Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Si sono introdotti nella sua abitazione e l'hanno immobilizzata, dopodichè hanno cercato in tutta la casa soldi e gioielli. Il bottino però alla fine è stato scarso per i due rapinatori che, a volto coperto, hanno forzato una finestra e sono entrati nella casa di un'insegnante 68enne, a Ricadi, nella quale sono riusciti a trovare solo 30 euro ed alcuni monili in oro. I rapinatori sono rimasti alcune ore all'interno dell'abitazione, cercando di farsi dire dalla donna immobilizzata se ci fossero altri soldi. Poi, avendo atteso che non ci fosse nessuno in strada sono fuggiti senza lasciare tracce.
Mi piace riproporre un articolo di Ugo La Malfa (foto, insieme ad Aldo Moro), datato 20 marzo 1958 scritto per “La voce repubblicana” e titolato “La miseria di Cutro”, che custodisco gelosamente tra le mie cose ormai da anni. Si tratta di antichità, si tratta di povertà da terzo mondo trasformata decisamente in benessere, e non grazie alle lotte armate, ma alle rimesse e ai sacrifici degli emigrati, del tempo, in Germania e a Reggio Emilia, anche con la conseguenza dell’abusivismo edilizio, “abusivismo di necessità” cosiddetto e giustamente.
Mimmo Stirparo
“Ha scritto Alfredo Todisco su La Stampa di giorni fa, a illustrazione di una sua inchiesta in Calabria, e dopo aver elogiato la riforma agraria, la bonifica, l’intervento della Cassa del Mezzogiorno, le seguenti impressionanti parole: “Un miglioramento, senza dubbio, vi è stato. La visione di Cutro, tuttavia, è ancora terribile. A Napoli la miseria, anche la più tetra, è sempre di uomini che conservano la scintilla dell’anima. Qui la miseria ha uno sfondo che ha perduto molto dell’umano. Senza canti, senza tradizioni artigiane, senza costumi particolari. Cutro è un paese abitato da un popolo di bambini scalzi e di cani randagi. Gli adulti sono sui campi, oppure aspettano un lavoro lungo la strada principale, seduti a terra, gli sguardi stupefatti. I cani di Cutro hanno lunghe orecchie penzolanti, sono tutti diversi gli uni dagli altri, offrono una varietà infinita di musi contraffatti e spiritati. A Cutro, forse il comune più depresso d’Italia, la natalità raggiunge uno dei tassi più elevati, il cinquanta per mille. Gli interni (delle case) sono ancora più tetri delle vie, se possibile. Pavimenti di terra battuta, cosparsi di foglie e di verdura. Il fuoco spesso si accende in un angolo dell’unica stanza, il fumo incrosta il muro di nero, esce dal tetto sconnesso. Nessuna meraviglia che in queste condizioni il tracoma e la tubercolosi infieriscano tra la popolazione del comune. Spingendo ancora più nell’interno del marchesato di Crotone, si traversano paesi che oltre a non avere acqua, luce, fognature, mancano persino del cimitero.”
Ho citato queste parole per dimostrare come, a quasi dieci anni di distanza dalla riforma agraria, dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, da una politica di interventi statali, la situazione di molte zone d’Italia sia rimasta in uno stadio di miseria quasi inconcepibile. E non si tratta della sola Calabria o del solo Mezzogiorno. Si visitino molti Comuni montani dell’Umbria, delle Marche, della stessa Emilia, del Piemonte: il quadro non è differente. Vi è in corso una vasta e clamorosa polemica fra statalisti e antistatalisti. L’on. Malagodi, il senatore Sturzo, il ministro Pella, vantano i meriti della libertà economica e si proclamano fieri assertori dell’antistatalismo. Altri difendono lo statalismo o, almeno, si fanno propugnatori dell’intervento statale. Ma come è avvenuto che essendovi state, nel nostro Paese, fasi di libertà economica, a cui sono succedute cosiddette fasi di statalismo, essendo o non essendo esistiti l’IRI e l’ENI, essendovi stati al governo uomini della destra o della sinistra, democratici o totalitari, la sorte di Cutro sia rimasta la stessa? Che cosa ha fatto sì che la civiltà più elementare non abbia sfiorato Cutro, o altri Comuni che si trovano nella stessa tragica condizione di Cutro? Come è possibile che, nell’anno di grazia 1958, giornalisti come Todisco, facciano nel nostro Paese, che noi presumiamo essere di alta civiltà, constatazioni e rilievi che si possono tutt’alpiù riferire a miserrimi villaggi dell’Egitto, della Turchia o dell’India? Quale mai razza di collettività e di società è la nostra, che può mostrare, contemporaneamente, i grattacieli e le costose costruzioni edilizie di Milano e le miserie di Cutro? Come si può pretendere di far parte dell’Europa, della cosiddetta civiltà occidentale, e avere casi come quelli di Cutro, facendone oggetto di commossi e attoniti reportages giornalistici soltanto? Siamo alla vigilia di una battaglia elettorale. Possiamo forse sperare che la sorte di Cutro migliorerà nei prossimi cinque anni? L’on. Malagodi, il senatore Sturzo, il ministro Pella promettono di smantellare l’IRI o l’ENI, di fare tabula rasa dello statalismo, ma forse ci danno una soluzione qualunque del problema della miseria italiana? Lo statalismo imperversa e non si accorge di Cutro, ma se ne è accorta forse l’iniziativa privata in tutti questi anni? Lo Stato sperpera denaro in inutili cose, ma i grattacieli di Milano, ma i lussuosi cinematografi oggi in crisi, innegabili frutti dell’iniziativa privata, sono proprio utili in un Paese che mostra agli stranieri attenti e consapevoli, una desolazione e una miseria ancora tanto assurdamente diffuse? In verità, dopo i primi interventi del 1950, dopo gli entusiasmi e le polemiche intorno alla riforma agraria e alla Cassa del Mezzogiorno, la democrazia si è seduta. La fiamma si è spenta e il regime di oggi continua l’andazzo di ieri, le tradizioni del fascismo o dello Stato liberale. Si continueranno a gettare centinaia di miliardi dell’iniziativa privata o dell’iniziativa pubblica in investimenti voluttuari o del tutto superflui o non commisurati alle necessità elementari del Paese. Ma all’orizzonte di Cutro non apparirà nulla di nuovo, come dieci anni, come cinquant’anni, come un secolo fa. E’ evidente che la nostra non è una civiltà degna di questo nome, se per civiltà s’intende una condizione di vita dignitosa ed omogenea. E’ evidente che senza un grande sforzo di disciplina, di austerità, di solidarietà, l’Italia non sarà mai un Paese occidentale e moderno. E’ evidente che solo lo Stato, affiancato dalle regioni, dai comuni, dall’iniziativa pubblica e privata, può portare a compimento un grandioso processo di redenzione di tutta la società nazionale. Ma vi è forse una qualsiasi indicazione politica che questo possa essere fatto nei prossimi anni? Vi è un impegno, una battaglia, un programma che dia qualche speranza? Dieci anni fa la democrazia aveva più sensibilità ai problemi della condizione storica e sociale del nostro Paese di quanta non ne abbia oggi. E’ questa la causa vera del generale malessere e di indubbia decadenza. Troveremo l’energia morale e le forze politiche necessarie ad un compito che sistematicamente una certa Italia ufficiale, sia di destra o di sinistra, statalista o antistatalista, democratica o totalitaria, trascura, occupandosi di ben più solidi interessi e di meno crude realtà? E quando governo e parlamento a Roma, ma alcuni liberi iniziativisti a Milano o a Torino, si accorgeranno che Cutro è in Italia e non nel centro dell’Africa”.
