Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
SERRA SAN BRUNO - Il veneto Enrico Battaglin, della Bardiani-Csf, si aggiudica la quarta tappa del Giro d’ Italia, tra le più lunghe della carovana rosa con i suoi 246 chilometri, partita da Policastro Bussentino, nel Salernitano, con arrivo a Serra San Bruno. Il 24enne ha battuto in volata altri due italiani, Fabio Felline e Giovanni Visconti, giunti rispettivamente secondo e terzo. Duecentosei sono stati i corridori presenti ai nastri di partenza. Una tappa, quella di oggi, caratterizzata dal maltempo, che ha interessato in particolar modo il tratto che collega Sorianello a Serra. Non è stata sicuramente una tappa facile, contrassegnata tra l’altro dal ritiro di Sandy Casar (FDJ), mentre al chilometro 180 sono finiti a terra Capecchi, Brambilla e Steegmans. A soli 10 km dal termine, Danilo Di Luca cerca l’allungo, ma è stato ripreso solo a 300 metri dalla linea del traguardo.
Dodici condanne, a pene comprese tra 8 mesi e 7 anni, e tre assoluzioni. È questa la sentenza emessa dal giudice per le udienze preliminari di Catanzaro, Assunta Maiore, al termine del processo con rito abbreviato nei confronti dei presunti appartenenti della cosca di 'ndrangheta dell'area ionica del soveratese Sia-Procopio-Tripodi coinvolti nell'inchiesta “Show Down” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia.
A conclusione della requisitoria il pubblico ministero aveva chiesto 15 condanne a pene comprese tra i 3 ed i 14 anni di reclusione. A 6 anni di reclusione è stato condannato Vincenzo Alcaro, il brigadiere dei carabinieri in servizio al reparto operativo del Comando provinciale di Catanzaro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa; 3 anni e 4 mesi a Bruno Procopio, Vincenzo Bertucci (5 anni e 8 mesi), Patrick Vitale (7 anni 6 mesi), Francesco Vitale e Giuseppina Mirarchi (1 anno), Pannia Salvatore (4 anni), Pietro Danieli (8 mesi), Angelo Procopio (4 anni e 8 mesi), Giuseppe Santo Procopio (6 anni e 8 mesi), Vincenzo Ranieri (6 mesi e 20 giorni), Vincenzo Todaro (1 anno e 4 mesi). Sono stati assolti Daniela Iozzo, Pietro Aversa detto “Mister” e Vincenzo Mirarchi. Per gli altri indagati nell'inchiesta “Show down” è in corso il processo davanti ai giudici del tribunale che riprenderà il 3 giugno. Nei confronti di altre tre persone, Maurizio Tripodi, Michele Lentini e Davide Sestito, si svolgerà il processo davanti alla Corte d'assise perché accusati dell'omicidio e occultamento di cadavere di Giuseppe Todaro.
L'operazione condotta dai carabinieri portò all'arresto di una quarantina di persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapine, sequestro di persona e traffico di droga. Le indagini hanno avuto inizio dopo la scomparsa, nel dicembre del 2009, di Giuseppe Todaro, vittima di lupara bianca.
Riceviamo e pubblichiamo:
Negli ultimi giorni si sono levate, provenienti da più parti, forti e vibrate proteste rispetto alla trasmissione sulla sanità calabrese, ma non solo, andata in onda qualche settimana fa su Rai 3 per il programma “Presa Diretta”. Una sollevazione indignata è venuta da chi difende a spada tratta le risultanze del Piano di Rientro, dalla deputazione regionale di centro destra, nonché da diversi direttori generali e supporters vari. Tra le altre mi ha fortemente colpito la critica mossa al programma dal consiglio direttivo dell’Ordine dei Medici della Provincia di Vibo e in particolare del suo Presidente Dr. Antonino Maglia, verso cui, lo dico a priori, ho profonda stima e al quale mi lega una sincera amicizia. Concordo sul fatto che il servizio sia stato volutamente strutturato per far esaltare la “malasanità” calabrese mediante l’intervista di persone che hanno subito la perdita di figli amatissimi, giovani vite che per imperizia, errore, carenze o qualsivoglia altro problema, non sono più su questa terra e non possono regalare un sorriso ai loro cari. Era giusto sentire sulle problematiche socio sanitarie attuali, per quello che interessa la nostra Azienda, anche i livelli istituzionali e, possibilmente, i medici. D'altronde però, giustamente, gli stessi consiglieri, nel corso del dibattito, hanno evidenziato come le criticità esistenti siano alla continua attenzione dell’Ordine, riconoscendo che “il grave rischio clinico è rappresentato appunto dalle precarie condizioni strutturali degli ospedali, dal deficit strumentale e tecnologico e anche da una disarticolata organizzazione e dalla precarietà della risorse umane”.
