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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
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Il caso di Oppido Mamertina, seguito poi da quello di San Procopio, è finito al centro delle cronache di tutta Italia. I fatti ormai sono noti: Madonne e Santi in processione sostano e si inchinano davanti alle abitazioni che accolgono vecchi boss costretti ai domiciliari, e come per fatalità, per la prima volta – è proprio il caso di dirlo – grazie a Dio, il mondo inizia a condannare riti e rituali che fino ad ora si era semplicemente limitato ad osservare. Poi, ieri, una nuova polemica. Questa volta a mettersi di “traverso” è la Chiesa: la storica processione della Madonna del Carmine a Vibo Valentia, che si sarebbe dovuta svolgere per le vie del centro storico della città, viene annullata. Lo stop preventivo è arrivato dalla parrocchia della stessa Chiesa del Carmine, di concerto con la Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, in seguito alle determinazioni assunte dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Polizia e carabinieri per diversi giorni hanno sottoposto al vaglio i nominativi dei “portatori della statua della Madonna del Carmelo”. Fra di loro – evidenziano le forze dell’ordine – vi sarebbero diversi soggetti vicini ad ambienti criminali. Da qui il passo è breve: «Misure straordinarie – si è detto – per il “commissariamento” della processione». Proprio così, commissariamento, come avviene per i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa in cui gli amministratori voluti dal popolo vengono sostituiti da altri scelti dal governo, in analogia (tornando al sacro) con quanto accadde già nelle ultime festività pasquali a Stefanaconi, quando le statue vennero portate in spalla dai ragazzi della Protezione civile.
A Vibo, il Prefetto aveva piuttosto suggerito alle autorità religiose di far trasportare la Madonna su un furgoncino guidato da un rappresentante della Protezione civile. Misura, però, risultata non gradita. A “controindignarsi” questa volta è stata proprio la parrocchia del Carmine di Vibo, che, contrariata dalla sola idea di vedere la statua della Vergine recata in processione da qualcos’altro o da qualcun’altro che non siano gli abituali e più noti portantini – secondo gli inquirenti «vicini alla cosca di 'ndrangheta dei Lo Bianco» – dichiara, addirittura, l’annullamento della cerimonia, una delle più sentite e seguite del capoluogo. In definitiva, il rito è dunque saltato. In chiesa, in serata, si è celebrata la messa, nella piazzetta del Carmine si sono tenuti i festeggiamenti civili. Alle pareti ancora resiste un piccolo manifesto affisso prima della contesa per indicare il percorso che avrebbe dovuto seguire la processione.
L'astinenza da corteo a cui la diocesi ci condanna, il vuoto che questa probabilmente genera, soprattutto, nello stomaco dei fedeli, non può di certo risultare più insopportabile di una manciata di pezzenti che si inchinano al cospetto del boss. Ma l’idea di rifiutare anche il camion guidato dal referente della Protezione civile non è di certo un atto di giustizia. Si tratta, anzi, di un provvedimento che lascia la sensazione che nulla di coraggioso sia stato fatto per arginare il problema. O che, comunque, nulla sia stato fatto per restituire realmente la Madonna ai credenti evitando di tenerla ostaggio di una valenza “culturale” del tutto distorta, che si nutre di “inchini”, metafore e simboli emblematici. Così si è finito per negare la processione a tutti, anche a chi ripudia la mafia ed intende piegarsi solo ai piedi della stessa Madonna in segno di reale venerazione religiosa.
Siamo invasi dalla retorica ridondante di chi si scaglia contro la «non giusta considerazione della bella e ospitale Calabria», ma mai, stranamente, ci si chiede dove abbia poi condotto tanta eloquenza nel decantare una terra spacciata, solamente, per pura e genuina. Sarebbe molto più proficuo, forse, se gli assertori di tanta magnificenza – quelli che in genere si rifugiano nelle formule dei «meravigliosi mari e montagne», del bergamotto reggino e della ‘nduja di Spilinga – prendessero davvero posizione di fronte ad un declino, soprattutto culturale, di cui non si può più tacere. Indichino soluzioni tangibili e percorribili e non frutti impuri della peggiore ipocrisia. Perché altrimenti questa terra, già socialmente ed economicamente fragile, rischia di affondare definitivamente per i troppi inchini.
Per questo soprattutto la Chiesa, pregna di intellettualismo elitario, di teologi che hanno fatto finta di non accorgersi di questa involuzione, che sono stati velatamente indulgenti con la capacità della ‘ndrangheta di influenzare anche lo spazio “sacro” delle manifestazioni religiose popolari, adesso sbaglia di grosso se immagina che le processioni possano cambiare rotta e modalità su semplice indicazione del Prefetto di turno o su sospensioni dell’ultimo minuto. Piuttosto, ciò dovrebbe accadere secondo un atto di coraggio che abbia origine soprattutto nella Chiesa stessa, obbligata a farsi carico di un problema che – in troppi casi – essa stessa ha contribuito a generare per mera e timorosa compiacenza. Per comodità e quieto vivere. L’inchino al cospetto dei “notabili” e dei “potenti”, il togliersi il cappello davanti al boss, è un atto di soggezione che la Calabria deve ripudiare con forza e non sfuggire timorosamente per decreto.
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