Ugo La Malfa
La Rete difesa del Territorio "Franco Nisticò" non molla e continua a chiedere la fine del commissariamento dei rifiuti in Calabria. Di seguito la nota del movimento calabrese che da tempo lotta su più fronti per difendere il territorio e le sue risorse. "Il popolo calabrese non è più disposto ad accettare alcun ricatto o speculazione sul proprio territorio: questo è il messaggio chiaro scaturito da un intenso anno di iniziative della RdT, culminato con la grande manifestazione del 12 Novembre a Crotone e proseguito col blocco della SS 106 a Cariati l’11 Dicembre. La parola d’ordine di queste manifestazioni è cristallina: fine del commissariamento all’emergenza rifiuti. Quello che fino a ieri era un porto delle nebbie di cui molti cittadini ignoravano l’esistenza, è diventato noto a tutti i calabresi ed ha suscitato il grido che dalle strade di Crotone è giunto stridente fino a Palazzo Campanella ed ai palazzi romani: "mò basta".
Le voci che si susseguono in questi giorni e la mancata consueta proroga del commissariamento calabrese nel decreto “mille proroghe” sembrano dar ragione a quei calabresi, ma consapevoli degli interessi, anche ‘ndranghetisti, che ruotano intorno alla monnezza, non abbiamo intenzione di mollare la presa. Nei prossimi giorni i calabresi dovranno avere conferma della cancellazione della ridicola istituzione che da 15 anni ha devastato il territorio agendo in deroga alle norme che tutelano la nostra salute, spendendo 1,4 miliardi di soldi nostri e permettendo ad un manipolo di speculatori privati di tenere in pugno il ciclo dei rifiuti regionale. Qualora questo non accadesse, la Rete Difesa del Territorio “Franco Nisticò” tornerà a manifestare per le strade ed a bloccare le discariche, simbolo del fallimento della classe politica calabrese e punti nevralgici del fragile ciclo dei rifiuti, ad un anno dal blocco della discarica di Pianopoli (CZ).
Non abbiamo intenzione di accettare commissariamenti camuffati da fantomatiche fasi di transizione, come già accadde in passato: l’unica via ragionevole è il ritorno della responsabilità agli enti locali, i quali senza alcuna deroga devono realizzare un sistema completamente pubblico che si basi sulla raccolta differenziata spinta porta a porta finalizzata al riciclo e riutilizzo totale. Chi non è in grado di farlo, dal sindaco del piccolo comune alle istituzioni regionali, passando per i presidenti della provincia, si dimettano senza riserve. Il tempo della cuccagna maleodorante che da decenni regna in Calabria è finito".
Il Gruppo Cooperativo GOEL, che da anni prova a combattere lo strapotere economico della 'ndrangheta, è stato vittima di un atto intimidatorio. Un ordigno esplosivo è stato lasciato, nella giornata di ieri, davanti all'entrata di un locale che la Cooperativa GOEL aveva preso in affitto con l'intento, quasi riuscito, di realizzarvi un ristorante multi-etnico che iniziasse al lavoro gli ospiti dei progetti di accoglienza. L'esplosione ha gravemente danneggiato l'immobile come spiega il presidente del gruppo cooperativo, Vincenzo Vinarello: "La bomba ha fatto saltare i pavimenti e divelto tutte le porte. È stata fatta esplodere immediatamente davanti l'ingresso principale, probabilmente nella notte del primo dell'anno. È un atto di stampo chiaramente mafioso, uno dei tanti che hanno colpito la Locride e la Calabria negli ultimi giorni". Subito sono intervenuti sul posto i carabinieri che hanno già avviato le indagini, affidando le analisi alla Scientifica. La cooperativa GOEL, che già in passato era stata fatta oggetto di altri atti intimidatori, nel corso della sua storia, ha portato e porta avanti ancora oggi vari progetti d'accoglienza. Il presidente Lionello ci tiene a puntualizzare che la cooperativa continuerà "le attività di accoglienza degli immigrati per sottrarli al controllo della malavita" ma chiede che "il governo dia un chiaro segnale di rafforzamento della lotta alla 'ndrangheta".
