Domenica, 18 Gennaio 2015 13:31

Nient’altro che la verità

Scritto da Salvatore Albanese
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C’è uno strano elicottero giallo che a pochi mesi dal “primo avvistamento”, dopo circa 250 giorni, torna ad animare il cielo azzurro delle Serre.

Lo solca in lungo e in largo come la navetta inquieta di un telaio. Su Fabrizia, su Mongiana, su Serra San Bruno e la frazione Ninfo. Un mulinare d’elica perpetuo, che per quasi due ore e mezza, spezza la monotonia di un soleggiato mercoledì mattina di gennaio. Eclissa il sole, sfiora le nuvole, fa spola veloce da est ad ovest. A pochi metri dalla sua pancia, sospeso in aria, trascina uno strano cilindro a forma di trespolo. «Che cosa è quel missile arancione?» si domanda la gente con gli occhi incollati al cielo. I passanti continuano a fissare il volo dell’elicottero, lo seguono come fosse la pallina gialla di un match tennistico. Stampata sul viso un’espressione a metà tra il divertito e il preoccupato. «Tu l’hai visto?» chiederanno nel pomeriggio al vicino di casa, quasi come per avere la paternità di un fatto che, però, quanto meno nei dettagli, tutti continuiamo ad ignorare.

Nessuno sa niente, eppure quell’elicottero era già apparso sulle nostre teste nel giugno scorso. «È il “Miapi”» chiarirono all’epoca dei fatti i meglio informati. Nulla più di un acronimo che poco ci aiuta a capire cosa ci faccia, ogni sei mesi circa, un elicottero biondo sospeso pochi metri più in alto delle nostre vite, che a bassissima quota rasenta le punte degli abeti e sfiora i tetti delle case, quasi come se dovesse atterrarci sopra.

“Miapi” sta per Monitoraggio ed Individuazione delle Aree Potenzialmente Inquinanti. È un progetto che  si inquadra in un programma nazionale chiamato “Pon Sicurezza” e che vede coinvolte le Arpa regionali, le amministrazioni locali, il Comando generale dei carabinieri per la tutela dell’ambiente, oltreché il Nucleo operativo ecologico, ognuno con uno specifico ruolo. L’obiettivo – questo è chiaro – è quello di individuare siti potenzialmente inquinati, laddove per inquinati si intende quei luoghi in cui si sospetta siano stati sversati in passato rifiuti tossici o scorie radioattive. I controlli avrebbero dovuto svolgersi secondo fasi definite: prima un sensore “Airbone” montato su un elicottero geo-radar avrebbe dovuto scansionare un’area estesa per centinaia di chilometri quadrati, concentrandosi in particolare nelle zone considerate sensibili; poi sarebbero dovute seguire una serie di indagini geofisiche effettuate a terra per una maggiore analisi delle anomalie emerse in fase di telerilevamento. Ma, al di là della scaletta programmata, sulle Serre, evidentemente, si è dimostrato necessario un secondo passaggio del velivolo.

Già nei mesi scorsi in Campania – in un’altra regione dove l’allarme inquinamento sembra essere al massimo livello –, furono rese note le indagini relative a trentadue comuni della provincia di Napoli, più altri ventiquattro del casertano. Da Caivano a Pomigliano D’Arco, da Casal di Principe a Castelvolturno, i dati furono resi pubblici sul sito dell’Arpac. Per ogni comune furono specificati i parametri del telerilevamento magnetico, di quello radiometrico e di quello termico. Gli esiti calabresi, invece, restano ancora nascosti, riservati magari a pochi intimi.

Eppure i fantasmi – soprattutto nelle Serre e in gran parte dei territori dell’Aspromonte – dalla primavera scorsa si sono fatti più consistenti. La desecretazione voluta dal governo Renzi, del 5 maggio 2014, ha infatti spazzato le ragnatele su alcuni faldoni dei Servizi segreti, finiti da anni nel dimenticatoio degli archivi di Stato. Tra tutti gli atti svelati emerge un reportage firmato Sismi e Sisde, inedito per noi comuni mortali, che racconta che sotto ai nostri piedi, negli scavi per i metanodotti, nelle caverne, nei terreni argillosi, la ‘ndrangheta o chi per lei, già alcuni decenni fa “riciclava” centinaia e centinaia di barili contenenti scorie. Testualmente disseminati in diverse «discariche abusive, alcune già individuate, che custodiscono circa settemila fusti di sostanze tossiche». Viene riferita, quindi, l’esistenza di ipotetici siti ricadenti nei comuni di Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Stilo, Gioiosa Jonica, Serra San Bruno e Fabrizia. «Le discariche presenti in Calabria sarebbero parecchie – si legge ancora nei carteggi desecretati – situate, oltre che in zone aspromontane, nella cosiddetta zona delle Serre (Serra San Bruno, Mongiana, ecc.) nonché nel vibonese».

Quale possa essere le connessione tra i fatti indicati da questi documenti ed il numero dei nostri morti o malati di cancro – per un’incidenza di gran lunga superiore a quelle della media nazionale ed europea – è una conclusione che lasciamo al libero giudizio dei lettori. Quegli stessi lettori che non si sono ancora stancati di chiedere maggiori  informazioni, trasparenza e legalità. Cittadini di questi luoghi che, mentre gli elicotteri gialli vanno e vengono nei nostri cieli, vorrebbero magari avere solo il diritto di conoscere tutta la verità, nient’altro che la verità.

 

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