Partendo da questa presa di coscienza, è chiaro che non si può fare, sicuramente, di tutte le professionalità sanitarie, soprattutto mediche, di tutta l’erba un fascio; hanno ragione i consiglieri dell’Ordine dei Medici e fanno bene a difendere strenuamente la loro categoria. Ma questo non vuol dire che bisogna fare come gli struzzi e tenere la testa sotto la sabbia quando il problema non è tanto l’appartenenza ad una data categoria, che secondo me non si deve sentire costantemente sotto processo, ma è il sistema. La trasmissione sulla sanità mandata in onda da “presa Diretta” non ha indignato solo per quello che ha fatto vedere sulla Calabria, in fin dei conti sono cose che, bene o male, conosciamo (certo, alcuni medici dell’Ospedale di Polistena (RC) non hanno fatto una gran bella figura facendosi riprendere mentre seduti in cerchio leggevano il giornale o fumavano spargendo cenere e cicche di sigarette sui pavimenti, potevano evitare di dare un’immagine che ha fatto arrossire di vergogna ogni calabrese che ha seguito la trasmissione in ogni angolo della terra); l’indignazione è nata e continua ad esserci perché i cittadini calabresi si sono potuti rendere conto, ancora di più, di quanto, nei loro confronti, non solo sia stato disatteso il principio costituzionale di tutela della salute, ma di come siano venuti meno i capisaldi del concetto stesso di salute inteso come fondamentale diritto della persona: l’universalità e l’uniformità dell’assistenza.
Ma, io mi chiedo e chiedo soprattutto agli addetti ai lavori: forse non è vero che, salvo poche eccellenze, per seri problemi di salute i cittadini calabresi devono rivolgersi a strutture del nord ? sono favole o è la cruda realtà le migliaia di persone che ogni anno intraprendono i viaggi della speranza con tutto quello che ne deriva sul piano economico e sociale? Ma perché non dovremmo indignarci nel vedere che la sanità territoriale, alla quale lo Stato destina la gran parte delle risorse di bilancio (55%), in Calabria non esiste o è poco considerata, mentre in altre zone del paese è fortemente incentivata perché, tra l’altro, vuol dire risparmiare. Penso, ad esempio, alle Case della Salute, all’Assistenza Domiciliare, all’ospedalizzazione a domicilio ecc. Da noi l’Ospedale rappresenta l’ombelico del mondo, generatore di enormi costi e di sprechi anche per un suo uso distorto ed inappropriato. In Calabria si preferisce la difesa estrema dei piccoli ospedali non perché gli stessi riescano a garantire benessere e salute, ma solo per un fatto di campanile spinto all’eccesso da vari e stratificati interessi. Le Case della Salute o i Centri di Assistenza Territoriale sicuramente rappresenterebbero una grande opportunità assistenziale, ma è un discorso difficile da far capire ed anzi chi dovrebbe, più di altri, farsi interprete e sostenere tale impostazione preferisce la difesa pervicace dell’ospedale, con tutti i rischi ed i pericoli che ciò comporta.
Rafforzare e dotare dei giusti posti letto i centri di eccellenza, gli ospedali Hub e gli ospedali Spoke, dare un senso agli Ospedali di Montagna incentivandone l’aspetto relativo all’emergenza urgenza, dotarli in concreto delle strutture già previste dai decreti del Commissario ad acta per farli funzionare, da subito, con mezzi, strutture e personale adeguati per la missione che sono chiamati a svolgere, e non lasciarli abbandonati a se stessi, buoni solo a fornire risorse umane agli altri ospedali in difficoltà.