Nella giornata di ieri sul grave episodio si è epresso anche il sindaco di Cauolnia, Ilario Ammendolia, che ha dichiarato:
"I valori di solidarietà, generosità, accoglienza e uguaglianza tagliano l'erba sotto i piedi alla criminalità che per vivere ha bisogno di contrapposizioni, di odio, di divisioni. La presenza tra noi di tanti ragazze e ragazzi africani, curdi, palestinesi, pakistani e' un seme gettato in favore di una società che poggia su valori alternativi a quelli voluti e praticati dalla mafia. Un seme che germogliando getterà le basi a una società diversa e senza violenza. Ovviamente, saranno le autorità inquirenti a individuare gli esecutori materiali e i mandanti di tale gesto criminale. A noi tocca il compito di valutare la natura criminale di una azione che rappresenta un attacco politico a quanto noi abbiamo realizzato in questi anni. Noi non faremo un solo passo indietro. Non abbandoneremo le nostre posizioni - aggiunge Ammendolia - che coniugano la lotta alla 'ndrangheta a quella per una società più giusta e al rispetto della Costituzione repubblicana".
"Ribadiamo ciò che abbiamo sempre detto: la lotta alla criminalità deve essere condotta senza quartiere ma sempre nel rispetto delle garanzie costituzionali e senza criminalizzare la nostra terra e il nostro popolo. Continueremo senza esitazioni a percorre la nostra strada. Alla violenza - continua - si risponde con il massimo di unità possibile. Questo abbiamo ricercato in passato e questo continueremo a ricercare con la massima determinazione. In questi anni, a Caulonia e in tutta Italia, come sindaco e come esponente del tessuto democratico meridionale, ho cercato di delineare la possibilità di costruire nel Sud una società diversa. L'accoglienza, la solidarietà, l'impegno come parte essenziale di un progetto di rinascita del Sud. Ho avuto modo di farlo ovunque da Lampedusa a Udine, ad Aosta. Lo farò ancora il 13 gennaio a Trieste. Credo che oggi come ieri abbiamo bisogno di uscire fuori dal ristagno culturale e morale e da una politica asfittica e provinciale basata su una conflittualità permanente. La 'ndrangheta si sconfigge rilanciando la politica da non confondere con il mero impegno elettorale. Nelle prossime ore - conclude il primo cittadino di Caulonia - concorderemo una risposta democratica, la più larga possibile alla intimidazione subita. Ovviamente a tale manifestazione inviteremo tutti a intervenire".
Un secolo fa, 6 gennaio 1912, moriva a Serra San Bruno, dove era nato il 15 settembre 1837 da Gabriele e Giuseppina Drago, Mastru Brunu Pelaggi, poeta dialettale, che si può considerare il precursore e protagonista/vittima della mai risolta “questione meridionale”. Parlare e scrivere di Mastro Bruno, infatti, è di una forte e sconcertante attualità a dispetto del secolo che ci divide. I temi della sua poesia spicciola e senza pretese linguistiche o sintattiche e tanto meno metriche (scalpellino da mattina a sera senza voler essere o apparire “poeta” ma semplicemente raccontare a se stesso e al suo vicinato “li stuori” come definiva i suoi componimenti che non scriveva, seppur sapesse leggere e scrivere, ma dettava alla figlia Virginia) sono la disperazione, la fame, la povertà, l’inquietudine della povera gente che resta sempre e comunque classe subalterna e derisa dalla “casta” di ieri come di oggi. Temi questi che erano un piacere ma soprattutto riflessione anche per le orecchie dell’altro illustre serrese, il Ministro Bruno Chimirri forse non affetto dai vizi della casta parlamentare del tempo, amico del poeta al quale non disdegnava di rivolgersi spesso per consigli. Durante il ‘900 postbellico, molti eminenti rappresentanti della letteratura italiana si sono interessati della figura e della poetica dello scalpellino di Serra San Bruno. Tra i tanti, Umberto Bosco che scrive: “Nei primi decenni del secolo, quando ero a Catanzaro, la figura di Mastro Bruno aveva i contorni incerti del mito. Se ne vantava l’arguzia che era addotta a esempio della causticità comunemente attribuita ai compaesani del mastro, gli abitanti di Serra San Bruno”.
E più avanti per lo stesso Bosco “colpisce nella poesia del Mastro la totale assenza di fatua sconcezza, fatto singolare, dato che la poesia in dialetto era tradizionalmente considerata e non solo in Calabria, il rifugio di scherzi più o meno grossolani, di argomenti più o meno scurrili. […] Certo Bruno non arretra dinanzi a parole energiche ma nel suo testo […] esse hanno perduto il loro originario valore greve, talvolta sono intercalari. Tuttavia l’aspetto più interessante di Mastro Bruno non ci è dato da versi di questo genere, ma da altri di diverso tono, come quelli nei quali denuncia la necessità in cui i poveri si trovano a votare secondo la volontà di coloro ai quali ‘si dici no pierdi lu pani’”.
Per Vincenzo Paladino, il Pelaggi è accostato al Campanella e allo Alvaro in quanto “eroi dell’azione, dell’azione e dell’utopia”. La tematica, sempre attuale più che mai, del poeta serrese, resta tutta focalizzata su: la mancanza di lavoro, la continua disoccupazione che spopola i paesi e che riempie di delusione e di profonda amarezza la povera gente arricchita di vane promesse di grandezza e di sicurezza economica predata dai Sabaudi dell’Unità d’Italia dopo la caduta del regno borbonico che non era certo da mandare sotto la ghigliottina. Scrive Gualtiero Canzoni: “Di supa sta montagna/ ti jiettu ‘na gridata…’, così si leva alta e irriverente la protesta della Calabria, attraverso i versi di Mastro Bruno Pelaggi dedicati a ‘Mbertu Primu, re di un’Italia che, appena unita, cominciava a mortificare le speranze e le aspettative dei calabresi”.
Ordunque il secolo è passato e se rileggiamo alcuni passi della poesia Ad Umberto I notiamo quanto ancora sia vera e attuale la fotografia sulla Calabria e sui Calabresi fatta dal Pelaggi.
