsiasi politico, non può essere un merito. E questo da un giornale, da un qualsiasi giornale, deve essere raccontato.
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