Quello che sbagliano i consiglieri e il presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Vibo Valentia è il pensare che con la costruzione del nuovo Ospedale si risolveranno tutti i problemi della sanità su questo emarginato e, purtroppo, bistrattato territorio. Certo, esso rappresenta una fase importante; sarà d’aiuto perché consentirà di lavorare meglio e potrà contribuire, forse, a dare anche una diversa immagine; ma non potrà sicuramente determinarne, da solo, il miglioramento dell’assistenza e la risoluzione di annosi problemi. Questioni ormai incancrenite che sono il frutto di carenza di programmazione e di una visione miope di una classe politica e dirigente che non ha voluto, o forse non ha saputo, dare dignità all’ammalato che soffre e al bisogno di salute che sempre più forte proviene dalla società. Dobbiamo essere onesti con noi stessi e lavorare perché almeno i nostri figli e i nostri nipoti possano avere un sistema sanitario adeguato, una rete assistenziale che parti dal territorio dove i medici di famiglia riscoprano il gusto e la voglia di fare clinica, di confrontarsi, di aggiornarsi, senza limitarsi a prescrivere farmaci ed esami, tante volte anche per telefono. Di questi tempi dovremmo sforzarci anche di pensare quale sia il modo adeguato per risolvere problemi epocali quali quelli di una popolazione che va sempre di più invecchiando e che molto spesso rimane sola; alle persone diversamente abili che meritano per tutte le sofferenze patite la giusta assistenza. Dovremmo rivolgere lo sguardo verso i problemi ambientali che ieri sembravano marginali ma che oggi sono di grande attualità e possono costituire un grosso pericolo per la società: l’acqua, l’aria, beni comuni che non hanno prezzo e che qualcuno ha già mercificato vendendo, tra l’altro, veleno. Ci sono stati anni in cui la sanità ha rappresentato la possibilità di elargire prebende e di dare sfogo ad un clientelismo sfrenato che ha coinvolto indistintamente tutti dagli ausiliari ai primari; è giunto il momento, attesa anche l’estrema delicatezza del settore in questione dove c’è in gioco la salute e la vita della gente, di cambiare registro, avendo la consapevolezza che, ad esempio, la realizzazione dell’Ospedale di Vibo rappresenterà non già l’arrivo ma solo l’inizio di una fase di riscatto che deve avere quali protagonisti ognuno di noi.
Dott. Fioravante Schiavello
Funzionario ASP Vibo Valentia
Riceviamo e pubblichiamo:
Mongiana (VV) – Sono state denunciate a piede libero le sei persone trovate ad esercitare abusivamente l’attività di pesca all’interno del Lago Angitola, nei comuni di Maierato e Monterosso Calabro, dichiarato Oasi di protezione dell’avifauna acquatica, inserito nell’elenco delle zone umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar, ascritto nell’elenco dei Siti d’Importanza Comunitaria, nonché rientrante all’interno del Parco Naturale Regionale delle Serre.
L’attività è stata posta in essere in tre distinte operazioni dagli Agenti dei Comandi Stazione di Polia, di Vallelonga e di Vibo Valentia grazie ai controlli opportunamente messi in atto. Difatti, nonostante le operazioni analoghe svolte in passato, anche recente, questa della pesca all’interno del Lago Angitola sembra essere pratica diffusa tra cittadini stranieri provenienti da paesi dell’est europeo e residenti nelle zone limitrofe.
In occasione di tutte e tre le operazioni, gli operatori hanno sorpreso i colpevoli intenti ad esercitare la pesca con l’ausilio di canne telescopiche fornite di mulinello.
Considerato, pertanto, che tutti i soggetti stavano esercitando la pesca in zona interdetta, tra l’altro senza essere neanche in possesso della licenza di pesca, i Forestali procedevano a porre sotto sequestro le canne da pesca ed il relativo pescato, segnalando gli stessi all’Autorità Giudiziaria competente per violazione alle normative in materia di aree protette.
Il pescato, rinvenuto tutto vivo, veniva rimesso in libertà all’interno delle acque dello stesso Lago Angitola.
Considerata la rilevanza del sito in questione, resta costante l’opera di vigilanza e monitoraggio da parte del Corpo Forestale dello Stato.
CORPO FORESTALE DELLO STATO
COMANDO PROVINCIALE
VIBO VALENTIA
La Squadra mobile di Catanzaro, coadiuvata dai Carabinieri del Ros e dagli uomini del Gico della Guardia di finanza di Catanzaro e Trieste, hanno eseguito 24 provvedimenti di fermo nei confronti di presunti affiliati alla cosca Mancuso di Limbadi. Oltre ai vertici della cosca, sono finiti in manette anche noti imprenditori vibonesi operanti nei settori siderurgici e dei servizi turistici e un funzionario dell'Ufficio tecnico del comune di Tropea. Sequestrati anche numerosi beni e aziende. Nei confronti delle 24 persone fermate pesano a vario titolo i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e concorso esterno. I dettagli dell'operazione saranno illustrati nel corso di una conferenza stampa prevista per la mattinata odierna in Prefettura a Catanzaro
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