“…Si buoi mu si aduratu / di tutti li Taliani /spartandi lu pani /e sient’a mia // ch’è truoppu tirannia / pi nui, povara genti: / a cu’ tuttu a cu’ nenti / non è giustu. // Duna a cu vuoi l’arrustu, / lu miegghiu e lu cchiù gruossu, / a nui dunandi ‘n’uossu / cuomu cani! // Sempi lavuru e pani / circau lu calabresi / ma tu sciali di risi / e cugghiuniji! […] Taliani cu la cuda / ndi carculasti a nui, / ma tu si duru cchiui / di ‘nu macignu! […] Basta…simu Taliani! / – gridammo lu sessanta -/ e mò avogghia mu canta / la cicala!// La fami cu’ la pala / si pìgghia e cu’ la zappa: / cu è guivini si la scappa / a Novajorca. // A nutri ndi tocca / suffriri e mussu chiusu / e quaci ntra lu pirtusu / di lu culu!! //[…] Picchì ha’ mu li nascondi /li gridi calabresi? / Non pagami li spisi / guali a tutti?// Ma tu ti ndi strafatti / li deputati cchiui: /duvi ncappamma nui /povara genti! // Non spirari cchiù nenti / Calabria sbinturata…”.
E nella lirica Ricorso al Padreterno Mastro Bruno implora il buon Dio: “…Priestu mina li mani! /Vidi cuomu mu fai! / Càcciandi di stiì guai, / manneja aguannu! // Non vidi can di fannu / muriri a puocu a puocu! / Tu ti mintisti dduocu / e stai mu guardi’…”.
Povero Mastro Bruno, voce nel deserto, inascoltato dai potenti di cielo e terra, indirizza anche una Lettera al demonio perché “ Nuddu mi rispundiu, scuntientu mia! / Io li prigai non li chiamai cornuti! /e tanti cuosi giusti nci dicia…/’Nci dissi ca ccà simu strafuttuti. […] Mo’ nci scrivu a Lucifaru, a lu mpiernu / ch’è mperaturi di ‘nu gruossu riegnu. / Si statru non mi rispunda, si strafutta. /Armenu sacciu ca li pigghiai pari ../ […] Mò no’ scrivu cchiù a nuddu, cà mi ncrisciu / di riestu, viju ch’è tiempu pirdutu…”.
Ormai Mastro Bruno non ha alcuna speranza e il compianto poeta e scrittore serrese, dal quale ha attinto a piene mani tutta l’arguzia nel denunciare i mali delle popolazioni delle Serre, Sharo Gambino dice che: “ per sfogare le proprie amarezze non ha più che da rivolgersi alla luna”.
Leggiamone alcuni passi: “ Cu sapa chi nci vò / mu cangiria fortuna. / Forsi chi tu, uhè luna, sapirissi. / Si ‘n casu volarissi / datu chi tuttu puoi / cà cu li giri tuoi / puru niscimu./ Fuocu quantu patimu! / […] Quant’agghiuttivi amaru / ntra st’esistenza mia! / Luna, si no niscia, / quant’era miegghiu! / Ma mo chi cazzu pigghiu / ca ti li cuntu a tia / para ca sienti a mia / ‘ntra sta nuttata? / Tu, già, non si mparata? / cchiu crudeli di chistu /si ti gustasti a Cristu chi muria / jio mo chi bolaria / di mia mu sienti pena!? / Tu ti guardi la scena / e passi avanti. / […] Ma tu cu’ su’ silenziu / chi ‘nsurta puru a Dio / vidi lu cuori mieu / cuom’è chi ciangia. / […] Tu passi, ti ndi vai / ti ndi strafatti, / e supa di nui tutti / muta tu t’irgi e nchiani / lu stiessu fai dimani / e nui murimu!”
Una “luna indifferente - scrive Vittorio Torchia - come Umberto re, come il barone – padrone, e nessuno dei tre avverte la minima ansia di voler sapere quel che accada o come viva il loro suddito – zappaterra o suddito – scalpellino”, insomma, “una luna del mondo locale. Cioè componente di quella vita di paese sempre ricolma di contraddizioni, di beghe, di lotte, di stenti”.
Alla luna del Pelaggi è poesia alta che ha offerto il fianco a molti critici i quali pensano a letture leopardiane e segnatamente al “canto notturno”. E non è neanche pensabile che andasse a consultare libri e opere di valore custoditi nella rinomata e ricchissima biblioteca della Certosa serrese o in quella dell’amico Chimirri. Sapeva leggere e scrivere eccome ma aveva altro cui pensare e del resto “come faceva a tenere in mano la penna un uomo che passava tutto il santo giorno a tenere la mazzetta e lo scalpello in mano?” come scrive don Leonardo Calabretta.
Comunque sia, finalmente e a giusta ragione, tutta la considerazione favorevole venutagli dai critici letterari è stata consacrata con l’inserimento di “Mastru” Bruno in diverse opere antologiche apparse in questi anni. La prima è quella della prestigiosa Editrice La Scuola di Brescia del 1986 curata da Pasquale Tuscano e adottata nei Licei. In questo lavoro il Pelaggi è accomunato ai vari Gioacchino da Fiore, Galeazzo di Tarzia, Campanella, Schettino, Jerocades, Padula, Misasi ed altri. Del poeta serrese sono ospitate le poesie migliori, o, se volete, le più conosciute, Lettera al Padreterno, Alla luna e Alla Vergine Maria. Per il curatore Tuscano “Mastro Bruno ha una personalità prorompente, definita e quasi incisa con quello scalpello che certamente gli sarà stato più familiare della penna”.
Nel 1997 il Pelaggi è ospite di “Storia della letteratura calabrese – Novecento” edita da Periferia di Cosenza e curata da Pasquino Crupi. Per questi, la poesia di Mastro Bruno “è una virata vigorosa, decisa verso lo sfasciume umano, perdurante pur dopo il compimento dell’unità nazionale. Non ci sono tentazioni verso l’idillico né deviazioni verso il faceto. La sua possente satira, che talvolta si trasforma in impietoso sarcasmo, si aggira nelle visceri infette della storia, nella geografia della fame senza esiti di uscita e di speranza. […] Capì subito che la povertà calabrese dipendeva da come lo Stato funzionava nei suoi rapporti con il Mezzogiorno. Non disse, perciò, solo quello che la povertà rappresentava, ma da dove nasceva e perché”. Insomma, scrive Giampiero Nisticò, “lo scalpellino non arriva a postulare capovolgimenti strutturali, ma ha chiara la visione della dimensione disumana della società, in cui le parole servono ad ingannare il povero per meglio difendere i ricchi, ingordi e ciechi”.
