Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Un articolo bello e opportuno di Sergio Pelaia sul Vizzarro (“La Trasversale su rotaia che avrebbe cambiato la storia delle Serre”), ha posto, se così si può dire, su basi nuove il problema dei collegamenti delle aree interne di questo territorio con le “marine” jonica e tirrenica, ricostruendo il fallito progetto di un collegamento ferroviario, da rubricare non nella triste pagina delle incompiute, bensì in quella, forse ancora più “bruciante”, delle mai cominciate, dei libri dei sogni riempiti con idee progettuali evanescenti. La storia così ben raccontata da Sergio Pelaia ha un antefatto di pochi anni prima, che porta il nome di Bruno Chimirri e che, velocemente, può essere l’occasione di ricostruire. Non a caso, durante la commemorazione di Chimirri, morto da nemmeno due mesi, nell’aula del Senato del Regno, il Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti Ettore Sacchi, prendendo la parola, ricordava che all’iniziativa del grande politico serrese si doveva “la legge speciale del giugno 1906 a favore della Calabria e molti dei successivi provvedimenti legislativi a seguito del terremoto del 1908: provvide disposizioni che, mentre stabilirono un programma organico di opere pubbliche a favore di quella regione, aprirono una miniera inesauribile di benefiche istituzioni, al cui sviluppo egli contribuì con tutto l’impegno”. Il punto di partenza della mancata ferrovia delle Serre era proprio quello: la legge pro-Calabria del 1906 e l’impulso che Bruno Chimirri pensava di dare alle opere pubbliche per lo sviluppo del Mezzogiorno. Tale legge, infatti, all’articolo 32 bis recitava testualmente: “Se entro il 31 dicembre 1910 non siano state concesse all’industria privata verranno costruite direttamente dallo Stato a sezione ridotta di m. 0,95, le ferrovie complementari:
Nel quadro finanziario delle opere pubbliche inserite nella legge, le ferrovie pesavano per poco più del 10%. Infatti, su una spesa complessiva prevista di 119.388.000 lire l’importo assegnato per la costruzione delle strade ferrate era di dodici milioni, a fronte di 59.743.000 lire previsti per le strade ordinarie (provinciali e comunali), 23.600.000 per la sistemazione dei corsi d’acqua, 8.880.000 per le bonifiche, 6.700.000 per i porti, 3.465.000 per il consolidamento delle frane (immancabile problema della “mobile” Calabria), 5.000.000 di sussidi per l’acqua ai comuni (altra cronica difficoltà delle popolazioni calabresi). E anche per la legge pro-Calabria, si potrebbe aggiungere in chiusura di questa breve nota di complemento all’articolo di Pelaia, c’erano stati i soliti “profeti di sventura”, che, tuttavia, nello specifico caso, avevano avuto la capacità di vedere lungo. In un opuscolo pubblicato nel 1906 presso la Tipografia Passafaro di Monteleone – Legge per la Calabria. Mezzogiorno. Difetti e provvedimenti – l’ingegner Pietro Sanseverino non aveva mancato di esprimere tutta la propria diffidenza dinanzi a un tale progetto, se affidato ai privati: “Ora è cosa vecchia, è risaputo da tutti, ed è confermato anche dalla esperienza, che nel Mezzogiorno le ferrovie devono essere costruite direttamente dallo Stato, mentre non è possibile costruirle per mezzo dell’industria privata col sussidio chilometrico […] come dichiarava alla Camera nel 1904 lo stesso Sacchi, che ora fa parte del Ministero. […] Ed allora, domando io, perché insistere su questo sistema di costruzione? Forse per pigliar tempo e continuare a corbellare le ingenue, apatiche ed ignoranti popolazioni meridionali!”. Il pessimismo dell’intelligenza dell’acuto tecnico dimostrava, in questo modo, di saper leggere bene dentro il libro dei sogni, prefigurandone con buon anticipo l’esito.
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