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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Certe volte gli archivi non custodiscono solo i fatti del passato. Capita anche che dalla polvere di scartoffie dimenticate riaffiorino storie che potevano essere e non sono state. Eventi e circostanze che si sfiorano negli incroci del tempo e che raccontano ciò che alcuni territori, oggi in preda all’abbandono, sarebbero potuti diventare se le congiunture del fato non si fossero opposte a un futuro che non è mai arrivato.
Questa è una storia che comincia più di 100 anni fa. Una storia di macchine che avanzano sbuffando e sferragliando fino al cuore dell’entroterra calabrese, di rotaie che si inerpicano sul dorso tortuoso dei monti delle Serre vibonesi e catanzaresi e che ne discendono, come in una corsa trionfale, per dirigersi di gran carriera verso il mare. Una bella storia, insomma. Una storia di progresso. Che però non è mai successa. E che, in un presente schiacciato tra truffe elettorali, drammi dell’isolamento e lamentazioni campanilistiche e pseudoidentitarie, racconta moltissimo dei destini di questo angolo di Sud e dei suoi abitanti.
Dalla montagna ai due mari
Il 28 ottobre del 1914 la Storia, quella con la maiuscola che poi va a finire nei libri, sembra in procinto di passare da Serra San Bruno, estrema periferia meridionale della provincia catanzarese del Regno. Della tratta ferroviaria che dovrebbe unire la montagna ai due mari già si favoleggia da tempo, ma la cosa sembra farsi seria quando il messo comunale provvede a passare casa per casa per consegnare a ogni singolo consigliere la convocazione del civico consesso con «l’elenco delle proposte da trattarsi».
L’inghippo
La seduta comincia alle 18, la presiede il sindaco, Michele Principe, assistito dal segretario comunale, Bruno Salerno. All’appello rispondono presente 15 consiglieri. Tra questi c’è anche «l’assessore anziano», Bruno Grenci, che illustra subito la proposta più importante, quella per cui tutti si sono recati alla seduta pubblica combattuti tra speranza e diffidenza. L’assessore «riferisce che l’Egregio concittadino, Prof. Giuseppe Maria Pisani, continuando nel suo interessamento per la buona riuscita della costruenda ferrovia Soverato-Porto S. Venere (l'attuale Vibo Marina, ndr)-Mongiana ne avvisa che dal relativo Progetto di gran massima la Stazione di biforcazione viene ubicata presso il Comune di Simbario, con grave danno agricolo-industriale del nostro Comune, e ne suggerisce le ragioni tecniche-industriali per provocare una variante». Insomma pare che ai piani alti, finalmente, qualcuno si sia deciso a costruire una ferrovia che dalle Marinate vibonesi sale, via San Nicola, fino ai monti delle Serre per poi dirigersi verso la costa jonica. Una Trasversale delle Serre su rotaia, un’opera di alta ingegneria che potrebbe cambiare il destino di tutti. Così probabilmente pensa chi quella sera si trova nella sala delle adunanze consiliari. Quel geniaccio di Giuseppe Maria, un vero pioniere delle arti, sta però avvisando i consiglieri – tra cui c’è anche un suo amico e collaboratore, l’ebanista Gabriele Regio – e tutti i suoi paesani di un inghippo non da poco: il progetto prevede che la biforcazione tra la linea che doveva continuare verso Mongiana – e, poi, verso Mammola – e quella che avrebbe dovuto raggiungere Soverato sarebbe stata realizzata, con annessa stazione, a Simbario e non a Serra. Dunque si deve subito correre ai ripari. Parlarne, votare e inviare tutte le carte, oltre che ai Comuni vicini, al «Governo del Re».
«Un grave danno»
Il progetto che Pisani ha potuto consultare prevede che la linea del treno «venendo da Simbario – certamente con galleria sotto la contrada Timponitondo – lascia ad oriente l’abitato di Serra S. Bruno, attraversando, la bella ed estesa pianura in cui han sede i due rettifili S. Giovanni Mindeo e Calvario Mindeo della strada provinciale per Soriano e, quindi, procedendo per Mongiana, ed attraversando la contrada Castello e Bufalaro, lascia ad oriente la Certosa ed a ponente gli stabilimenti di S. Maria». Ma realizzando la stazione a Simbario si sarebbe fatto «grave danno degl’interessi agricoli-commerciali di Serra S. Bruno, e senza giovamento per Simbario e per i suoi vicinissimi comuni di Spadola e Brognaturo». Infatti, si legge nella delibera di consiglio comunale del 1914, «è generalmente riconosciuto che, dopo i centri sui i due mari – Monteleone-Pizzo e Soverato – Serra S. Bruno è il centro più importante di tutta la linea, sia per affluenza di passaggieri, sia, viemaggiormente, per trasporti in arrivo e partenza».