Infine, nell’opera postuma del caro Sharo Gambino, edita da Città del sole di Reggio Calabria nel 2011, “Calabria erotica”, Mastro Bruno, insieme ad altri scrittori e poeti calabresi, viene ricordato come colui che “gridava sdegnoso non solo a titolo personale, ma prestava voce a ‘parecchi milioni’ di cittadini che, nel ’60, avevano gridato: ‘Simu ‘taliani’ ed ora trovavano di che pentirsene”.
Al postutto, mi piace sottolineare un ultimo, e non secondario, aspetto della vita e della poetica del Serrese. Se si va a leggere Alla vergine Maria, lirica di alta sublimità da essere accostata, come fa don Calabretta, alla preghiera che Dante “mette in bocca a S. Bernardo nel canto XXXII del Paradiso”, non si potrà mai dire che Mastro Bruno sia stato ateo, anzi, come scrive ancora Calabretta, “non solo non fu un senza Dio, ma fu un’anima profondamente e direi delicatamente religiosa. Egli fu di dichiarata e manifesta religione cattolica. Una fede intrisa di religiosità popolare, se vogliamo, ma non per questo meno bella e meno sentita. Anzi”.
SERRA SAN BRUNO - Sono stati alcuni passanti, stamattina intorno alle 5, a dare l'allarme per l'incendio sviluppatosi in una palazzina in pieno centro storico e ad allertare i Vigili del Fuoco del distaccamento di Serra San Bruno. La squadra di soccorso ha subito raggiunto Piazza tenente Pietro Tedeschi dove, al terzo piano, su un balcone, si trovava una famiglia intera di sette persone che cercava di rifugiarsi per sfuggire alle fiamme. Con l'ausilio della "Scala Italiana" i vigili hanno subito raggiunto il balcone e hanno tratto in salvo le persone intrappolate. Nel frattempo, il resto della squadra ha sfondato il portone di ingresso del fabbricato e ha così portato in salvo due anziani che si trovavano nell'appartamento ubicato al secondo piano dell'edificio. Successivamente sono intervenute anche le squadre arrivate dal distaccamento di Chiaravalle Centrale e dalla Sede Centrale del Comando, impedendo così che l'incendio si propagasse alle abitazioni limitrofe. Un incendio spaventoso, dunque, che poteva avere conseguenze ancora peggiori di quelle che ha avuto. I servizi sociali del Comune di Serra, intanto, già nella giornata di oggi hanno trovato un sistemazione temporanea per la famiglia che abitava al terzo piano della palazzina e che era rimasta senza una dimora.
La Calabria, con le sue vestigia di un passato che spesso sembra non voler passare, racchiude nella parte più nascosta e misteriosa del suo seno luoghi, eventi, fatti, misfatti e circostanze che, pur avendone tratteggiato il destino, sembrano essersi definitivamente smarriti nel lento, ma sornione ed inesorabile divenire del tempo. Una regione fatta di storie senza storia, di racconti senza narratori, di romanzi senza romanzieri. Ciascuno conserva qualche episodio tramandato più della memoria orale che dal rigore scientifico degli amanti di Clio. E così a sopravvivere sono storie antiche, a volte remote, di cui si è perso però il pur minimo riferimento documentale. I greci, gli arabi, i bizantini, i normanni, se non fosse per qualche toponimo è come se non ci fossero mai stati. I luoghi della memoria giacciono negletti, abbandonati, come se avessero la colpa di far ricordare un passato più incerto ma meno aleatorio del vuoto e grigio presente. In un contesto in cui alla memoria collettiva si è spesso sostituita l’immagine folcloristica da sagra paesana è sempre più difficile elaborare un processo storico condiviso in grado da fungere da volano turistico. Mentre altrove si scrivono storie, si rielabora il passato e si valorizzano territori, in Calabria, al contrario, si lascia agonizzare lentamente quel che di buono è scampato alla furia dei terremoti, all’impeto delle alluvioni, alle scorrerie di vecchi e nuovi predoni. Nella parte più alta di monte Pecoraro, da dove è possibile scorgere le increspature dello Jonio e le arsure della vallata dello Stilaro, sorge ancora quel che rimane di Ferdinandea. Un nome evocativo, dal quale traspare inequivocabile l’origine Borbonica. Correva l’anno 1833, quando veniva inaugurato quello che molti per troppo tempo erroneamente riterranno il casino di caccia di re Ferdinando II. Al contrario, l’imponente realizzazione edificata nel cuore della montagna, tra superbi abeti e faggi secolari, costituiva il nucleo secondario di una ferriera, succursale degli stabilimenti siderurgici di Mongiana. Il nuovo insediamento rappresentava una scelta piuttosto felice dei tecnici borbonici che, evidentemente, avevano metabolizzato la teoria del vantaggio competitivo elaborata da Adam Smith. Il luogo individuato aveva, infatti, caratteristiche del tutto peculiari. Ad un tiro di schioppo dai monti Stella e Cosolino, dai quali per secoli era stato estratto il minerale di ferro che aveva alimentato tante rudimentali ferriere, nel cuore di un bosco dove abbondava il legname necessario ad alimentare gli altiforni, a pochi metri da corsi dai corsi d’acqua indispensabili nelle diverse fasi della lavorazione. Del resto qualche anno prima dell’edificazione di Ferdiandea, tra ‘7 e ‘800, a Piano della Chiesa, a poche centinaia di metri dal più recente insediamento, era attiva una piccola comunità dedita alle attività siderurgiche. Di quel minuscolo villaggio, perso tra le selve delle Serre, oggi non sopravvivono che pochi resti. Un’edicola incastonata nel muro di quel che doveva essere un modesto edificio di culto ed un magnifico altoforno a manica, forse l’unico esemplare al mondo, avvolto e coperto dalla fitta vegetazione cui, con ogni probabilità, va attribuito il merito di averlo risparmiato dalle poco amorevoli attenzioni dei soliti cacciatori di frodo. Che in questo sito l’attività dovesse essere piuttosto intensa lo testimoniano le centinaia di scarti di lavorazione che, ad oltre due secoli di distanza, è ancora possibile raccogliere sul terreno coperto dalle foglie. Nel corso della sue breve esistenza produttiva, Ferdinandea seguì inevitabilmente la stessa sorte toccata a Mongiana costretta a chiudere subito dopo l’unità d’Italia. Il 27 agosto 1860 un contingente garibaldino circondava e requisiva gli stabilimenti siderurgici. Un evento che segnerà il de profundis per uno dei primati produttivi del sud Italia. I nuovi padroni ben presto si dimostrarono assai meno caritatevoli di quelli appena scalzati. Estinte le attività proto-industriali, Ferdinandea nel corso degli anni avrebbe conosciuto il suo definitivo canto del cigno. Nel 1874 l’immensa tenuta diventava proprietà del garibaldino Achille Fazzari, che l’acquistava all’asta, insieme agli stabilimenti di Mongiana ed a diversi beni accessori. Nel corso degli anni “don Achille” fece di Ferdinandea la sua ricca e lussuosa dimora, nella quale, tra gli altri, soggiorneranno il fondatore del “Il Mattino di Napoli” Edoardo Scarfoglio e la di lui moglie, Matilde Serao. E proprio la scrittrice partenopea nel settembre del 1886, su “Il Corriere di Roma”, accostava Ferdinandea al leggendario “castello incantato di Parsifal”. Fazzari aveva fatto della sua dimora una sorta di eterogeneo e caotico museo. Nel suo “ Tra le foreste di Ferdinandea. Casa Fazzari”, pubblicato a Prato nel 1906, il Cunsolo parla di «opere d’arte acquistate all’asta, insieme ad altre di dubbia provenienza: una nutrita serie di vasi di terracotta ed anfore greche, il sarcofago di marmo di Ruggiero il Normanno sottratto ai ruderi della certosa e, probabilmente proveniente dalla cattedrale di Mileto, un busto dello stesso personaggio ed altri minori che circondavano il sarcofago, il busto di Napoleone fatto dal Canova e regalato dallo scultore a sua sorella Paolina, il letto in cui Napoleone dormiva all’Elba, un disegno di Raffaello Sanzio, due preziosi organi del Barbetta, uno stupendo mobile ad intarsio stile Luigi XV ed una collezione di Pergamene antichissime». Oltre alla “cura” del patrimonio artistico, a Ferdinandea, Fazzari, intanto divenuto deputato, aveva riavviato, dopo averla riammodernata, la vecchia segheria borbonica che, nel 1892, era stata dotata di una dinamo elettrica necessaria a movimentarne le attrezzature. E proprio nei boschi di Ferdinandea sorgerà nel 1910, ad opera di Cino Canzio compagno della figlia di Fazzari, Elsa, la prima azienda idroelettrica della zona. Nel corso degli anni la proprietà passerà più volte di mano, tanto che delle attività produttive non sopravviverà che l’attuale fonte della Mangiatorella e l’industria boschiva, peraltro privata dal valore aggiunto costituito dalla lavorazione del legname. Per il resto, un lento inesorabile declino testimoniato dagli immensi capannoni abbandonati ed ormai cadenti, dagli alloggi per gli operai e dal nucleo centrale sul quale incombe inesorabile la scure del tempo. I tanti visitatori, che ancora oggi si avventurano sui luoghi che potrebbero rappresentare il fulcro di un percorso organico di archeologia industriale, subiscono la stretta al cuore di chi vede lentamente svanire il patrimonio di una regione che stenta a comprendere che lo sviluppo turistico passa dal recupero della sua storia.
Nella mattinata di domani il bilancio di previsione 2012 approderà in Consiglio regionale. Insieme al documento previsionale, a palazzo Campanella (foto) si discuteranno anche il bilancio pluriennale 2012-2014 e il collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2012. La manovra, già approvata, a maggioranza, in Commissione bilancio, riguarda risorse per 9 miliardi di euro, dei quali, però, sono disponibili solo 800 milioni - l'anno scorso erano 870 milioni, e il taglio è dovuto alla riduzione dei trasferimenti statali. Tra le norme più importanti, da registrare lo slittamento al 30 giugno 2012 della fine del commissariamento di Arssa e Afor. L'ennesima proroga della fase commissariale dei due enti, già in liquidazione, è stata approvata con il solo voto contrario dei rappresentanti di Pd e Idv. La questione dell'ente subregionale che si occupa della forestazione calabrese è una delle più spinose tra quelle da discutere domani in aula. Il problema sono le somme destinate all'Afor in bilancio che, calcoli alla mano, potrebbero essere sufficienti a garantire non più di qualche mese di stipendio. Ciò rappresenterebbe un rischio per i dipendenti, almeno così la pensa il Pd calabrese che sul punto ha già annunciato di voler presentare un emendamento.