Il risveglio
Nel caso in cui a Roma non siano convinti, i rappresentanti del popolo serrese proseguono con una spiegazione dettagliata a cui aggiungono una proiezione di ciò che, appunto, con l’arrivo del treno potrebbe diventare realtà: «Il mercato giornaliere, che si intensifica giovedì e domenica; la graditissima villegiatura estiva; il commercio dei prodotti dei vastissimi boschi e quelli del suolo, delle arti e dei mestieri così fiorenti; degli Stabilimenti di S. Maria, delle fornaci da calce e da laterizii, della pietra granitica e della steatite, dei grandi e numerosi depositi di generi coloniali ed alimentari, tessuti, ferramenta, vini ecc, danno grande ed importantissimo movimento. E la sola notizia di aver fra breve la ferrovia destò un risveglio di associazioni, essendo sorta, con buoni capitali, una società per l’impianto di un mulino elettrico, con annesso panificio e pastificio, e ne van sorgendo altre per la lavorazione del legno, per l’utilizzazione su larga scala dei banchi di argilla e di steatite, nonché per una stazione di ingrasso di animali da macello, industrie tutte che non sursero finora per la difficoltà dei trasporti». E hanno anche già pensato, i signori consiglieri, a dove dovrebbe sorgere la stazione serrese: in «luogo comodo ed agevolmente accessibile ai rioni dell’abitato, quali Gallella, S. Giovanni e Spinetto, precisamente dove ha sede la predetta strada provinciale col suo doppio sbocco nell’abitato a mezzo dei rettifili Mindeo Piazza S. Giovanni e Mindeo Largo Calvario». Tra l’altro, non costruendo la stazione a Serra, «Simbario istesso, Spadola e Brognaturo ne risentirebbero gran danno, perché, avendo i loro affari coi privati e coi pubblici ufficii a Serra S. Bruno, Capoluogo del Mandamento ed emporio commerciale, con la stazione di biforcazione qui, verrebbe ad usufruire di tutti i treni da S. Venere a Soverato e viceversa». Quindi, tenendo conto delle «considerevoli esigenze agricole-commerciali» e che «non si oppongono difficoltà tecniche», il consiglio comunale serrese rivolge «i più caldi voti» agli esponenti del Governo affinché «si benìgnino interessare la On. Direzione concessionaria della costruzione della ferrovia Soverato-Porto S. Venere-Mongiana a stabilirne la Stazione di biforcazione per S. Venere e Soverato nell’abitato di Serra San Bruno».
Sharo Gambino e il ministro fascista
Della ferrovia a Serra e di ciò che poteva essere e non fu scrisse anche l’indimenticato Sharo Gambino. «Un giorno del 1929 – è l’episodio raccontato dallo scrittore in Sull’Ancinale e poi ripreso in Fischia il sasso – venne a Serra, in visita ufficiale, Michele Bianchi, che era stato uno dei quadrumviri (con De Bono, Balbo, De Vecchi) che avevano preparato con Mussolini la “rivoluzione” fascista e la marcia su Roma». I serresi, continua Gambino, «lo accolsero in pochi e freddamente». Ma il «guaio fu che Bianchi era ministro dei Lavori pubblici, per cui, innervosito, lui abituato agli applausi e agli evviva, salendo la scala della casa comunale si rivolse al podestà pro tempore e gli disse chiaro chiaro: “Il duce ci dice di osservare molto e di parlare poco. Cosa che io faccio. E perciò vi dico: la ferrovia non l’avrete giammai!”». I serresi impararono da quella “mancanza” e più tardi accolsero con grandi onori il successore di Bianchi, il vibonese Luigi Razza, ma lo sferragliare del treno sulle rotaie del progresso rimase per loro solo una suggestione.
La Mediterranea
Al di là dell’aneddoto raccontato da Gambino, c’è una ragione storica, legata a difficoltà economiche e progettuali, per cui la ferrovia Vibo Marina-Serra-Soverato non si realizzò mai. A costruirla sarebbe dovuta essere quella che era stata la Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, detta anche Mediterranea. Costituita nel 1885 a Milano da un consorzio di banche, la Mediterranea pagò allo Stato 135 milioni di lire ed ottenne il materiale rotabile e le provviste delle antiche reti riscattate. «Nel 1905 – si legge sul sito del Sistema informativo unificato per le Soprintendenze archivistiche – con la nazionalizzazione delle ferrovie e la nascita delle Ferrovie dello Stato, la Mediterranea ebbe espropriata la propria rete. Disponendo, così, di ingenti capitali da reinvestire, avanzò la richiesta di concessione per la costruzione della rete ferroviaria secondaria dell'Italia meridionale; con legge 580 del 21 luglio 1910 la richiesta venne accolta e i relativi progetti approvati. L'anno dopo, nel 1911, la Mediterranea firmò un apposito contratto con lo Stato». Nel 1915 partirono i lavori: «Il progetto prevedeva la realizzazione di una rete che avrebbe collegato le maggiori località della Calabria, della Lucania ed in parte della Puglia, con qualche puntata in Campania, lungo l'asse Bari, Altamura, Potenza, Lagonegro, Spezzano Albanese, Cosenza, Catanzaro, Gioia Tauro, con varie diramazioni trasversali ed opere di ardita ed alta ingegneria ferroviaria». Nel 1926, però, l’ambizioso progetto venne ridimensionato. Si stabilì di completare solo i lavori già iniziati, ma questi procedettero così lentamente che nel 1934 vennero definitivamente fermati.
Così la Storia, che in quel giorno di ottobre del 1914 sembrava avvicinarsi alle industriose popolazioni delle Serre, prese per sempre un’altra direzione.
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