Sul bilancio 2012 la posizione dei democrats calabresi è comunque critica. La manovra, infatti, è stata definita "inadeguata" da Bruno Censore: “Dall’esame fatto nella seconda commissione - sostiene il consigliere regionale del Pd - non è intervenuta nessuna novità in merito alle proposte di bilancio 2012 avanzate dalla Giunta regionale. Il Partito democratico si è fatto carico, e lo farà anche in aula il prossimo martedì (domani, ndr), di rappresentare sulle questioni emergenziali emendamenti tendenti a salvaguardare la garanzia dei servizi essenziali e di occupazione. I servizi socio assistenziali, i trasporti, la forestazione, la salvaguardia idraulica, la protezione civile, le politiche per il lavoro, sono i temi in cui il Pd ha concertato la sua iniziativa. Giunta e maggioranza, invece - sostiene l'esponente Pd a palazzo Campanella - non hanno dimostrato nessuna disponibilità, ed oggi il bilancio regionale si presenta incapace di dare alcuna risposta di governo. Il Pd è consapevole delle difficoltà che oggi vive la finanza pubblica, e quindi anche il bilancio regionale; constatiamo, però, che non vi è nessuna capacità di ridisegnare la finanza regionale sia in termini di spesa che di entrata. Un bilancio, dunque, sempre più ingessato che vede sempre più ridotta la così detta quota libera che viene, a sua volta, falcidiata dalle rate dei mutui e dall’indebitamento. Le stesse politiche del governo Berlusconi, fino a poche settimane fa osannate dal Governatore Scopelliti e dal centro-destra, hanno rappresentato un vero e proprio scippo alla finanza regionale che, a partire dai fondi Fas, oggi vede la stessa programmazione dei fondi europei compromessi in quanto mancanti della quota sponda nazionale. Le stesse politiche a sostegno delle attività produttive resuscitano vecchi carrozzoni come Fincalabra a cui viene ridata la possibilità di attivare partecipazioni societarie in palese contraddizione con gli annunci propagandistici di dismettere i vecchi carrozzoni regionali. Il bilancio - è la conclusione di Censore - appare ordinario senza il coraggio e senza la capacità di incidere sui bisogni dei calabresi”.
Da segnalare, nel collegato alla manovra finanziaria, i seguenti provvedimenti: un finanziamento per il Museo nazionale di Reggio Calabria per il biennio 2012-2013 pari a undici milioni di euro a valere sul Por Calabria Fesr 2007/2013; interventi a sostegno del sistema produttivo dell’area di Gioia Tauro; modifiche alla legge sulla fondazione dei "Calabresi nel mondo"; l’istituzione del fondo regionale per le prestazioni socio-sanitarie erogate sul territorio regionale dalle strutture accreditate di competenza del settore politiche sociali, con una dotazione per l’esercizio finanziario 2012 di 15 milioni di euro; l’introduzione della contabilità economico-patrimoniale, estesa ad enti strumentali e aziende della Regione; la rideterminazione di alcuni tipi di imposta; la istituzione dell’Iresa, l’Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. Inoltre, nel collegato 2012 è prevista l’adozione da parte della giunta regionale del piano dei pagamenti entro il 28 febbraio di ogni anno, allo scopo di render ancora più idoneo lo strumento di verifica della compatibilità della spesa regionale rispetto alle vigenti regole di finanza pubblica.
SERRA SAN BRUNO - Si tratta di uno dei rari casi in cui maggioranza e opposizione parlano con un'unica voce. Promozione dei valori di legalità e correttezza civile, emergenza sicurezza, condanna dei recenti atti intimidatori e solidarietà ai destinatari di tali vili gesti, no alla cultura mafiosa, no alla violenza e alla sopraffazione, no alla 'ndrangheta negli enti pubblici. Questi, in estrema sintesi, i punti cardine su cui si sono ritrovati d'accordo, senza se e senza ma, i rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione in seno al Consiglio comunale di Serra San Bruno. Di seguito riportiamo integralmente il documento approvato all'unanimità dal civico consesso e trasmesso al Prefetto di Vibo Valentia, per come risulta dalla verbalizzazione del segretario generale dell'ente, dott. Giuseppe Lombardi Satriani.
La trattazione dell’argomento posto al primo punto dell’ordine del giorno, inizia con la relazione del sindaco: Esprimo solidarietà al cittadino Sergio Gambino, vittima di una vile intimidazione di cui non si comprende il senso e che va condannata senza se e senza ma. Lo afferma il sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi. Sarà ora compito delle forze dell'ordine - aggiunge - individuare la matrice di questo spregevole gesto e capire se sia riconducibile all'attività sociale, lavorativa o alla vita privata di Gambino. Sono certo che le autorità preposte riusciranno a fare piena luce sull'accaduto impartendo la giusta punizione all'autore (o agli autori) dell'intimidazione. Allo stesso modo occorre condannare l'insano gesto compiuto da balordi che hanno arrecato danni prima alla palestra interscolastica e poi alla scuola media e alla vettura di una insegnante, alla quale va tutta la mia vicinanza, e andare a fondo per comprendere se si sia trattato di un atto contro l'amministrazione comunale, contro l'amministrazione provinciale o se sia stata l'opera di chi non ha ancora compreso cosa sia il senso civico ed il vivere civile. Ad ogni modo, va specificato che, visto il verificarsi - prosegue il Sindaco - di questi accadimenti, ho fermamente voluto inserire all'ordine del giorno del già previsto consiglio comunale del 30 novembre il dibattito sull'ordine pubblico. Ribadisco inoltre che l'amministrazione che ho l'onore di guidare è stata e sarà sempre impegnata nell'affermazione della legalità e della trasparenza e condurrà una decisa battaglia contro le forze negative che si oppongono alla crescita sociale, culturale ed economica della nostra cittadina. Serra San Bruno, anche per la sua storia millenaria e per le sue tradizioni culturali, non può e non deve essere sede della sopraffazione e di vicende dai contorni poco chiari”.
Segue l’intervento dell’On Nazzareno SALERNO, Capo-Gruppo di Maggioranza Consiliare: Che la criminalità a Serra San Bruno stia vivendo una fase di dura recrudescenza e che l´allarme per la sicurezza in città sia ben altro è un dato di fatto. Le istituzioni sono all´erta e l´attività di controllo e di presenza sul territorio da parte delle Forze dell’ordine appare, senza dubbio, soddisfacente. Come soddisfacente e meritevole di attenzione appare l’azione del Prefetto di Vibo Valentia, D.ssa Latella, che con impegno e dedizione si prodiga per l´ordine e la sicurezza pubblica, per fare il punto della situazione e per cercare di mettere a punto degli interventi efficaci sia dal punto di vista repressivo che, soprattutto, preventivo, tenuto anche conto dell’ importante azione di controllo che sta operando in molti comuni del territorio. Nella riunione odierna abbiamo tutti condiviso – continua l’On. Salerno - la necessità di promuovere una vasta e profonda azione sociale, ribellarsi a questo pericoloso sistema che alimenta la criminalità cittadina”. È intenzione dell’amministrazione comunale - conclude diffondere su tutti i media, dei quali si chiede la preziosa collaborazione non solo attraverso l’attività di denuncia, ma anche ospitando dibattiti, studi e approfondimenti informativi che possano consentire anche a coloro che ancora non se ne rendono conto, di comprendere la pericolosità sociale di quanto si sta verificando nel ns. territorio. Dobbiamo tutti adoperarci, nell´ottica di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per partecipare all´incremento della cultura della legalità nella nostra Serra San Bruno.
Abbiamo tutti condiviso – fanno notare i Capi-Gruppo di opposizione (Lo Iacono- Tassone Federico) - la necessità di promuovere una vasta e profonda azione sociale, da un lato per condannare questi episodi criminali, dall’altro per promuovere una più forte e determinata mentalità anticrrimine al fine di perseguire i fenomeni di criminalità diffusa nell’ambito del territorio. Occorre che questa mentalità cambi rapidamente, per debellare questo pericoloso sistema che alimenta la criminalità cittadina”.
A tal fine, il Capo-Gruppo LO IACONO ringrazia il Presidente del Consiglio Comunale per avere inserito questo argomento all’ordine del giorno, condanna con fermezza questi vili episodi criminali e si associa alla solidarietà già espressa nei confronti di Sergio Gambino e della maestra, vittime di atti intimidatori. Il consigliere Lo Iacono prosegue il proprio intervento, precisando che il Consiglio comunale deve essere d’esempio per la comunità amministrata anche con delle iniziative simbolo a favore dell’ordine pubblico e della sicurezza. A tal fine ricorda che non più di due anni fa, qui a Serra San Bruno, è stata organizzata la prima festa in piazza della Polizia di Stato che aveva come prioritaria finalità quella di avvicinare i cittadini alle istituzioni ed alle forze dell’ordine. Anche oggi, credo, sia necessario un nuovo gesto simbolico per favorire la continuità di quest’attività e dimostrare senza dubbio l’attenzione del Consiglio comunale per tali temi. Il consigliere Lo Iacono, propone, quindi, che anche qui a Serra venga affissa all’esterno del Municipio, con tanto di cerimonia pubblica, la targa con la dicitura “Qui la ‘ndrangheta non entra” ed, altresì, invita il Consiglio comunale ad approvare la proposta finalizzata a far patrocinare, da parte della Giunta comunale, la manifestazione, promossa dall’Associazione anti mafia “Libera”, che si svolgerà nel gennaio del 2012 nella nostra cittadina e nel corso della quale verrà anche manifestata solidarietà al cittadino Sergio Gambino vittima di un atto intimidatorio. Infine, il consigliere Lo Iacono evidenzia come l’andamento dei lavori del Consiglio comunale, poco rispettoso delle regole democratiche, si riverberi nei rapporti tra i cittadini portatori di posizioni politiche differenti e possa alimentare conflittualità all’interno della comunità. Infatti, la difficoltà nell’ottenere la parola e l’arroganza con cui vengono condotti i lavori in questo consesso evidenziano l’assoluta mancanza di rispetto delle più elementari regole democratiche.
Anche il Capogruppo TASSONE Mirko ringrazia il Presidente per avere inserito questo argomento all’ordine del giorno, condanna simili episodi di violenza e precisa che Serra San Bruno non è un’isola felice, come dimostrano questi episodi criminali che evidenziano una situazione grave che viene dal passato, basti pensare che ancora oggi nulla si sa della morte di Pasquale Andreacchi, il ragazzo serrese barbaramente ucciso l’anno scorso. Il Cons. Tassone, inoltre, condanna con fermezza gli ultimi episodi di violenza nei confronti del cittadino Sergio Gambino e dei danneggiamenti perpetrati nell’ambito del territorio e precisa che oltre all’intervento delle Forze dell’Ordine, occorre mettere in campo un tempestivo intervento pubblico poiché nell’ambito del territorio manca tutto per i giovani, a partire di un Centro di aggregazione giovanile. Concorda pienamente nella volontà dell’Amministrazione di esprimere solidarietà, nel perseguire la strada della legalità e raccomanda maggiore attenzione da parte di chi ha un ruolo pubblico. Tuttavia non posso non rilevare la continua mortificazione delle prerogative dei Consiglieri comunali di opposizione, i quali sistematicamente non ricevono risposta alle interrogazioni e alle interpellanze, come per altro ampiamente documentato dalla mancata risposta alle interrogazioni sulla potabilità dell’acqua e sul destino del Presidio ospedaliero Serra San Bruno, presentate lo scorso agosto e per le quali non è ancora pervenuta alcuna risposta.
Ferma condanna per questi vili episodi criminali anche da parte del Capo-Gruppo FEDERICO, che nell’ associarsi alla solidarietà manifestata da tutto il Consiglio comunale a Sergio Gambino, auspica una rinnovata e più profonda azione sociale volta a diffondere la cultura della legalità e del rispetto, al fine non solo di combattere ma anche prevenire azioni di violenza e vandalismo che mortificano ed offendono la dignità dei cittadini serresi. Sottolinea, altresì,come legalità significhi anche rispetto delle regole del vivere civile in primo luogo in seno alla politica ed alle istituzioni che hanno il dovere morale e sociale di dare l’esempio con comportamenti all’insegna della democraticità e del rispetto reciproco. Concorda pienamente con quanto espresso dagli altri componenti il Consiglio comunale e approva unitamente a tutti presenti le proposte del Cons. Lo Iacono di affiggere una targa all’esterno del Palazzo Municipale con la seguente dicitura «Qui la 'ndrangheta non entra» e di impegnare la Giunta Comunale affinché venga patrocinata la manifestazione pubblica che si terrà a Serra San Bruno nel prossimo mese di gennaio, nel corso del quale verranno trattati temi della legalità e della cultura anti mafia con la partecipazione dell’Associazione “Libera”.
IL CONSIGLIO COMUNALE APPROVA ALL’UNANIMITA’ E DISPONE LA TRASMISSIONE DI QUEST’ATTO A S.E. IL PREFETTO.
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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